La coalizione tra destra ed estrema destra ha presentato il proprio Accordo quadro di programma in vista delle elezioni, anche se proprio un programma non è: nelle 17 pagine del documento spicca la quasi totale assenza di numeri, che si tratti di target quantitativi o scadenze da rispettare.
Si tratta più di un canovaccio, funzionale a garantire alta flessibilità nell’azione di governo, ma è comunque utile per individuare l’ordine delle priorità con cui la destra si presenta alle elezioni. Soprattutto se letto a testa in giù: all’ultimo dei 15 punti dell’Accordo quadro spiccano i «giovani» (messi insieme a sport e sociale); al penultimo «scuola, università e ricerca»; al terzultimo l’agricoltura – inquadrata come «la nostra storia, il nostro futuro»; al quartultimo «l’ambiente, una priorità», preceduta (e separata) da «la sfida dell’autosufficienza energetica».
L’Accordo è dunque coerente con l’approccio tenuto finora dalla destra in fatto di sostenibilità dello sviluppo, sotto il profilo sociale (si guardi ad esempio alla proposta di abolizione del reddito di cittadinanza, in un frangente in cui la povertà è ai massimi storici), economico (no a patrimoniali, sì alla flat tax) e pure ambientale.
Salvini del resto è lo stesso che nel 2016, da eurodeputato, votò contro la ratifica dell’Accordo di Parigi sul clima – la roadmap globale contro la crisi climatica – per poi continuare a deridere il tema negli anni successivi (ad esempio qui, qui e qui). Il partito guidato da Meloni non è da meno: tra le altre cose ha chiesto all’Europa uno stop al Green deal, e appena tre mesi fa ha delineato un manifesto dal sapore reazionario contro la transizione verde.
Un approccio che si traduce in alcuni punti fermi dell’Accordo. Sul fronte energetico, ad esempio, c’è il «pieno utilizzo delle risorse nazionali, anche attraverso la riattivazione e nuova realizzazione di pozzi di gas naturale», che al massimo potrebbero però coprire 7 mesi di consumi nazionali, mentre dei rigassificatori (uno dei quali atteso a Piombino, dove il sindaco di Fratelli d’Italia è da mesi sul piede di guerra) nel dubbio non si parla, ma è chiaro che sono un’opzione alla quale non si intende rinunciare.
In compenso nell’Accordo c’è la «creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro», che però ad oggi – in attesa della fusione, in forse al 2050 – non esiste; forse non a caso anche su questo punto il testo non riporta alcuna temporalità (o ipotesi di localizzazione), sorvolando sugli improbabili «7 anni» sbandierati pochi giorni fa da Salvini per la realizzazione della prima centrale nucleare.
Sul piano infrastrutturale, invece, l’unica opera individuata in modo puntuale riguarda il «potenziamento della rete dell’alta velocità per collegare tutto il territorio nazionale dal Nord alla Sicilia, realizzando il ponte sullo Stretto». Un classico intramontabile da decenni per i programmi elettorali della destra-centro – che in oltre vent’anni di governo gli stessi protagonisti non hanno mai saputo concretizzare –, per la verità accarezzato anche dall’esecutivo Draghi.
Guardando infine alla voce ambiente, al primo punto l’Accordo parla di «rispettare e aggiornare gli impegni internazionali assunti dall’Italia per contrastare i cambiamenti climatici», senza chiarire bene cosa aggiornare potrebbe significare in concreto, visto anche l’approccio mantenuto sul tema dai riferimenti internazionali della destra nostrana, spaziando da Trump a Bolsonaro fino ai camerati sovranisti dell’Europa orientale.
Una vaghezza che si ritrova nella «definizione ed attuazione del piano strategico nazionale di economia circolare in grado di ridurre il consumo delle risorse naturali, aumentare il livello qualitativo e quantitativo del riciclo dei rifiuti, ridurre i conferimenti in discarica, trasformare il rifiuto in energia rinnovabile attraverso la realizzazione di impianti innovativi e sostenibili».
Per quanto riguarda la biodiversità, poche righe ma scritte abbastanza male: «Salvaguardia della biodiversità, anche attraverso l’istituzione di nuove riserve naturali. Promozione dell’educazione ambientale e al rispetto della fauna e della flora». Sembra quasi che per non scrivere le parole Parchi e Aree marine protette si sia fatto ricorso a un artificio lessicale, che potrebbe creare non pochi problemi attuativi al destra-centro. Infatti, le riserve naturali hanno di solito vincoli più restrittivi dei Parchi, possono essere istituite e gestite senza il consenso delle comunità locali e apportare meno benefici economici.
Il problema è che tra gli impegni internazionali assunti dall’Italia da «rispettare e aggiornare» ci sono anche quelli per proteggere il 30% del territorio e del mare italiani – cosa non sempre gradita all’elettorato di destra – ma non si potrà certo farlo con nuove riserve naturali, come ben sa il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che quegli impegni li ha sottoscritti, e che Matteo Salvini ha ricandidato allo stesso dicastero per l’ottimo lavoro che, secondo lui, ha fatto.
In merito invece “all’educazione ambientale e il rispetto della fauna e della flora”, la speranza che in quest’ambito non venga ricompresa anche l’educazione alla caccia alle elementari – cara sia a Fratelli d’Italia sia alla Lega – e l’abbattimento dei lupi, relegando la difesa dell’ambiente all’animalismo disneyano di Berlusconi, tra agnellini e barboncini.
Complessivamente dunque l’Accordo quadro elaborato dalla coalizione di destra – principale candidata alla vittoria elettorale – non dice granché sullo sviluppo sostenibile, ma tra quel che afferma e il non detto le premesse non sembrano delle migliori. Soprattutto per un Paese come il nostro, che è già oggi fortemente indietro sulla tabella di marcia della decarbonizzazione, come anche su quella tracciata dall’Agenda Onu al 2030 per lo sviluppo sostenibile. Entrambi impegni internazionali che l’Italia si è impegnata a rispettare, ma che presto potrebbe voler aggiornare.
Luca Aterini - greenreport.it