In merito alla lettera di un giovane portoferraiese, pubblicata sul vostro giornale, che lamenta la “difficoltà di parlare con qualcuno degli amministratori comunali” e che pone quindi un rilevante problema sullo stato della partecipazione, non solo a livello locale ma più in generale nel resto del Paese – basti vedere le punte di astensionismo raggiunte nelle elezioni amministrative dei giorni scorsi -, mi ha stimolato a ritornare indietro con gli anni e alla straordinaria esperienza dei comitati di quartiere istituiti dall’Amministrazione di sinistra, prima ancora che fossero legittimati per legge.
Era il 1973, infatti, il 28 novembre ad essere precisi, quando con atto formale del Consiglio comunale si dette vita ai quartieri del Centro storico, del Ponticello, di Carpani e di Schiopparello, composti da 20 membri ciascuno in rappresentanza proporzionale dei gruppi consiliari. La legge dello Stato, relativa all’approvazione delle “norme sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nella amministrazione del Comune”, intervenne solo tre anni dopo, nell’aprile del 1976.
Erano i tempi in cui Gaber ammoniva con una geniale canzone che “la libertà non è star sopra un albero / non è neanche il volo di un moscone/ la libertà non è uno spazio libero / libertà è partecipazione”.
Le attribuzioni e le forme di partecipazione contenute nel regolamento comunale erano talmente ampie e innovative che rappresentarono, allora, una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire i rapporti fra le istituzioni e i cittadini. I quartieri, infatti, avevano tra l’altro competenze sulla formazione del bilancio comunale, sul rilascio delle licenze in materia edilizia e commerciale, sulla tutela dei diritti sanciti dalla Costituzione con particolare riguardo alle istituzioni scolastiche, alle iniziative culturali, all’assistenza sociale, ai trasporti, alla salute, all’impiego del tempo libero e allo sport, oltre che la facoltà di avanzare proposte, risoluzioni e progetti ritenuti di interesse della comunità locale.
L’obiettivo, evidente e dichiarato, era quello di contribuire al consolidamento della democrazia e del suo sviluppo, in un paese in cui la distanza e la separatezza tra il cittadino e lo Stato da sempre avevano costituito un retaggio tenace e difficile da superare e che oggi, purtroppo, con la crisi dei partiti e il venir meno della fiducia nella politica, appare di nuovo in forme e modalità preoccupanti per il presente e il futuro del Paese. E la lettera del cittadino di cui si parla ne è una pur piccola ma illuminante e significativa testimonianza.
La risposta della gente allora fu veramente entusiastica e straordinaria, e non solo per la presenza sempre più numerosa e partecipata alle assemblee pubbliche, ma per una esponenziale crescita della coscienza civica e dello spirito di collaborazione di ciascuno nella consapevolezza di contribuire, anche con la critica, all’interesse dell’intera collettività. E di ciò, non a caso, ebbe a giovarne poi quell’amministrazione, che nelle elezioni del 1976 fu riconfermata e premiata con un voto pressoché plebiscitario.
Danilo Alessi
Foto da "La Città di Portoferraio", mensile del Comune - Gennaio-Febbraio 1974.