Ci ricordiamo le immagini del novembre 1979 quando l’ambasciata americana a Teheran fu presa d’assalto. Da allora i rapporti tra i due Paesi sono interrotti. US Soccer, la Federazione calcistica statunitense ha cambiato la bandiera iraniana sui propri siti togliendo i simboli della rivoluzione. Immediata la protesta di Teheran. La guerra psicologica è cominciata. I giocatori non corrono sul manto erboso del campo di calcio ma su un letto di carboni ardenti geopolitici.
La partita al centro di polemiche straordinarie, degne di nota anche per questi Mondiali, che rischiano di essere ricordati come un evento politico piuttosto che sportivo.
La Federazione statunitense ha cambiato la bandiera dell’Iran sulla propria pagina dei social media per evidenziare le manifestazioni delle donne iraniane verso il regime teocratico degli Ayatollah. Probabilmente anche creando un’enorme distrazione per la propria nazionale.
La mossa ha spinto la stampa iraniana a twittare: “Il Team USA dovrebbe essere espulso dalla World Cup 2022”. L’allenatore e il capitano della nazionale statunitense nella conferenza stampa hanno ricevuto una serie di domande dai giornalisti iraniani più politiche che sportive.
Al mister, che è afroamericano, è stato chiesto come si sente a rappresentare un Paese in cui c’è così tanta discriminazione razziale. “Non avevamo idea di cosa avesse fatto US Soccer. Lo staff, i giocatori, non ne sapevano nulla. Tutto quello che possiamo fare è scusarci a nome dei giocatori e dello staff”. Si è scusato anche per avere pronunciato male Iran, e ha insistito sul fatto che aveva visto notevoli progressi nelle relazioni razziali. Sia il capitano che l’allenatore sembravano preferire domande sulla partita di calcio piuttosto che sulla guerra per procura che dura da quattro decenni.
Il gesto di US soccer potrebbe avere dato ai media e alle autorità di Teheran l’opportunità di distrarre l’opinione pubblica dalle proteste delle donne iraniane, che i calciatori hanno evidenziato con grande rischio personale rifiutandosi di cantare l’inno nazionale nella partita d’esordio e con la dichiarazione del capitano che la squadra sostiene il movimento di protesta. Alcune fonti riferiscono che le famiglie dei giocatori sono state minacciate di prigione o peggio.
Le emozioni che circondano la partita sono solo l’ultimo esempio dei venti politici che hanno travolto i Mondiali in Qatar. Una scelta fatta dalla FIFA che possiamo definire incomprensibile, senza timore di essere smentiti e che ha innescato un acceso dibattito sui diritti umani, LGBTQ+, delle donne e dei lavoratori. Non è una novità che le tensioni globali si svolgano anche negli eventi sportivi. Tuttavia, la mossa inopportuna di US Soccer di mettere altra brace al fuoco di un gioco già molto delicato tra Stati Uniti e Iran potrebbe rivelarsi un autogol sia politico che sportivo.
Enzo Sossi