A Palermo si è discusso con il ministro Orlando, Federparchi e Legambiente del ruolo dei parchi in rapporto soprattutto alla biodiversità ma anche alla economia verde o ecosostenibile.
Cogliati Dezza di Legambiente ha detto che ce n’era bisogno per sgombrare il campo da tentazioni ideologiche – quali? - essendo chiaro ormai anche quali sono le modifiche di legge che si rendono indispensabili per ripartire e non solo con i parchi nazionali.
Federparchi ha ribadito da parte che la biodiversità è importante per i parchi ma anche per il turismo e per l’economia green di cui i parchi costituiscono un punto d’incontro determinante.
Orlando meno vagamente ha detto che si fatica ancora e non poco a far capire che le politiche ambientali –vedi suolo e piani idrogeologici- costituiscono un passaggio decisivo anche per un cambio di marcia dell’economia e per uscire dall’attuale crisi.
Abbiamo registrato anche il richiamo al parco come laboratorio, luogo cioè di sperimentazione di nuove forme di governo del territorio.
Forse si può partire da qui per rilevare la persistenza di posizioni che finora hanno contribuito più a fare confusione che a rilanciare davvero il ruolo dei parchi che negli ultimi tempi si è molto appannato.
Ma non per ragioni ideologiche e ancor meno legislative.
La biodiversità è importante si è ribadito a Palermo e non certo solo come attrazione turistica. La legge quadro del 1991 previde infatti la Carta della Natura ossia un mappatura nazionale di questo nostro grande patrimonio che però si è persa per strada, né ha rimediato la più recente decisione di mettere mano ad un piano della biodiversità anche in rapporto alle politiche comunitarie.
Sotto questo profilo sembra perciò un po’ la scoperta dell’acqua calda visto che la gestione di questo patrimonio era ricondotta non certo a caso ai piani dei parchi. E non è certo dalla legge quindi che è venuto qualche impedimento.
Ma ancor più singolare è che si torni a parlare di parco laboratorio quasi si trattasse di qualche cosa dovuto alla crisi economica. Assai prima che fosse approvata la legge quadro ‘Uomini e Parchi’ di Valerio Giacomini per primo parlò del parco come laboratorio per una nuova gestione del territorio. E lo fece con particolare riferimento alle campagne la cui gestione non poteva essere affidata –sostenne Giacomini -ad un parco isola senza cioè il coinvolgimento delle rappresentanze delle comunità locali. Ricordo le polemiche e le critiche severe e persino sfottenti di autorevoli esponenti dell’associazionismo ambientalista che parlarono di Uomini O parchi tanto consideravano assurdo affidarne la responsabilità anche agli enti locali. Per fortuna la legge quadro accolse questa idea del parco e del suo piano –anzi piani- come laboratorio per avviare anche nei confronti di precedenti esperienze storiche una vera e propria svolta.
I guai di cui oggi si parla per i parchi e le altre aree protette e non solo per la biodiversità nascono quindi innanzitutto e principalmente dalle inadempienze nei confronti della legge e non dai suoi acciacchi dovuti all’età di cui semmai non bisogna approfittarsi ipocritamente per fare altri danni.
Prendiamo l’esempio a cui a Palermo ha fatto riferimento il ministro Orlando alla legge sul suolo finita sott’acqua. Ricordo –e non sono passati neppure moltissimi anni- un bel convegno europeo di Federparchi a Lerici sulla esigenza di rendere sempre più stretta la collaborazione tra parchi e autorità di bacino in riferimento come è naturale alle aree protette fluviali che più di altre operano in territori dove non sono i confini amministrativi a decidere del loro ruolo e destino. Del Po, Magra, Arno e tanti altri fiumi c’è qualcuno che se ne occupa?
Nel Quaderno del Gruppo di San Rossore ‘Aree naturali protette Il futuro che vogliamo’ di cui discuteremo il 28 a Pisa forse con il ministro Orlando -ma anche in altre parti del paese- sono queste le questioni trattate con analisi non di comodo e con altrettante proposte.
Renzo Moschini