La notizia appare a prima vista incredibile. Ma è (purtroppo) vera. In piena stagione di allerta rischio per gli incendi boschivi, dopo le ampie devastazioni del territorio dovute alle fiamme nelle aree boscate della scorsa estate, viene varato un provvedimento che di fatto in sede di espiazione di pena elimina il carcere per i criminali responsabili di aver provocato – anche dolosamente – appunto un incendio boschivo. E questo – nel contesto del c.d. “decreto svuota carceri” – per contribuire al programma di riduzione della popolazione carceraria.
Ma vediamo nei dettagli cosa è successo.
Preliminarmente va ricordato – a beneficio dei lettori non esperti di diritto – che l’art. 423/bis del Codice Penale prevede l’importante reato di incendio boschivo. Un delitto basilare per il contrasto ai criminali incendiari di ogni categoria. Infatti tale articolo riporta nel primo comma il caso dell’incendio boschivo doloso (dunque che riguarda i veri e propri criminali incendiari), con una previsione di pena della reclusione da quattro a dieci anni; nel secondo comma prevede invece il caso dell’incendio boschivo colposo (punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni). Seguono poi nel terzo comma la previsione di un aumento di pena se dall’incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree protette, nel quarto comma altro aumento di pena se dall’incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all’ambiente.
Come appare evidente, si tratta di un reato di importanza straordinaria ai fini preventivi e repressivi rispetto al gravissimo e dilagante fenomeno degli incendi boschivi; dunque, un delitto cardine nel contesto del diritto ambientale, delitto che certamente non può essere inquadrato nella categoria dei c.d. “reati minori” (salvo il voler considerare “reato minore” il crimine di devastare con il fuoco il nostro restante e superstite patrimonio boschivo).
Dunque, se il soggetto imputato di tale grave reato (nella forma dolosa in primo luogo, ma poi anche nella forma colposa) dopo la conclusione della fase processuale viene riconosciuto colpevole verrà condannato comunque ad una pena di reclusione (pena detentiva) e dopo il passaggio in giudicato della sentenza (quando cioè sono esaurite in pratica tutte le fasi dei possibili appelli e ricorsi) si procederà con l’esecuzione della pena stessa. In pratica, viene data esecuzione alla carcerazione vera e propria per l’espiazione della pena (salvo che nel caso specifico la pena stessa non sia stata soggetta alla sospensione condizionale se il soggetto e l’entità della pena consentivano la concessione di tale beneficio). Questa procedura è disciplina dall’art. 656 del Codice di Procedura Penale il quale nel primo comma recita che “quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione”.
Appare evidente che – come in tutta la tipologia dei reati di maggiore danno sociale – la certezza della pena e della sua effettiva espiazione è un deterrente importante nella politica generale di contrasto verso i crimini come quello in esame. Cancellare tale certezza e tale prospettiva di espiazione, significa di fatto svuotare la portata preventiva e repressiva del reato e ridurlo in modo profondo nella sua potenziale rilevanza operativa.
Tuttavia il citato art. 656 C.P.P. nel quinto comma prevede una forma – per così dire – “attenuata” di esecuzione della pena. Infatti dispone che in alcuni casi minori specificatamente previsti come livello di pene, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9 dello stesso articolo, ne sospende l’esecuzione.
Sostanzialmente, si apre una strada alternativa per sostituire l’espiazione della pena detentiva in carcere con altre forme di espiazione più “leggere”, tra le quali – ad esempio – l’affidamento in prova ai servizi sociali o gli arresti domiciliari.
Appare evidente che la ratio legis di tale previsione è collegata al presupposto che i soggetti condannati in via definitiva che beneficiano di tale forma “attenuata” e diversificata di espiazione della pena (in pratica, per essere chiari; evitano il carcere…) hanno commesso reati di minore rilevanza, danno e pericolosità sociale. Ed infatti lo stesso art. 656 (ed è questo poi il punto che ci interessa direttamente in questa sede) nel successivo comma 9 pone dei limiti alla possibilità di attivare questa procedura più favorevole, ed elenca una serie di reati che evidentemente sono stati ritenuti fino ad oggi di particolare disvalore sociale e di maggiore danno collettivo e – dunque – i soggetti dichiarati con sentenza di condanna definitiva responsabili di tali reati non possono beneficiare di tale procedura “attenuata”. Un modello di coerenza generale rispetto alla ratio legis sopra citata che fino ad oggi è stato ragionevole e realistico. Infatti tra i reati che il successivo comma 9 prevedeva come inibenti per tale procedura era indicato – tra l’altro – anche l’art. 433/bis del Codice Penale.
Il concetto era chiaro. Anche se la sentenza di condanna per un criminale incendiario rientrava come pena irrogata a livello di quantificazione nella previsione dello schema del quinto comma dello stesso art. 656 C.P.P., se il titolo del reato era quello di incendio boschivo tale procedura “attenuata” non poteva essere attivata. In pratica, sempre per essere più chiari, tale soggetto doveva comunque espiare la pena detentiva della reclusione in un carcere.
Appare evidente che fino ad oggi – evidentemente e giustamente – il crimine di incendio boschivo era stato ritenuto delitto di particolare allarme e danno sociale e – di conseguenza – doveva essere escluso dall’alveo dei reati (minori) per i quali era possibile la procedura per la espiazione della pena in modo diverso senza carcere.
Ed è su questo delicatissimo e rilevante punto procedurale che è intervenuto il D.L. 1 luglio 2013 n. 78 con le conseguenze che stiamo esaminando. La modifica normativa è apparentemente sottile e silente, e forse per questo non è stata forse fino ad oggi recepita a livello di informazione generale nella reale portata delle sue conseguenze pratiche.
Infatti nel contesto del citato D.L. 1 luglio 2013 n. 78 (“Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”), pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 2013 (in attesa di conversione), che introduce – si sottolinea – dei meccanismi che riducono le ipotesi di carcerazione dei soggetti che non presentano una elevata pericolosità (ricorrendo determinati presupposti), tra le modifiche maggiormente rilevanti va segnalata – appunto – la revisione dell’art. 656 del Codice di Procedura Penale, che – come abbiamo visto – prevede l’immediata carcerazione dei soli condannati in via definitiva. Il punto di interesse in questa sede è che tale decreto nell’art. 1 stabilisce la cancellazione dell’art. 423/bis del Codice Penale dal contesto del comma 9 dell’art. 656 C.P.P. Cade così la pregressa – e logica – inibizione per attivare la procedura di espiazione pena “attenuata” a carico dei criminali incendiari responsabili anche di incendi boschivi dolosi.
In altre parole, da oggi chi brucia anche dolosamente un bosco può prevedere che se sarà individuato anche in caso di condanna (necessariamente alla pena della reclusione) poi comunque in sede di espiazione della pena non finirà in carcere per scontare la pena stessa ma potrà beneficiare della procedura “attenuata” che abbiamo sopra visto. Mi sembra che – di fatto – il reato di incendio boschivo (anche nella forma criminale/dolosa) viene sostanzialmente gettato nel calderone dei “reati minori”. E che il divieto di attivare le procedure esecutive “attenuate” riguardi comunque i reati di maggiore allarme e danno sociale è confermato dal fatto che il decreto attiva poi l’inibizione – ad esempio – per il reato 572, secondo comma, ed il reato di cui 612-bis, terzo comma, del codice penale (rispettivamente maltrattamento in famiglia a danno di minori di anni 14 e atti persecutori a danno di minori, donne in stato di gravidanza, disabili o commessi con armi). Giustissimo ampliare la sfera di previsione a tali reati. Ma perché togliere il reato di incendio boschivo?
Ora, le riflessioni sono diverse.
In primo luogo, sulle conseguenze. I criminali incendiari dolosi e – soprattutto e spesso – i loro mandanti sanno che da oggi nonostante le devastazioni al territorio che andranno a provocare, realisticamente non finiranno in galera. Questo, tenendo conto che abbiamo a che fare con veri e propri criminali, spesso azionati da interessi milionari ed a volte connessi a forme di connessione con criminalità organizzata, non può che essere la demolizione radicale di ogni effettivo deterrente e repressivo del reato di incendio boschivo. Non credo che siano necessari grandi teoremi giuridici per percepire come a fronte di tali forme criminali il fatto di aver sostanzialmente eliminato il carcere come forma di espiazione di pena ed il fatto di aver sempre di fatto derubricato e delegittimato il reato ex art. 423/bis nel novero dei “reati minori”, oggi peraltro in piena stagione di allerta per incendi boschivi, non può che sortire un effetto nefasto sulla prevenzione di tali incendi devastanti.
E’ veramente sconcertante che mentre da anni si parla (e si parla solo…) della necessità di introdurre nel nostro ordinamento giuridico i famosi delitti ambientali, uno dei pochi (veri) delitti ambientali che sono vigenti venga di fatto svuotato nella sua portata deterrente e repressiva in questo modo.
In secondo luogo, va rilevato che – come è noto a tutti coloro che operano nel settore – da sempre individuare un criminale incendiario doloso, raccogliere prove sufficienti a suo carico ed arrivare ad una sentenza di condanna è molto difficile. Questo perché logicamente l’incendiario nel momento in cui le fiamme si attivano si è già dileguato e la flagranza è un caso rarissimo. Servono dunque indagini difficili, complesse, spesso con sofisticati mezzi scientifici, impiego di personale specializzato, tempi rilevanti per giungere a tali identificazioni. Questo ha portato fino ad oggi ad una oggettiva statistica di soggetti condannati realmente bassa, a fronte di sforzi investigativi immensi che peraltro generano rilevanti costi per l’erario.
Si tratta di un numero esiguo di soggetti che certamente erano (e sono e saranno) irrilevanti ai fini del problema del sovraffollamento delle carceri… Verosimilmente la scarcerazione di tali soggetti incide in modo irrilevante sul problema della eccessiva popolazione carceraria.
Dunque perché, a fronte di tale modesto ed irrilevante effetto ai fini della finalità del decreto-legge, in dosimetria di confronto con il danno sociale ed ambientale che tale provvedimento può indirettamente contribuire a causare, si è deciso di adottare il provvedimento stesso?
Inoltre: appare altrettanto sorprendente che il decreto legge in questione – parallelamente al reato di incendio boschivo – ha eliminato il divieto della sopra citata procedura di espiazione pena “attenuata” anche per il reato di cui all’art. 624/bis de Codice Penale: furto in abitazione e “scippo”. Anche in tali casi, non credo che si debba essere fini giuristi per dedurre che eliminando dalla previsione di cui opera furti nelle abitazioni o “scippi” ai danni delle persone su strada la prospettiva di andare poi in galera per scontare la pena, non potrà che aversi come effetto indiretto un abbassamento del livello di prevenzione generale verso questi altri reati.
Resta infine da chiedersi come è possibile oggi utilizzare un decreto-legge per modifiche così radicali, importanti e – francamente – dai caratteri di urgenza veramente invisibili.
Peraltro si tratta di una modifica varata nel periodo estivo quando – realisticamente – i livelli di percezione (e reazione politica e sociale e culturale) sono tradizionalmente attenuanti dal clima balneare.
Auspichiamo – dunque – un movimento di opinione generale che percepisce ed affronti questo tema, prima della definitiva conversione in legge di questo decreto. I tempi sonio stretti, ed è stagione di vacanze. Fino ad oggi vi sono spazi per intervenire a livello legislativo per cancellare questa incomprensibile modifica. Una volta convertito in legge la modifica sarà definitiva. Il tema interessa qualcuno?
a cura di Maurizio Santoloci, Diritto all’ambiente