L’Elba ha 224 km2 e circa 32mila abitanti di cui 12mila a Portoferraio.
Nel 1890 la fortezza spagnola o Forte San Giacomo diventa carcere.
Sono 132 anni che gli elbani convivono con la Casa di Reclusone di Porto Azzurro. Fino agli anni 50’ e 60’ quando è avvenuto lo sviluppo del turismo, Porto Longone e dal 1947 Porto Azzurro, dipendeva economicamente e socialmente dal carcere.
Fu l’amministrazione comunale dell’epoca verso la fine del XIX secolo a proporre ed ottenere che la fortezza militare si trasformasse in carcere, che costituì un’ottima risorsa lavorativa, soprattutto in quegli anni in cui gli abitanti erano piegati da una durissima crisi economica.
Nel XXI secolo il carcere continua ad essere una risorsa e un volano per l’economia elbana. Diverse associazioni di volontariato partecipano e entrano ogni giorno in carcere per dare il loro contributo alla rieducazione e al reinserimento nella società di persone che hanno sbagliato e pagano con la libertà i propri errori.
La questione principale è il lavoro.
Sarebbe opportuno avere idee chiare affinché i detenuti fossero impegnati con borse di lavoro, nei servizi di raccolta, spazzamento, pulizia, nella manutenzione di parchi, scuole, edifici pubblici di pertinenza dei Comuni della Provincia. La manutenzione come la risistemazione di aiuole, parchi, boschi, spiagge, sentieri, cancellate, aule e cortili scolastici. Ai detenuti potrebbe essere fornito il buono pasto e i biglietti per l’autobus – istituire alla Porta Medina una fermata con il prolungamento della linea 117 –. Saranno istruiti con dei tutor comunali o aziendali. Potrebbero uscire in SL (semilibertà) o lavoro all’esterno. Altri detenuti potrebbero uscire, come ora, per altri lavori in aziende che loro stessi, i servizi sociali o l’area educativo-pedagogica del carcere hanno individuato. Sempre tutti retribuiti, con stipendi veri e propri o con borse lavoro. Nessuno "gratis", perché ogni lavoro va rispettato e compensato, altrimenti non è lavoro ma sfruttamento. Sarebbe mortificante non tenerne sempre conto.
Ci si avvantaggerebbe, infatti, di una di debolezza di chi non ha alcun potere negoziale, perché detenuto. Ovviamente, dalle retribuzioni saranno prelevate le quote mantenimento, le spese di giustizia, il pagamento di multe o altro, e quanto fosse debito del detenuto. Il ristretto potrà disporre, nel rispetto delle norme, di quanto residuo, spendendolo e/o inviandolo alla sua famiglia. In tal modo, alleggerendo di molto anche il carico di lavoro del personale, in specie quello della polizia.
Sarebbe necessario coinvolgere le Organizzazioni Sindacali dell’isola per evitare l’inimmaginabile. Le OOSS non del personale penitenziario, ma delle aziende dei servizi, potrebbero avanzare dubbi se non protestare perché con l’impiego delle persone detenute ci potrebbero essere meno assunzioni, così come forse l’indebolimento di eventuali rivendicazioni salariali e di trattamento contrattuale degli – onesti lavoratori –, i quali potrebbero vedere il rischio di un sottile sabotaggio verso le proprie azioni pure in caso di scioperi o altro.
Potrebbe verificarsi il pericolo che le aziende municipalizzate si ritirino dalla partita, perché politicamente la cosa non paga. Non potrebbero sopportare dei conflitti aziendali. Superfluo dire che tra i detenuti l’assenteismo e le malattie non sarebbero di casa. Negli ultimi anni, invece, l’Amministrazione penitenziaria ha celebrato la gratuità e la “volontarietà” – altra cosa la spontaneità – del lavoro.
Chi non lo preferirebbe alla grate e ai cancelli chiusi!? Davvero è la cosa giusta oppure è un altro tipo di pena camuffata. Basterebbe porsi con chiarezza e onestà.
Il lavoro, il diritto al lavoro ed alla giusta retribuzione, continuo a credere siano altra cosa. Forse sono giurassico e forse ancora innamorato del – diritto del lavoro –, perciò perdonatemi.
Enzo Sossi funzionario carcere di Porto Azzurro