Le nomine dei presidenti nei parchi nazionali e pure regionali sono state non raramente e da sempre motivo di controversie, polemiche seguite da rinvii e spesso da prolungati e penalizzanti commissariamenti. Le cronache anche recenti e non soltanto per una serie di parchi nazionali del sud sono lì a ricordarcelo qualora lo avessimo dimenticato.
Otto associazioni ambientaliste hanno denunciato il protrarsi di questo fenomeno chiedendo al Ministro Orlando di garantire gli interessi generali e la missione delle aree protette nazionali.
Il rischio denunciato nel comunicato delle associazioni è quello ‘di una gestione localistica delle più importanti aree naturali nazionali con nomine dettate da logiche di partito e condizionate dagli interessi dei territori, non sempre compatibili con la conservazione della natura’. Qui forse è opportuno però evitare di fare di ogni erba un fascio. Quando nel comunicato si torna, ad esempio, a denunciare come prova di nomina sbagliata quella di Luca Santini sindaco di Stia a presidente del Parco delle Foreste Casentinesi in quanto cacciatore appare assurdo e anche un po’ ridicolo.
Altro caso è quello del Parco Nazionale d’Abruzzo per il quale al ministro è stato rivolto in questi giorni un appello già firmato da decine di autorevoli esponenti del mondo della comunicazione, della ricerca, dell’ambientalismo e anche della politica perché il nuovo presidente che dovrà prendere il posto di una figura storica del mondo dei parchi come Giuseppe Rossi abbia la personalità, la competenza e l’autorevolezza indispensabile per gestire un parco storico che come nessun’altro ha un ruolo nazionale e internazionale unico in Italia.
E veniamo al rischio richiamato per le altre nomine. Le logiche di partito che si tratti di parchi nazionali ma anche regionali che in più d’un caso non se la passano molto meglio non vanno bene ma non perchè condizionate dagli interessi dei territori. E chi altri dovrebbe condizionarli i parchi nazionali o regionali se non e prima di tutto i territori su cui operano. Si è detto dell’Abruzzo ma è proprio questa capacità di essere riuscito con grandi sforzi a proiettare quel che di più straordinario disponeva quel territorio locale in una dimensione regionale, nazionale e internazionale che è quello d’altronde che hanno fatto parchi come il Gran Paradiso, le Dolomiti ma anche parchi regionali storici come il Ticino lombardo o San Rossore e molti altri.
I parchi nazionali o regionali che fossero che hanno fatto peggio degli altri sono proprio quelli che sono risultati ‘calati dall’alto’ e quindi meno capaci di mettere a frutto il loro patrimonio locale che in parchi con decine e decine di comuni non vuol dire certo di campanile o spicciolo. Su un punto le associazioni hanno perfettamente ragione ed è quando sottolineano specialmente dopo la riduzione notevole dei rappresentanti non solo istituzionali negli enti parco che uno sia riservato alla designazione del ministero dell’agricoltura. Perché non anche ai beni culturali etc. Semmai sarebbe opportuno che dopo tanti anni quanti ne sono passati dalla approvazione della legge quadro del 1991 il CFS impegnato nei parchi nazionali passasse alle dirette dipendenze dei parchi nazionali così anch’essi come quelli regionali disporrebbero della propria vigilanza. Perchè deve essere il ministero dell’Agricoltura a decidere cosa devono fare i forestali al parco d’Abruzzo o del Cilento?
La missione dei parchi che giustamente preoccupa le associazioni ambientaliste non è a rischio per l’eccessivo peso dei temi locali ma per la debolezza finora di politiche nazionali di cui si è discusso –e neppure troppo- alla Sapienza nello scorso dicembre.
Renzo Moschini