Ieri è finito il vecchio Elbareport e oggi ne è nato un altro, molto più interattivo. Del resto, il futuro è nella interazione o, meglio, nella pluralità delle interazioni. Meglio sapremo governare queste interazioni, meglio sarà per tutti.
Però c‘è bisogno di una svolta, che sia forte e univoca anche se rispettosa delle diverse esigenze. Chi, come me, legge quotidianamente, oltre che Elbareport, anche “Comitato per Campiglia” e “Eddyburgh”, sa che ormai lo sviluppismo e il neo-capitalismo che hanno devastato il pianeta negli ultimi trenta anni non portano da nessuna parte. Il pianeta è devastato così come l’Europa, l’Italia, la Toscana, l’Elba. E’ inevitabile fermarsi, allontanarsi da prospettive di quantità ormai irreali, velleitarie e dannose e orientarci verso le qualità, le specificità, le variabilità dei luoghi. Come archeologo, ho molto apprezzato il nuovo corso della Regione Toscana in termini di governo del territorio e di valutazione del paesaggio contemporaneo. La presenza di Anna Marson all’Assessorato per il Territorio è, in questo senso, una garanzia. Negli ultimi mesi, inoltre, il Presidente Enrico Rossi ha ampliato ulteriormente la sua prospettiva politica, mostrandosi attento alle istanze dei Comitati civici oltre che delle Amministrazioni. La sua presenza al Convegno della Rete dei Comitati per la difesa del territorio (Firenze, 24 marzo) va interpretato come il segnale di una svolta. Ormai si va sempre più diffondendo la sensazione che, se vogliamo, possiamo uscire dalla tirannia del cemento e delle alterazioni irreversibili, quelle che portano, alla fine, alle alluvioni devastanti, a Marina di Campo come ad Aulla. Ma difesa del territorio e del paesaggio vogliono dire anche uscire dalla politica dell’eterna emergenza. In questi giorni stiamo assistendo, in Toscana, ad una corsa contro il tempo, in direzione ostinata e contraria, figlia della cattiva politica territoriale dei precedenti governi regionali. Da un lato bisogna ultimare al più presto le opere di regimazione idraulica che impediscano altri sconquassi come quelli avvenuti in tempi recenti. Dall’altro, bisogna prepararsi alla siccità prossima ventura (dalla diga di Bilancino arrivano pessime notizie). Insomma, o troppa acqua o troppo poca acqua. Ormai l’ambiente, proprio perché troppo gravato dalle opere dell’uomo, non è più in grado di risarcire le sue ferite ed è costretto a ristabilire sempre nuovi punti di equilibrio. Questo continuo riposizionamento non è però privo di conseguenze. Si dice che la mancanza di acqua abbia praticamente azzerato una produzione tradizionale come quella delle mele della val di Chiana. Possiamo dire “pazienza, mangeremo quelle del Trentino” oppure possiamo/dobbiamo dire “no, facciamo qualcosa”. Tutti sanno benissimo che l’ambiente antropizzato, se abbandonato, non torna allo stato primigenio ma, semplicemente, si degrada fino a provocare disastri imprevedibili. In realtà, ormai l’ambiente deve essere gestito dall’uomo. Dobbiamo, allora, individuare protocolli di intervento corretti, che non possono essere quelli del cemento e delle seconde case bensì quelli del recupero delle superfici agricole. E’ necessario uscire dalla politica dell’emergenza per entrare in quella della prevenzione e della programmazione.
Questo è tanto più vero in un contesto delicatissimo quale è l’Elba.
All’Elba, d’ora in avanti, non si può più sbagliare. La scelta obbligata è fra un’isola spremuta, svilita, impoverita, degradata urbanisticamente e, per questo, devastata dagli eventi naturali e un’isola-giardino, che vive i maniera equilibrata sulle proprie capacità (che non sono poche) e che valorizza le proprie risorse, ottenendo una consolidata prosperità. Il futuro dell’Elba è nel ripristino della sua identità di isola mediterranea con proprie specificità. Il passato del vacanzificio balneare per due mesi all’anno dobbiamo lasciarcelo alle spalle. Dobbiamo progettare un nuovo futuro basato su una stagione lunga o lunghissima, da aprile a novembre, con possibili aperture invernali per intercettare la clientela anziana del Nord-Europa (insomma di quegli arzilli pensionati ancora in efficienza fisica che si annoiano a passare tre mesi al gelo dalle loro parti e che volentieri preferirebbero giocare a tennis e andare in bicicletta fra il verde e il blu).
Un altro settore poco sfruttato è quello del turismo ambientale e del ciclo-turismo. Ai primi di giugno arriverà all’Elba una comitiva di ciclo-turisti di Siena. Il problema è che hanno faticato tantissimo per avere prezzi di trasporto accettabili sui traghetti. Già, quella è una spina nel fianco dell’economia comprensoriale elbana. Se persistono quelle tariffe, l’Elba è perduta. Io stesso, in questo inverno, ho diradato di molto le mie venute; non si possono spendere 150 euro di nave per un fine settimana. Dopo tre-quattro volte, uno comincia anche a porsi delle domande.
Bisogna, dunque, progettare nuove forme di governo del territorio e rilanciare forme di turismo sostenibili, che leghino insieme natura, filiera agricola corta, beni culturali. Occorre superare la morta gora delle ambizioni politiche personali e localistiche, andando ad un livello di programmazione strategica di lungo termine, nella quale siano coinvolti Regione, Stato, Unione. Il Parco avrà un ruolo determinante in questo futuro. Anche perché, di futuri alternativi, non mi pare ce ne siano molti.