L’appuntamento di Rio ha suscitato legittime aspettative data la gravità dei problemi ambientali nel mondo. Ma a differenza di precedenti incontri le attese sono mitigate dai risultati sovente deludenti degli impegni solennemente assunti in precedenti occasioni. C’è più realismo e consapevolezza delle difficoltà che possono aiutare e mettere in guardia dai rischi e farci cogliere meglio le cose da fare ognuno a casa a sua e non rinviabili ad altri.
A me, ad esempio, ha colpito che in non pochi commenti e documenti –compresa una Bozza di Mozione predisposta dal Pd alla Camera- parlando di biodiversità terrestre e marina non si trovi alcun riferimento al ruolo dei parchi e delle aree protette nazionali, europee e internazionali. Tanto più sconcertante data la situazione specie del nostro paese che al Senato sta arrancando confusamente proprio su questi temi. E ancor più sconcertante quando Repubblica proprio in questi giorni ha dedicato al ‘caso’ dell’Australia che, alla vigilia di Rio, ha annunciato che vuol creare nelle sue acque la più grande rete di parchi marini del Pianeta insomma ‘il paradiso marino più grande del mondo’. Oltre 3,1 milioni di chilometri quadrati dell’Oceano Indiano alla Grande barriera corallina fino al più meridionale Mare di Tasmania.
Recentemente in altri oceani e mari sono stati interessati alla istituzione di parchi marini a conferma che essi sono giustamente considerati strumenti indispensabili per politiche credibili ed efficaci di tutela del nostro patrimonio naturale e ambientale.
Noi intanto non riusciamo a far funzionare neppure i paradisi più piccoli del mondo del nostro Mediterraneo lasciati senza risorse ma dove in compenso perdiamo bidoni al veleno e non riusciamo a regolare neppure il più ordinario traffico marino nel santuario dei cetacei.
Dove sta il nostro tallone d’Achille che spiega ma non giustifica questi silenzi e omissioni tanto più gravi in questo momento? Sta nel fatto che gli accordi internazionali come Kyoto e tutti gli altri implicano una sempre crescente capacità di mettere le nostre politiche nazionali in relazione e in rete con quelle comunitarie in primo luogo. Politiche nazionali di cui si sono perse le tracce da tempo sia al ministero dell’ambiente che in quello dei beni culturali. E così si torna anche alla legge di cui a giorni si dovrebbe tornare a discutere al Senato e che aveva preso le mosse proprio dalla situazione penosa delle aree protette marine.
E Rio può aiutarci a coglierne non soltanto i limiti ma il trucco con il quale la si è giustificata. Il trucco è consistito nel sostenere che dopo 20 anni la 394 poteva essere ritoccata. Ma la 394 da anni non è più quella del 91 e non lo è più proprio in quel ganglio fondamentale che assegnava al ministero precisi compiti e strumenti per costruire un sistema nazionale di aree protette che riguardasse il complesso dei parchi e delle aree protette su un piano di pari dignità. Ma già subito dopo la partenza –possibile che al Senato non lo ricordino?- furono liquidati il piano triennale, il comitato Stato-Regioni e poi messi in sonno la Consulta Tecnica. Persino la classificazione dei parchi e delle altre aree protette –specialmente marine- è rimasta sulla carta come la Carta della Natura. Quando oltre 10 anni fa il Decreto Bassanini chiese al Ministero di dotarsi di una cabina di regia conforme alla riforma della pubblica amministrazione il ministero fece orecchie da mercante tanto che tuttora il ministero è privo di qualsiasi struttura degna di questo nome accontentandosi di nominare qualche direttore, negare risorse, decidere lui sulle cose più banali per ‘conto’ dei singoli parchi nazionali privi ormai di qualsiasi effettiva autonomia. Intanto anche i parchi regionali sono allo sbaraglio tra richieste di abrogazioni e penalizzazioni come quelle decise in questi giorni in Veneto come in Piemonte dove anche parchi ‘storici’ come i Colli Euganei e le Alpi Marittime rischiano il tracollo.
Di tutto questo non c’è traccia nel testo del Senato che si preoccupa semplicemente di far comandare di più –burocraticamente-il ministero. Eppure la legge 426 parla di Alpi, di APE, di coste, di piccole isole ; risulta al Senato che su questo da anni il ministero non fa una mazza salvo prendersi multe dall’Unione Europea? E chi e dove dovrebbero essere messe a punto con le regioni e gli enti locali questi progetti che implicano peraltro in più d’un caso intese internazionali . L’dea della terza Conferenza nazionale fu precipitosamente respinta dalla Prestigiacomo ( e Clini per ora non sembra avere cambiato idea) perché avrebbe scoperto troppi altarini e magagne. Meglio arrabattarsi al Senato senza troppi documenti e dati scaricando sulla legge responsabilità che sono unicamente politiche e del ministero e della sua politica che ha bisogno assai di più di qualche ‘ritocco’ e ‘manutenzione’.
Renzo Moschini