Abbiamo letto con interesse quanto scriveva, qualche giorno fa, il prof. Cambi su Portoferraio, divenuta negli anni un affannato centro servizi dedicato a tutto un territorio sul quale non ha competenze amministrative. A dire il vero una decina di anni orsono il tentativo di fare dell’Elba un unico Comune avrebbe potuto indicare la strada per cominciare a affrontare in modo strutturato e guardando al futuro il destino dell’isola. Il fallimento del referendum ha reso, negli anni successivi, più concreto e meno facilmente sanabile lo stato di lenta ma progressiva crisi del nostro territorio, sia dal punto di vista ambientale che dell’industria turistica e, non ultimo, del benessere nel senso più completo del termine, di chi lo abita e che all’ambiente e al turismo è, nel bene e nel male, strettamente connesso.
Come diciamo da anni insieme a Italia Nostra e come confermano oggi autorevolmente anche due ex sindaci di Portoferraio, la nuova e pervicace riproposizione dell’ampliamento dell’Alto Fondale da parte dell’Autorità Portuale non fa che aggravare lo snaturamento dell’ambiente naturale e storico che, insieme, costituiscono la nostra vera, fondamentale e principale risorsa in grado di consolidare, destagionalizzare e migliorare quantitativamente e qualitativamente l’afflusso turistico negli anni a venire.
Data la frammentazione amministrativa, che sempre più di frequente sostituisce la partecipazione e il confronto politico e culturale con liste onnicomprensive e uniche, rappresentanti spesso di interessi particolari, sembra quasi cristallizzata l’impossibilità di elaborare un progetto territoriale, unitario, duraturo e proiettato nel futuro, che permetta alla nostra isola e al nostro Arcipelago di darsi obiettivi, strettamente interdipendenti, di benessere diffuso, giustizia sociale e protezione ambientale. Invece, si ripropone ostinatamente un modello di turismo appartenente al passato, spesso rapace e inquinante, in un porto già fortemente ammorbato da traghetti obsoleti e indegni di una destinazione turistica moderna.
Nel vuoto progettuale fioriscono le idee più estemporanee, dal tunnel sottomarino con il continente all’aeroporto internazionale basato su presupposti e obblighi che si sono rivelati inconsistenti, senza che ci si decida almeno a realizzare le minime infrastrutture sostenibili dei trasporto pubblici marittimi e terrestri necessarie a mantenere la capacità di accoglienza a livelli europei. Un ritardo cronico, una paralisi politica/amministrativa che bene si esplicitano nella storia trentennale del Canile Comprensoriale e in quella ultra-quarantennale della mancata istituzione dell’Area marina protetta.
La crisi del turismo dell’estate 2024 conferma che è mancata e tuttora manca una approfondita riflessione comune adeguata alla complessa e rapida evoluzione in corso dei flussi turistici italiani e stranieri, su come potremo intercettarli nei prossimi 30 anni e sulle loro connessioni con il sempre più incalzante cambiamento climatico.
In questo preoccupante panorama spicca, purtroppo sola, un’unica operazione avviata guardando al futuro con inusuale chiarezza, il Sistema Museale di Arcipelago, ancora giovane ma già luminosa stella che brilla in un cielo altrimenti piuttosto buio.
Per il resto prevalgono troppo spesso interessi settoriali di breve respiro, lobby più o meno potenti ma di scarsa o talvolta dannosa progettualità, sovente impegnate soprattutto nella difesa di privilegi e rendite di posizione. In un’isola e in un Paese in rapida decrescita demografica si pensa ancora di poter costruire all’infinito. Mentre in Europa dove le politiche dei trasporti vanno verso la sostenibilità, lo sharing e la diminuzione delle auto pro-capite, mentre si parla di infrastrutture verdi e di foreste urbane per mitigare il riscaldamento climatico e abbellire e rendere più vivibili le città, all’Elba si presentano ancora i parcheggi, l’asfalto e il consumo di suolo come l’unico futuro possibile.
Le Amministrazioni si mostrano spesso deboli, permeabili a istanze particolari, con scarsissima attenzione al territorio, ai beni comuni e al patrimonio ambientale che della nostra industria turistica costituiscono il fondamentale terreno di consolidamento e crescita.
La destagionalizzazione – al di là del fenomeno del trekking in gran parte sviluppatosi spontaneamente e per l’intuizione di qualche imprenditore illuminato, ma che soffre ancora di scarsi servizi dedicati - è rimasta in gran parte eterna chiacchiera da bar e da comizi, e le principali infrastrutture delle quali l’Elba ha urgente bisogno, trasporti pubblici efficienti e rete ciclabile, sono le prima trascurata al punto di non costituire una seppur minima alternativa al traffico automobilistico, la seconda tuttora svogliatamente in stato pre-progettuale e chissà se mai ne vedremo la realizzazione.
Il mancato aggiornamento della vetusta visione politico/economico/ambientale del turismo e delle sue strutturali connessioni lo ha sempre più concentrato nei 3 mesi estivi – che stanno accorciandosi sempre più in un’”alta stagione” effimera - e viene vissuto dai più, quasi con rassegnazione, come una necessaria ma inguaribile malattia. Se vogliamo evitare che la malattia diventi irrimediabilmente cronica e, alla lunga, porti alla omologazione della nostra isola, nel ruolo avvilente di ultima ruota del carro rispetto a realtà che hanno, per dimensioni, ambiente naturale e storia turistica, qualità diverse e spesso inferiori alle nostre, è giunto il tempo di cominciare a definire il più possibile unitariamente, usando con onestà intellettuale strumenti di conoscenza adeguati, quale Elba vorremmo avere (e avranno gli abitanti futuri) fra 30 anni, quando i nostri figli e nipoti vivranno in un’isola, in un Arcipelago, in mondo che saranno cambiati velocissimamente.