In questo periodo, dopo la sfuriata Al Masri, non si fa di parlar d’altro che del “manifesto di Ventotene”, altro argomento di scontro che sta tenendo banco per continuare la, io la definisco sterile, diatriba politica.
Intanto la “barca” va come il vascello di Kierkegaard all’avvicinarsi dei pirati.
Per rendermi conto dei contenuti e per capirci qualche cosa, in meditazioni notturne genovesi assolti i doveri di nonno, ho letto attentamente il suddetto manifesto allegato ad un quotidiano nazionale ed ho fatto alcune riflessioni che sottopongo ai pazienti lettori sperando in uno sparuto gruppo di essi che arriveranno alla fine del “papiro”.
Una prima considerazione è che l’isolamento, a volte, è causa di elaborazioni mentali che possono passare alla storia. Dante avrebbe scritto la Divina Commedia senza il grande tempo lasciato ai suoi pensieri per l’esilio forzato? Più in piccolo avremmo avuto da Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli” senza il suo “confino”? Qui è la miopia degli “esiliatori” che , credendo di isolare le persone ritenute infette, ottengono l’effetto contrario!
Il Manifesto è nato dalle lunghe dissertazioni tra i confinati fatte nelle giornate passate nella bellissima isola ponziana di Ventotene lontano, dolorosamente, dal loro mondo di affetti.
Il ragionare sull’organizzazione della società, in modo da non avere più orrendi conflitti causa di ecatombi umane, non è originale. Già in passato, ad esempio, alla fine della prima guerra mondiale Aristide Briand, politico ed autorevole uomo di potere francese si espresse in modo analogo dissentendo dalle decisioni di Versailles e, con il suo famoso discorso del 1926, delineò un futuro di unione tra le Nazioni. Lo stesso presidente statunitense Wilson parlò di “autodeterminazione dei popoli”. Grandissimi e nobili discorsi avvenuti dopo orrendi massacri, ma che poi si scontrano con la “misera” realtà della volontà di potere insita nell’uomo. Bisognerebbe ricercare il corrispondente “gene” nel DNA umano ed eliminarlo.
Quindi a Ventotene, durante il secondo massacro avvenuto a poco più di un ventennio dal primo, fu affrontato di nuovo il problema.
In mezzo l’affermarsi della Rivoluzione Russa, la nascita dei partiti comunista, fascista e nazionalsocialista tutti orientati a dittature. Il Vico avrebbe materiale su cui pensare.
Autori del Manifesto sono Altiero Spinelli con il passato di oppositore al fascismo di provenienza comunista e Ernesto Rossi (meno citato) sempre oppositore al fascismo da posizione radical-libertaria.
Il Manifesto è diviso in 3 parti ed è preceduto da una breve introduzione fatta da Eugenio Colorni nel 1944 quando lo diffuse clandestinamente avendo cominciato la lotta armata in continente dopo l’armistizio del 1943. Anche Colorni partecipò alla stesura a Ventotene; era un intellettuale filosofo di origine ebraica famoso nel mondo accademico per gli studi su Leibniz , ma venne confinato per la sua opposizione al Regime.
1) La crisi della civiltà moderna (1941)
Si valuta positivamente l’inizio del costituirsi delle unità nazionali che superano i campanilismi locali (si pensi all’unità d’Italia). Poi si analizza il deteriorarsi di tali Stati-Nazione sovranisti spinti dal desiderio di espandersi in una lotta di predominio per uno “spazio vitale” successivamente citato (teoria di Ratzel) e denigrato. Gli aneliti di libertà e progresso del popolo sono soffocati da uno Stato che antepone i propri interessi, coincidenti spesso con quelli delle classi abbienti, a quelli individuali seguendo un capo carismatico.
Si noti che Max Weber, in Prussia, a fine ottocento fu pensatore di “cerniera” tra il regime reazionario delle classi privilegiate (Junker proprietari latifondisti) e la nascita di interessi superiori nazionali afferenti ad una società più moderna e “razionale”. L’abolizione degli Junker fu promossa anche dal regime nazista. Il Manifesto, appunto, afferma che massima espressione di tale Stato assolutista e prevaricatore è la Germania che, in caso di vittoria, consoliderebbe la visione totalitaria nel mondo facendo leva sullo spirito patriottico e perpetuando la divisione dell’umanità in “spartiati ed iloti”. La Gran Bretagna e l’America (Pearl Harbour è del 7/12/’41) unite al popolo cinese ed all’esercito sovietico saranno di grande aiuto per sconfiggere l’instaurarsi di tale società.
Mia osservazione a tale prima parte è che sono gli Stati cosiddetti democratici Francia e Gran Bretagna (anche se è monarchica) ad avere, in tale epoca, le colonie in gran parte del Mondo e ad avere anche loro spartiati ed iloti al loro interno. In esse sopravvive la “plutocrazia” ossia il dominio del denaro.
2) I compiti del dopoguerra. L’Unità Europea
E’ la parte più interessante con l’aspirazione all’Unità Europea nel dopoguerra.
All’inizio c’è un monito: dopo la vittoria sulle dittature, le classi privilegiate, presenti anche nel mondo americano e britannico , potrebbero condizionare la situazione postbellica, paragonata ad un crogiolo rivoluzionario informe, per riproporre gli Stati-Nazione con, di nuovo, grandi differenziazioni di classe.
Qui una osservazione: il Manifesto è profetico! Yalta è del Febbraio 1945 con la partecipazione anche dei sovietici (Stalin).
Quindi non bisogna lasciare la libertà a tutti i “democratici” di dissertare su quali forme di governo avere; potrebbero essere irretiti dalle esperte classi di conservatori. Il popolo non sa bene cosa volere e cosa fare. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria. E’ anche vero che il “metodo sovietico” della dittatura del proletariato non potrà funzionare, perché relegato al mondo operaio e si ritornerebbe all’interno di ogni Nazione alla sola lotta di classe. Inoltre vari stati affini “sovietizzati” potrebbero confliggere tra di loro.
Mia osservazione è che in parte Lenin aveva visto lungo cercando la rivoluzione internazionale, poi rientrata con Stalin e la divisione della “torta” mondiale.
Il volo pindarico del Manifesto è l’affermare che il vero problema sono gli Stati nazionali che non dovrebbero esistere con le loro forze militari che dovrebbero essere comuni.
Anche la Società delle Nazioni è stata inutile perché non dotata militarmente ed ha lasciato la libertà alle varie Nazioni di organizzarsi al loro interno senza intervenire. La soluzione è un “Regime Federale” che ponga fine ai contrasti interni all’Europa.
Mia difficoltà è il capire cosa sarebbe questo “Regime” e le possibilità di intervento. Probabilmente l’abolizione dei confini nazionali , non si sa fino a quale livello, implicherebbe un unico Governo con quale politica? Auspicabile una democrazia anche se all’inizio il popolo dovrebbe essere “educato” come indicato nella terza parte.
Mi sembra un’ottica simile alla “esportazione della democrazia” in auge negli anni scorsi e che è, al momento, fallita (Iraq ed Afganistan).
In tale Stato Europeo, come detto, l’esercito dovrebbe essere unico ed avere la forza per far eseguire le sue deliberazioni per un ordine comune pur lasciando delle libertà per le peculiarità individuali (quali sono?).
Mi sono sforzato di capire la configurazione di tale Stato democratizzato. Gli Stati Uniti? Mi sembra che spartiati ed iloti ci siano anche lì. Inoltre hanno una sola lingua, che è fattore importantissimo, e poca storia “sedimentata” nei secoli. Da noi Stati che per secoli si sono anche combattuti.
Inoltre uno Stato Federale Europeo non sarebbe altro che estendere il sovranismo a livello mondiale. Tale Stato dovrà competere con altre realtà per difendere la propria identità! Non si abolisce la guerra. Al di fuori dell’Europa esistono attualmente tanti Stati totalitari!
Il genio di Benigni, nel suo monologo, ha accennato alla questione alla fine dicendo che andrebbe estesa l’unità a tutto il mondo (fratellanza universale)! Non ci sarebbe più l’antitesi Hegeliana! Fine della storia?
Dubito. Tutti i dittatori hanno sognato, infatti, la conquista del mondo intero come obiettivo finale.
Chi non si ricorda “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin?
3) I compiti del dopoguerra. La riforma della società.
E’ rimarcato che la rivoluzione europea dovrà essere socialista per liberarsi dal giogo “capitalista”.
L’uomo deve controllare le forze economiche e non farsi soggiogare da esse. Le forze individuali non devono essere mortificate, ma vanno sostenute nei limiti di un vantaggio anche per la società.
La proprietà privata va abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.
E’ questa la frase citata dalla nostra Presidente a mio giudizio in modo incauto e come polemica per la piazza dei giorni precedenti. Bisogna contestualizzare le frasi. Si ricordi che le statalizzazioni sono avvenute nei più disparati regimi e, l’IRI ne è un esempio. Ma noi siamo avvezzi ormai a vedere tutto buttato in caciara.
E’ interessante leggere, a tal proposito il “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani” (1824) di Leopardi.
La terza parte segue con una serie di punti, molti condivisibili, e realizzati in Italia dei decenni precedenti tranne una: l’abolizione del Concordato tra Vaticano e Stato (alleanza con Stato fascista).
Lo Stato dovrà essere laico con l’uguaglianza tra le religioni.
Una mia finale osservazione è che i principali fautori dell’Europeismo sono coloro che erano al Governo negli anni precedenti ed accusano gli altri di non essere abbastanza europeisti. Mi sembra una querelle assurda. E’ proprio l’Europa attuale a contraddire ciò che riporta il Manifesto, con i suoi indirizzi di privatizzazioni su larga scala e, adesso, il volere di armarsi con il motto ipocrita “readness2030”. Il Manifesto dovrebbe essere sbandierato a Bruxelles e non come lotta politica interna. Ognuno pensa all’Europa come la desidera. Mi viene in mente “Come tu mi vuoi” di Pirandello.
In conclusione un bel sogno che avviene quando ci sono transizioni di potere.
La “triste” realtà si manifestò poco dopo, appunto, con Yalta e la spartizione del mondo ( Stati capitalisti e Stato comunista) ed il nostro destino sotto l’ombrello americano ha seguito la logica capitalista.
Cosa sarebbe successo se al posto degli americani fossero arrivati i sovietici? Il popolo sarebbe stato “educato” in altro modo!
E Al Masri? Al Masri chi? Direbbe un nostro uomo politico noto. Dal prossimo dimenticatoio lo ripescheremo.
Giampaolo Zecchini