Sento il dovere, come sindaco e come cittadino, di ricordare oggi la figura di Ilario Zambelli, un riese, un elbano, uno di noi, sottufficiale di marina e partigiano, trucidato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo di settant'anni fa, vittima della barbarie antifascista, medaglia d'oro della Resistenza, caduto perchè questo nostro Paese, l'Italia, potesse riconquistare la dignità che altri avevano distrutto e infangato.
Quando uno muore come è morto Ilario si dice che è morto da eroe e che ha dato la vita alla Patria. Ma la Patria farebbe volentieri a meno di eroi e Ilario la vita non l'ha data, gli è stata tragicamemnte tolta, Ilario voleva vivere ma i nazifascisti lo hanno assassinato, così come hanno ucciso, torturato e spento altre migliaia di giovani vite che la vita amavano e che avrebbero voluto vivere in un paese liberato dall'invasore tedesco e dalla dittatura fascista. I molti - ricordava Calamandrei parlando all'Assemblea Costituente nel 1947 - che come Ilario sono caduti "nelle prigioni e sui patiboli, nei monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti: da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovani partigiani, fino al sacrificio di Anna Maria Enriquez e di Tina Lorenzoni, nelle quali l'eroismo è giunto alla soglia della santità, ebbene, essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere, il grande lavoro che occorreva per restituire all'Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile, quella di morire, di testimoniare, con la resistenza e con la morte, la fede nella giustizia.
A noi - concludeva Calamandrei che insieme ad altri stava scrivendo la nuova Costituzione Repubblicama - è rimasto un compito cento volte più agevole, quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste, il loro sogno, il sogno di una società più giusta e umana, di una solidarietà di tutti gli uomini alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli". Sono trascorsi settan'anni e l'impegno nostro rimane lo stesso: non tradire lo spirito della Costituzione nata dalla Resistenza e dal sacrificio di Ilario Zambelli e di tutti coloro, partigiani e militari, uomini e donne, giovani e anziani che si ribellarono e lottarono contro l'oppressore nazifascista.
Non tradire significa mantenere viva la memoria della Resistenza, ricordare sempre, ogni giorno, che c'è stato un tempo in cui era impedito di manifestare liberamente il nostro pensiero, riunirsi in un luogo pubblico, professare liberamente il credo politico e la confessione religiosa che più ci riguarda. Non tradire significa ricordare che non esiste una democrazia per grazia ricevuta. Esiste una democrazia perchè qualcuno l'ha conquistata per noi.
Danilo Alessi