Gli Stati generali delle aree protette organizzati a Roma il 17 e 18 dicembre scorso dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica erano attesi perché da tempo i parchi del nostro Paese sono al margine della discussione pubblica. Un appuntamento preceduto da molti inciampi organizzativi ma utile per iniziare un confronto con il MASE sulle aree protette fin qui assente. Agli Stati generali di Roma si è discusso prevalentemente della opportunità di modificare la legge quadro sulle aree naturali protette 394/91, e sono stati ascoltati gli enti gestori delle aree protette nazionali (parchi nazionali, aree marine e riserve statali) le associazioni ambientaliste, qualche assessore regionale, dei partiti politici e rappresentante del mondo della ricerca. Una discussione limitata a un solo argomento e con assenze istituzionali e sociali importanti, non è perciò paragonabile alla terza Conferenza nazionale delle Aree protette che chiediamo di organizzare da oltre 20 anni. A Roma mancavano gli operatori e le imprese green (agricoltori, allevatori, artigiani, operatori turistici, guide, etc..) che grazie alla spinta della legge 394/91 hanno contribuito alla crescita economica delle comunità e dei territori delle aree protette e altri portatori di interessi. Mancavano i sindaci e gli amministratori dei piccoli comuni, e delle comunità della montagna protetta, i rappresentanti delle regioni e degli altri ministeri che con le loro scelte incidono fortemente sulle sorti delle aree protette. Erano assenti persino i senatori Rosa e Fina che hanno presentato due proposte di modifica della legge 394/91 (accorpate in un unico percorso parlamentare in VIII commissione al Senato).
Anche i contenuti mancavano della spinta ideale adeguata ad affrontare l’aggiornamento di una norma importante per la protezione della natura del nostro Paese e, l’unica cosa significativa degli Stai Generali, è stato l’elenco dei punti conclusivi enunciati dal MASE con i quali si è chiusa la manifestazione alla presenza del Ministro Pichetto Fratin. Per il resto la discussione è stata noiosa e imbarazzante. In alcuni interventi si sentivano toni simili a quelli degli anni ’90, quando i parchi ancora dovevano nascere e la discussione era sul parco sì o parco no, ed i pochi rappresentanti politici intervenuti si sono distinti per le banalità e per la scarsa conoscenza dell’argomento di cui parlavano. Una discussione senza mordente, anche perché i rappresentanti degli enti gestori delle aree protette hanno presentato documenti approssimativi e riproposto richieste che da 20 anni parlano solo delle loro burocrazie e dei loro interessi particolari e, raramente, hanno osato andare oltre il recinto delle proprie competenze per fornire un contributo generale alla discussione sulle aree protette.
Per queste ragioni abbiamo apprezzato, invece, la volontà del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica di considerare questo di Roma il primo appuntamento di un percorso di ascolto e di partecipazione che coinvolgerà tutte le istituzioni ed i soggetti interessati. Ed abbiamo accolto con favore la proposta di istituire una Consulta delle associazioni ambientaliste per accompagnare il percorso di modifica della legge 394/91. Il tempo dirà se i fatti saranno coerenti alle promesse e, soprattutto, se ci sarà una modifica della legge adeguata alle esigenze che oramai nessuno più nega.
Dal punto di vista politico consideriamo importante che i rappresentanti della maggioranza di Governo hanno dichiarato che la 394/91 è una buona legge: un fatto rilevante se consideriamo che il centro destra non ha mai espresso giudizi lusinghieri sui parchi e sulla normativa nazionale e, più che la modifica, proponevano il superamento della legge. Perciò cogliamo con interesse le aperture al confronto per aggiornare una norma che negli anni è stata rimaneggiata da interventi disorganici e contraddittori che hanno stravolto la governance e la nomina dei presidenti degli enti parco. A più riprese si è tentato di modificare in maniera organica la legge 394/91 ma senza successo, e l’unico punto che è stato effettivamente modificato è stata la modalità di decidere i vertici dei Parchi nazionali con misure che hanno favorito la nomina di amici dei partiti di maggioranza e mortificato il merito e le competenze dei designati. Per favorire la nomina di presidenti amici e superare i conflitti con le Regioni dello stesso orientamento politico, è stato rivisto il processo di intesa superandolo con una modifica che favorisce la decisione finale del Ministro e, di fatto, svuotando il principio della leale collaborazione tra le istituzioni su cui si fonda la legge 394/91. In altre occasioni sono state aggirate norme della pubblica amministrazione, come nel caso della legge Severino sulla incompatibilità e inconferibilità, per nominare pensionati ai vertici degli enti parco. Altro caso è la norma approvata nel 2021 che ha allungato la durata dell’incarico ai presidenti utilizzando la scusa della scadenza dei progetti del PNRR, sebbene i parchi nazionali non abbiano progetti da gestire direttamente.
Le modifiche attuate alla legge anche quando erano condivisibili, come per la riduzione dei componenti nei Consigli direttivi, hanno prodotto contrarietà perché non hanno prodotto effetti positivi sulla presenza di giovani e donne ai vertici degli enti parco, non hanno avuto efficacia contro il ricorso ai commissariamenti ed ai direttori facenti funzione, e non hanno impedito di nominare sindaci in carica alla presidenza degli enti parco. In sostanza tutte le modifiche apportate alla governance degli enti parco hanno quasi sempre banalizzato le competenze e la meritocrazia, aggirato le norme della pubblica amministrazione, ignorato la questione generazionale e di genere, ma comunque sempre garantito una poltrona ad amici di partito e raccomandati senza competenze.
Perciò troviamo poco appassionante la discussione sulla modifica della legge 394/91 che non metta al centro la volontà di aggiornare una norma che ha segnato in positivo oltre 30 anni di storia della conservazione della natura nel nostro Paese, e non ha l’ambizione di guardare ai prossimi decenni segnati dalla crisi climatica e alla conseguente perdita di biodiversità.
La modifica della legge 394/91 è utile se mette al centro il ruolo delle aree protette per realizzare la transizione ecologica nei territori, riordina il sistema di tutela alla luce delle direttive comunitarie, fornisce strumenti per accelerare la pianificazione e la gestione sostenibile del territorio per frenare la crisi climatica e la perdita di biodiversità, migliora le norme sulla protezione del mare, ridisegna la leale collaborazione con le regioni e le altre autonomie definendo programmi e strategie per istituire le nuove aree protette.
Ma per migliorare la qualità della gestione delle aree protette, oltre all’aggiornamento della 394/91, serve cambiare il modus operandi del Ministero che deve: garantire l’azione di vigilanza ed evitare il ricorso ai commissariamenti e all’utilizzo dei direttori facenti funzioni; rispettare i 180 giorni previsti dalla legge per concludere i procedimenti per le nuove aree protette; intervenga con commissari ad acta se gli enti non approvano i piani ed i regolamenti nei tempi previsti; superare le regole farraginose per approvare i bilanci degli enti parco che sono simili a quelle dell’INPS; garantire omogeneità nelle procedure autorizzatorie di ogni ente parco; far rispettare regole uniformi per mobilità e la fruizione turistica dei sentieri; migliorare la sorveglianza delle aree protette affidata a corpi di polizia militare che mal si conciliano con la dipendenza funzionale agli enti parco. Com’è evidente molte questioni che rallentano l’operatività delle aree naturali protette non dipendono solo dalla legge 394/91, ma non bisogna negare la necessità di una revisione della norma che sconta il passare degli anni e dei cambiamenti intervenuti nel Paese.
Ma, per modificare una legge che ha portato benefici evidenti, occorre l’ambizione di fare il meglio e non limitarsi a discutere solo della governance: andare oltre la discussione “su chi comanda nell’ente parco” e concentrarsi “su come far crescere l’influenza dei parchi” nei territori perché le comunità locali si aspettano riposte più efficaci e più benefici per loro che hanno scelto le aree protette come loro destino. Solo con questa chiara ambizione anche noi, che non difendiamo interessi corporativi e non ci basta rappresentare solo gli ambientalisti negli enti parco, ci sentiremo parte di questo percorso di rinnovamento della legge quadro che ci dovrà accompagnare a raggiungere gli obiettivi climatici e per la biodiversità e attuare la transizione ecologica nei territori protetti.
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Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente