Ricapitoliamo.
Il primo male che affligge la politica elbana è l'assetto amministrativo con la perdita del limite di mandati. Ma questa è una dinamica che può essere sanata solo a livello di legge nazionale. Qui possiamo solo registrarla.
Il secondo è l'astensionismo e la carenza di partecipazione. Qui bisogna fare i conti con una società sempre più anestetizzata, se non alienata, che si renderà conto del pericolo che corre la democrazia, quando ormai sarà troppo tardi, e i danni enormi che gli incapaci e trafficoni che dominano la politica hanno fatto li pagheranno con gli interessi le generazioni future. Non sarà per niente facile per una minoranza di volenterosi cambiare le cose. Ma l'importante è provarci.
Il terzo è la mancanza di partiti o gruppi che facciano opposizione e costituiscano alternative costruttive e critiche. Qui è una questione di qualità della politica, che all'Elba è pessima. Ma dicendoci che i politici fanno schifo e noi siamo i buoni, non ci assolviamo.
Non ci sono quindi soluzioni? No, una potrebbe esserci. Ma ve lo premetto subito: per l'Elba è totalmente irrealizzabile. Il comune unico.
Ora, chi scrive è sempre stato a favore di questa soluzione, pur non essendone un accanito fan e rimanendo fortemente scettico su alcune pittoresche motivazioni e improbabili personaggi che recentemente se ne fanno paladini. Ma in ordine all'argomento che stiamo trattando, bisogna marcare gli aspetti positivi che questa soluzione porterebbe. Realisticamente bisogna riconoscere che non risolverebbe il problema, ma in parte lo mitigherebbe. Andiamo con ordine.
Riguardo all'aspetto dell'organizzazione amministrativa, un comune di 30mila abitanti ci collocherebbe entro i limiti dei due mandati per il sindaco dell'Elba. Quindi nel minimo sindacale di un'alternanza di maggioranze, o perlomeno di persone, a guidare il nostro territorio. E già questa alternanza sarebbe un miglioramento della salute di molti paesi retti da decadi da sepolcri imbiancati.
Inoltre l'opposizione in consiglio comunale, pur essendo fortemente limitata, avrebbe numeri più consistenti per incidere nella discussione. E non potrebbe permettersi di abdicare al suo compito, come avviene ora in quasi tutti i comuni. Sarebbe un suicidio per consiglieri votati da migliaia di persone: se venissero meno al ruolo di opposizione, molto probabilmente i partiti che rappresentano e non pochi elettori li aspetterebbero fuori col forcone.
Un grande comune non è un segno automatico di alternanza, ma di sicuro è un incentivo in più. Come si vede nel caso di Portoferraio, per la sua importanza in termini di popolazione, esso mostra un più alto tasso di ricambio tra amministrazioni, e, negli ultimi trent'anni, il sindaco uscente spesso non parte da favorito alle elezioni. Negli altri comuni invece assistiamo alla trasformazione in feudi personali, con sindaci uscenti praticamente imbattibili nelle contese elettorali. E con la tendenza, come vediamo quest'anno e potrebbe diventare diffusa, a non trovarsi neanche un avversario di paglia. Con il comune unico ovviamente c'è il rischio di trovarsi con un ras isolano, ma le probabilità sono molto più basse, in un contesto più articolato e meglio organizzato dai partiti.
Il caso di Portoferraio è sintomatico anche per un altro aspetto. È l'unico comune di dimensioni tali per cui i partiti sono costretti ad assumersi responsabilità di rappresentanza: con il comune unico la responsabilità si accrescerebbe. I partiti non potrebbero sottrarsi al loro ruolo: allora si vedrebbe quali di essi metterebbero in campo una capacità di selezione della classe dirigente, programmi veramente validi e applicabili, concertazione tra gli interessi dei vari paesi, ottiche globali e genuinamente generali per il sistema Elba.
Il comune unico non risolverebbe il problema dell'astensione, sia chiaro. Ma comunque toglierebbe il potere di condizionamento di capibastone paesani, che non potrebbero più contare su poche decine di voti per blindare posizioni di privilegio.
È illusorio anche pensare che la qualità della politica si innalzi di molto con il comune unico. Ma certo l'accesso ai posti troverebbe un'asticella molto più alta. Questo significa che, magari non ci sarebbero geni tra sindaci, assessori e consiglieri, ma di sicuro sfoltirebbe le fila di mediocri e mezze calzette.
Una delle obiezioni più diffuse è che il comune unico farebbe estinguere i cacicchi e gli interessi paesani, ma per farli confluire in un sistema più organico e strutturato. È un'obiezione sensata: un'amministrazione unica incapace e incistata di conflitti di interesse potrebbe approvare progetti molto più dannosi per l'intera isola, e non come adesso per il singolo comune di competenza. In pratica, tutti gli elbani pagherebbero una malapolitica centrale o un disastro ambientale o economico o sociale. Ma questa criticità ha un grosso limite.
Proprio il fatto che le politiche dannose sarebbero più generali e di ampio respiro, le smaschera meglio, consentendo un'azione unica di contrasto. Non quella attuale di un estenuante controllo su sette politiche praticamente identiche, soprattutto in tema di gestione del territorio, con azioni in piccolo ma non meno dannose per tutti. Un conto è contrastare un mostro solo, un altro è trovarsi di fronte un mostro a sette teste.
Ma tutte le ragioni dette, paradossalmente, sono proprio tra quelle che non consentiranno la nascita di un comune unico. Perché esso 1) implicherebbe un'autorevolezza che i partiti elbani non hanno; 2) sarebbe la morte di interessi localistici e rendite di posizione; 3) gli stessi elbani lo vedono con indifferenza, se non con insofferenza.
In ogni caso, se gli elbani non prenderanno atto che la politica attuale delle amministrazioni è praticamente in deficit di ossigeno democratico, non cambieranno mai le cose, sia che ci teniamo sette comuni o che ne facciamo uno solo. Anzi, si potrebbe quasi dire, anche qui paradossalmente, che proprio perché non mostriamo nessuna intenzione di cambiare in meglio le cose nei nostri singoli comuni, e piuttosto accettiamo passivamente la cattiva gestione di essi, a maggior ragione non ci spingeremo a quel salto di qualità di contare di più quale comunità elbana in senso veramente ampio. E sprofonderemo sempre più nelle democrature di basso livello.
In conclusione, se non ci riassumiamo il dovere (e sottolineo, dovere) civico di cittadini custodi e difensori della nostra democrazia, non potremo avere nessun (e sottolineo, nessun) diritto di meritarci una buona rappresentanza.
E vivremo tutti sottomessi e contenti.
Andrea Galassi