All’insegna del malcontento nei confronti del Pd che non comprenderebbe cosa è la greeneconomy a cui al massimo dedica qualche convegno, gli ex senatori del Pd Ferrante e Della Seta hanno deciso di mettersi in proprio istituendo Green Italia non un partito ma neppure una associazione delle tante.
Anche gli ecodem -ossia la costola ambientale del Pd- come ha dichiarato Vigni si sono ‘stufati’ dei ritardi del partito a cui lanceranno addirittura un ‘ultimatum’.
Che le questioni ambientali abbiano assunto ormai una acutezza estrema nel paese è fuori discussione visti i movimenti, la crescita di associazioni e comitati, richieste di referendum, appelli e petizioni sostenuti da personalità di grande prestigio e autorità. Che ciò si ripercuota anche sulle forze politiche e le istituzioni non solo è naturale ma è anche un bene viste le troppe sordità che avevamo registrato anche in campagna elettorale anche da parte del Pd.
Nessuna sorpresa quindi che tutto ciò a fronte anche degli innegabili ritardi dello stesso Pd provochi disagi e possa indurre anche a forme di protesta –diciamo così-‘scissioniste’ di chi pensa che mettersi in proprio sia la sola risposta efficace anche se discutibile.
E’ dunque al merito di queste sortite ed ultimatum a cui bisogno guardare per capire se c’è del buono in queste turbolenze. Ma qui con sorpresa registriamo innanzitutto che di tutto quel che bolle in pentola dai referendum sull’acqua fino alle più recenti manifestazioni e appuntamenti nazionali che hanno impegnato anche il Presidente della Repubblica sul suolo, il paesaggio, i beni culturali non vi è traccia. E si parla non solo come è evidente di nodi cruciali per qualsiasi politica ambientale ma anche di un passaggio fondamentale che implica una vera riforma dello stato, quel famoso e inattuato nuovo titolo V della Costituzione che doveva riuscire finalmente a far operare in ‘leale collaborazione istituzionale’ stato, regioni ed enti locali i quali invece hanno ‘raddoppiato’ la loro conflittualità costituzionale.
Ma nelle interviste di Ferrante e anche di Vigni a Greenreport di tutto ciò non c’è traccia. In entrambi i casi la questione si ‘riduce’ –uso le virgolette- alla green economy. Partita naturalmente decisiva per noi -come per Obama- dopo i disastri dell’Ilva e tutti gli altri. Ma pur sempre e per tutti volta cambiare l’economia e sottrarla innanzitutto all’incontrollato e incontrollabile governo della finanza e della speculazione. E’ naturale che questa nuova politica economica avrebbe, ha e avrà sull’ambiente non gli stessi effetti rovinosi di quella in atto.
Ma l’ambiente non può e non deve in nessun caso dipendere dalle politiche economiche ancorchè rinnovate perché semmai sono queste che devono sottostare alle regole di una tutela dell’ambiente e specialmente dei beni comuni. Ma di questo stando a quanto finora letto non c’è traccia nei baldanzosi propositi di Ferrante e neppure di Vigni. Ed ecco perché non c’è traccia neppure di quella riforma dello stato ossia di un ruolo rinnovato delle istituzioni che guarda caso caratterizza invece proprio quei paesi citati e oggi all’avanguardia nelle nuove politiche verdi come la Germania e non solo.
Che in vista del congresso si suoni la sveglia ambientale è dunque bene purchè non lo si faccia con una agenda che ambientale in senso corretto ed anche costituzionale ha troppi limiti e omissis.
Renzo Moschini