Purtroppo pochi elbani si accorgeranno che il prossimo 24 marzo cadranno i 70 anni della strage delle Fosse Ardeatine, una delle tappe più tragiche di quella lunga lotta che ci ha portato all'attuale democrazia.
Ubriacati dal bicentenario del passaggio del “macellaro sublime” (come lo definiva Pietro Gori), pochi avranno voglia di ricordare un episodio mediaticamente e turisticamente meno accattivante, ma fondamentale per una bazzecola come la nostra presente libertà. E forse saranno ancora meno quei politici locali, impegnati nelle loro ridicole diatribe da pollaio, a ricordarsi che se è loro permesso questo esercizio democratico, tutto passa dalla Resistenza e dai suoi martiri.
Questa dimenticanza farà più male se pensiamo che tra le 335 vittime c'era anche un elbano, Ilario Zambelli. Insignito della medaglia d'oro al valor militare alla memoria, era nato a Rio Alto il 2 luglio 1909. In questo paese aveva frequentato le scuole elementari, poi si era trasferito con la famiglia a Portoferraio, al forte Stella, e frequentò la scuola tecnica. Diplomatosi, aveva prestato servizio all'ufficio postale della città, per poi esserne licenziato perché non aderente al partito fascista, cosa che gli costò molte possibilità lavorative. Entrò in Marina per l'obbligo di leva nel 1929, come semaforista, e fu congedato nel 1932. Fu poi richiamato nel 1935 come segnalatore, prestando servizio a Portoferraio e Piombino fino al novembre 1940. Si guadagnò il grado di sergente, e fu trasferito a Roma, al ministero della Marina. Dopo l'8 settembre entrò nella lotta clandestina di Resistenza all'interno della Marina, con attività di informazione e collegamento.
Alfonso Preziosi, nel suo “Storia della marineria elbana”, racconta il suo arresto: “il 19 marzo del '44 in piazza San Pietro, mentre Pio XII parlava alla folla, Zambelli distribuiva volantini e probabilmente fu visto da un sergente della X Mas di Borghese che abitava nella stessa strada di Ilario, in Borgo Pio. Forse fu seguito fino ad un bar tra Via Ezio e Via Giulio Cesare dove fu fermato. Chiese ed ottenne di andare in bagno dove gettò nel water senza acqua dei volantini che furono recuperati dai fascisti, i quali lo portarono alla caserma “Mussolini”, dove gli trovarono in tasca una carta, il due di denari; qui lo torturano inscenando una finta fucilazione, dopodiché, ancora legato e sanguinante, lo consegnarono ai tedeschi. Questi, dopo aver tentato invano con ogni mezzo di conoscere i nomi e gli indirizzi del gruppo clandestino di cui faceva parte, lo portarono pesto e sanguinante nella cella n. 380 del terzo braccio di Regina Coeli.”
Alle Fosse Ardeatine Ilario Zambelli e i prigionieri politici di Regina Coeli vennero portati per ultimi, e nel tardo pomeriggio di quel triste 24 marzo furono giustiziati e accatastati sopra i corpi di decine di altri civili.
Per questa stella, la più luminosa della Resistenza tra quelle elbane, non ci aspettiamo onoranze rutilanti come quelle che si preparano per “quel tale” del 1814. Ed è giusto così, dato che non si può ridurre la sua vicenda e quella degli altri partigiani a sipari da festicciola mondana. Ma almeno il 24 marzo, e magari il 25 aprile, qualche sommesso ricordo e ringraziamento glieli dovremmo.
Andrea Galassi