Intervista a Carlo Mazzerbo, da pochi giorni di nuovo Direttore dell'Isola Carcere di Gorgona e autore di un libro dedicato alla sua esperienza nel penitenziario
Dopo Gorgona, Porto Azzurro e Massa Marittima, Carlo Mazzerbo di nuovo direttore del Carcere di Gorgona. Un carcere che lei conosce bene. Cosa ha trovato di diverso al suo ritorno?
"L'isola è sempre bella e affascinante, almeno per me; è come se avesse una propria vita che le permette di sopravvivere ad ogni evento umano.
La mancanza di figure stabili, in primo luogo di un direttore, ha avuto effetti negativi sull'organizzazione del carcere e quindi della vita sull'isola, sulla qualità dei servizi e delle attività gestite dall'Amministrazione con i detenuti".
Quali sono i suoi progetti per Gorgona?
"Stiamo lavorando,d'intesa con il Dipartimento e con il Provveditorato Regionale, per riorganizzare su basi completamente nuove il penitenziario di Gorgona.
Pensiamo ad un modello ancora più "leggero" del passato, con 80/90 detenuti in regime di lavoro all'esterno (art.21 dell'ordinamento penitenziario), con un numero ridotto di operatori penitenziari che prestano servizio a rotazione per brevi periodi e soprattutto di individuare soggetti esterni validi a cui affidare la gestione di servizi e attività produttive. L'Amministrazione non è più in grado, a causa dei drastici tagli, di farsi carico dell'intera gestione, pena la inevitabile chiusura del carcere".
Gorgona è una esperienza di cui ha parlato nel suo libro" Ne vale la pena" uscito da poco. Qual è il messaggio che ha voluto dare?
"Il messaggio che vorrei trasmettere è fondamentalmente uno: a Gorgona non si faceva niente di particolare, si è solo applicato la legge, dalla Costituzione alle norme penitenziarie. Oggi si scopre che il regime in vigore, praticamente nella quasi totalità degli Istituti di pena, cioè chiusura nelle celle per 16/18 ore al giorno è illegittimo; come ci ha ricordato la Corte Europea dobbiamo applicare le leggi che abbiamo, che in teoria sono sopra gli standar europei, con le limitazioni imposte per i detenuti effettivamente pericolosi".
Il suo carcere ideale
"Utopisticamente quello che non esiste, ma realisticamente lo immagino, e lavoro per questo, come un luogo di doveri e di diritti, dove le istituzioni, tutte e non solo quella penitenziaria, si pongono su di un piano di non contrapposizione ma offrono strumenti e percorsi concreti e validi perchè ogni utente possa rivedere, coscientemente, il proprio passato e di agire sulla base di valori diversi per costruire un futuro da cittadino".
Il suo concetto di rieducazione
"Non ho mai amato questo termine, perchè i nostri utenti non sono bambini, ma adulti, persone ben strutturate. Ripeto dobbiamo offrire modelli diversi da quelli da loro conosciuti, facendoli sentire parte di questa società , non vittime come spesso accade, e soprattutto attori del loro futuro, promovendo una forte azione di responsabilizzazione"
Come si concilia nel rapporto con il detenuto l’atteggiamento punitivo da un lato e quello riabilitativo positivo/motivante dall’altro? Sembrano in contraddizione. La reclusione non crea ribellione?
"Apparentemente sì, sembrano due concetti opposti e per tanti troppi anni sono stati vissuti così. L'aspetto punitivo non deve essere fine a se stesso, come un momento afflitivo che finisce per annullare la personalità dei soggetti, richiedendo una mera e passiva accettazione delle regole. Dobbiamo, a mio avviso, lavorare per coinvolgere il numero più alto possibile di utenti, attraverso il diaologo, il confronto ed il rigoroso rispetto delle regole".
Il ruolo del volontariato nella riabilitazione dei detenuti
"I volontari rappresentano una preziosa risorsa per l'attuazione dei nostri fini istituzionali; la figura ed il ruolo è molto cambiato negli ultimi anni, passando dal fornire solo aiuti materiali (anche se con la crisi di oggi è forte la richiesta di beni di prima necessità), a riferimento concreto del mondo esterno e che svolge , collaborando con gli operatori, molte attività interne di natura ricreativa, culturale e sportiva e soprattutto costituendo un importante riferimento esterno nel momento per tanti delicato di avvio di un percorso esterno".
Ritiene che una maggiore apertura delle carceri al rapporto col territorio possa aiutare?
"Naturalmente,perchè i problemi sociali appartengono alla società e pertanto possono trovare una soluzione se c'è condivisione e partecipazione. Le carceri si devono aprire nei modi previsti dalla legge per creare una rete di sostegno e interventi e soprattutto per iniziare ad abbattere la diffidenza che avvolge ancora il nostro ambiente ed in particolare i detenuti, perchè solo con la reciproca conoscenza si può stabilire una giusta relazione"
Abbiamo letto in passato sulla stampa di alcune indagini in cui lei era stato coinvolto. A che punto siamo? è tutto rientrato?
"Purtroppo i tempi della giustizia sono lunghi, troppo lunghi, ma sono sereno e confido nell'operato dei giudici, sapendo di non aver violato alcuna legge e di aver sempre lavorato nell'interesse dell'Amministrazione , ricambiato dalla stessa che conoscendomi ha sempre riposto in me fiducia e considerazione, per i valori a cui mi sono sempre ispirato, per il pienol rispetto delle leggi. E questo mi è di grande conforto".
NE VALE LA PENA di Carlo Mazzerbo e Gregorio Catalano
Gorgona, l'isola più piccola e più verde dell'Arcipelago toscano, per molti anni è stata lo scenario naturale di un'esperienza carceraria unica, che ha reso i detenuti protagonisti con il lavoro e la possibilità di un reinserimento effettivo, in un contesto di 'libertà' e nel rispetto della Costituzione.
In quei due chilometri quadrati a diciotto miglia marine dalla costa, il direttore Carlo Mazzerbo è riuscito ad applicare l’articolo 27: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Dettato disatteso in molti istituti di pena, nonostante le sentenze della Corte di Strasburgo e le ripetute denunce del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Mazzerbo racconta come sia riuscito a far rompere ai detenuti l'emarginazione con la pesca, l'acquacoltura, l'agricoltura e l'allevamento, favorendo attività economiche e legami impensabili. Poliziotti e reclusi hanno studiato insieme per la licenza media, hanno formato una band musicale e un armo di canottaggio. Una vicenda di successi esaltanti, ma anche di cocenti sconfitte, culminate in due delitti che hanno portato al ridimensionamento il 'laboratorio Gorgona'
Aurora Ciardelli