Dopo le comunicazioni date sui lavori della costa, mi sento, a mia volta, di dovere alcune precisazioni.
Ho acquisito la proprietà dell’area confinante ai lavori nel 2014, sulla quale già gravava una sentenza del Tribunale di Livorno (2007) che dichiarava la zona «caratterizzata da vincoli ambientali, geologici» e che, al contempo respingeva una domanda di usucapione e il diritto di passaggio di alcuni vicini. Da questa sentenza si evince che su questi terreni non era possibile fare nessun intervento, se non il ripristino della stessa, allo scopo di proteggerla. Scopro che la zona sarebbe invece semplice «terreno agricolo».
Sono comunque stata ben felice di conformarmi a quelle che io avevo avute come prescrizioni: terreni di interesse naturalistico sui quali non eccedere «l’ordinaria manutenzione».
La zona è rimasta abbandonata per qualche decina di anni, finendo inevitabilmente per diventare una sorta di discarica. Mi sono impegnata personalmente, sulla mia proprietà e oltre, a rimuovere manualmente quantità enormi di rifiuti, compresi natanti e gommoni abbandonati e parzialmente o completamente interrati, nonché inerti derivanti da vecchie cabine che sorgevano a ridosso della spiaggia, in mezzo alla vegetazione.
Le mie azioni si sono limitate alla pulizia del canneto stesso, provvedendo ad eliminare le masse vegetali ormai morte, in modo da favorire proprio la ricrescita della vegetazione, facendo emergere piante autoctone, come alcune tamerici, allori e altro, che risultavano ormai seppellite. Mi sono anche costantemente e giornalmente occupata di rimuovere le plastiche e gli altri rifiuti portati sulla spiaggia antistante dalle mareggiate.
Per quel che riguarda il gazebo citato, si tratta in realtà di quattro pali di legno con una copertura di semplici canne, che delimitano la mia proprietà e che sono stati posizionati in un sito dove già la vegetazione era assente e non inficia, quindi, in alcun modo, la ricrescita della vegetazione stessa. Anche i varchi che consentono i passaggi nel canneto sono preesistenti alla mia acquisizione della zona, non ne sono autrice in alcun modo.
Da queste occupazioni, ho acquistato una buona conoscenza del posto, ed avevo potuto constatare che la vegetazione endemica mostrava segni di ripresa: le piante, liberate da ciò che le soffocava, stavano ricrescendo su quella che una volta era la duna naturale del posto.
Nello spazio di dominio pubblico, presso la fine del muro di un’altra proprietà, era stata precedentemente accumulata una montagna di posidonia, all’epoca considerata rifiuto speciale (e che quindi non poteva essere rimossa), di provenienza «incerta», in quanto nella zona antistante le mie pertinenze, visto lo stato della spiaggia, posso supporre che i lavori di asporto ed accumulo della stessa fossero solo sporadici.
Nel 2017, tale montagna, è stata spostata, dispersa e pressata sul litorale davanti alla mia proprietà.
Ma oggi, nel febbraio 2022, contemporaneamente ai lavori di ripristino della costa, è stata di nuovo movimentata (con l’aggiunta anche dei nuovi apporti del mare) ed accumulata in una sorta di alta «duna», in questo caso anche invadendo la mia stessa proprietà. Credo che, stavolta sì, questo rappresenti un danneggiamento della vegetazione in fase di ripresa, perché di nuovo alcune piante sono state ricoperte e soffocate e di nuovo quel che resta della duna naturale rischia l’arretramento, oltretutto trovandosi a ridosso di un tracciato definito dalla sentenza citata in apertura come non «precedentemente riconoscibile» e del quale non sono in alcun modo autrice.
È vero, i lavori non sono ancora terminati, ma mi sono sentita in dovere di intervenire proprio per scongiurare che l’intervento di ripristino possa recare danno a questa zona alla quale tengo particolarmente, anche oltre al fatto che ne sia proprietaria. Da parte mia ho già richiesto alcune correzioni e confido, come dichiarato, che siano eseguite.
Martine Mora
proprietaria del terreno confinante all’area di intervento antierosione sulla costa di Magazzini/Schiopparello