Pochi giorni fa il Parco dell’Arcipelago Toscano ha annunciato con grande orgoglio l’avvenuta eradicazione della popolazione di mufloni che viveva sull’isola del Giglio. Decine di animali sono state trasferite sulla terra ferma in virtù di un accordo sottoscritto dal Parco con LAV e WWF, mentre la stragrande maggioranza dei mufloni è stata fucilata dai cacciatori scortati dalle forze di Polizia.
Sangue versato allo scopo di tutelare la biodiversità, come previsto dal progetto LIFE Let’go Giglio finanziato dalla Commissione Europea. Una tutela della biodiversità che funziona però a corrente alternata nelle stanze della direzione e della presidenza del Parco.
Sono anni, infatti, che tutta l’isola del Giglio è interessata dal fenomeno del bracconaggio, in particolare nei confronti delle popolazioni di conigli selvatici. Una situazione di illegalità diffusa nella quale alcuni residenti, con il pretesto di difendere i loro orti, utilizzano dei lacci in acciaio per catturare e uccidere i conigli selvatici che vivono sull’isola.
Un sistema vietato dalla legge nazionale sulla tutela della fauna selvatica, che causa una morte straziante agli animali che cadono nella trappola.
I lacci sono costituiti da un cappio costruito con un cavetto di acciaio flessibile e vengono posizionati a terra lungo i percorsi normalmente utilizzati dai conigli. Quando l’animale entra nel cappio, questo comincia a stringersi, impaurito il coniglio cerca di fuggire causando l’ulteriore restringimento del cappio. Se il coniglio ha la “fortuna” di essere catturato al collo muore soffocato dopo qualche minuto, ma nei molti casi in cui il cappio si stringe attorno alla zona addominale, devono passare delle ore di straziante sofferenza prima che il coniglio muoia per le lesioni riportate dagli organi interni o per un blocco intestinale.
Il bracconaggio interessa anche l’area del Parco dove è solidamente radicato, come confermato dalle decine di lacci e bocconi avvelenati rinvenuti in
questi giorni da alcuni volontari animalisti che, in collaborazione con i Carabinieri della Stazione di competenza, hanno passato al setaccio proprio alcune zone del Parco.
Tuttavia, nessuna azione concreta risulta organizzata dal Parco contro questo fenomeno oramai endemico all’isola del Giglio. È sufficiente digitare la parola “bracconaggio” nella barra di ricerca del sito web istituzionale del Parco, per rendersi conto che nessuna azione preventiva o repressiva è organizzata o anche solo citata dal Parco, quasi come se il bracconaggio fosse un fenomeno tollerato, per quanto illegale.
“Se ne deduce che, secondo il Parco, la biodiversità rappresenta un valore da tutelare solo quando ci sono in ballo i finanziamenti milionari della Commissione Europea e le attività conseguenti comprendono l’uccisione di animali indifesi come i mufloni – dichiara Massimo Vitturi, responsabile LAV, Animali Selvatici - mentre l’interesse decade quando sarebbe necessario avviare indagini e azioni legali contro le persone responsabili dell’uso di lacci e veleni.”
Nel 2021 il Parco dell’Arcipelago Toscano aveva predisposto un Piano operativo relativo agli interventi che il Reparto Carabinieri dipendente dal Parco stesso deve attuare in maniera prioritaria. Tuttavia, il contrasto del bracconaggio appare solo come una postilla del capitolo dedicato all’”Attività di vigilanza su catture e abbattimenti degli ungulati”.
È evidente quindi la necessità e l’urgenza che anche il Parco faccia la sua parte – conclude la LAV – implementando nel piano operativo un capitolo specifico destinato alle azioni da implementare per il contrasto del bracconaggio, a tutela della biodiversità nella sua totalità.”
Le prove degli atti di bracconaggio raccolte all’isola del Giglio sono state inviate alla Procura di Grosseto perché siano avviate scrupolose indagini e puniti i responsabili di atti così vili e violenti, oltre che illegali.