A Festambiente a Grosseto si è discusso dei parchi e del loro ruolo in rapporto anche alle nuove politiche ambientali e specialmente alla greeneconomy.
In effetti il ruolo dei parchi oggi appare tutt’altro che chiaro sia per quelli nazionali dove è il ministero a tenere il banco sia per quelli regionali che stanno attraversando una fase altrettanto critica anche in Toscana, con l’aggravante che per loro a più riprese si è chiesto anche l’abrogazione da parte prima di un ministro e poi dell’UPI. Si aggiunga se non bastasse che l’attuale vicenda delle province che non sappiamo come andrà a finire non potrà non avere conseguenze in particolare sui parchi regionali. In Toscana,ad esempio, è rimasta in sospeso da anni ormai la questione delle ANPIL che la nuova legge regionale ancora latitante avrebbe dovuto assegnare in gestione proprio alle province che da noi gestiscono peraltro già alcuni parchi provinciali.
Nell’intervento di Vittorio Cagliati Dezza Presidente di Legambiente, riportato da Greereport, è detto che ‘bisogna trasformare le aree protette in esempi replicabili di azioni virtuose che sappiano costituire le realtà territoriali vicine e supportare i punti di riferimento ad eccellenze’. Siccome avevo sentito anche il suo intervento al Congresso di Federparchi ad Alberese dove aveva sostenuto la stessa tesi aggiungendo che per farlo al meglio bisognava anche coinvolgere direttamente nella gestione dei parchi categorie come gli agricoltori per il rilievo che una nuova agricoltura può giocare nella tutela ambientale, vorrei provare a spiegare cosa di queste affermazioni risulta poco chiaro ed anche discutibile.
E comincio dal ‘trasformare’ le aree protette in esempi virtuosi. I parchi a partire da ‘Uomini e Parchi’ di Valerio Giacomini furono concepiti come ‘Laboratorio’ che doveva essere gestito dalle rappresentanze istituzionali del territorio. Fu questa la vera svolta che non incontrò infatti neppure il sostegno di parte del movimento ambientalista anche autorevole e impegnato sul fronte dei parchi che considerò quella congiunzione tra l’area protetta e le comunità dei residenti come antitetica alle esigenze di tutela e ribattezzò polemicamente il libro ‘Uomini o parchi’. E stato quello l’imprinting della legge quadro del 91 ma già prima quello dei parchi regionali che non si rifecero al ‘modello’ dei vecchi parchi storici nati in altra fase storica e all’insegna di una cultura ambientale che aveva lasciato ormai il campo ad altre visioni e concezioni.
Il ‘trasformare’ a cui accenna Dezza non convince dunque perché sembra preconizzare una stagione in cui ai compiti e finalità ben chiare di tutela, si dovrebbe accompagnare ora una fase di maggiore ‘concretezza’ cioè del ‘fare’ rivolto appunto in particolare alle energie rinnovabili e simili. Non si tratta peraltro di una novità perché questo tipo di critica accompagna da sempre la legge 394 che ne aveva anche tenuto conto in particolare con l’art 7 (rimasto per molti versi lettera morta) che sotto il titolo ‘Misure di incentivazione’ prevede appunto per i comuni e le province che fanno parte dei parchi incentivi per il restauro dei centri storici, per il recupero dei nuclei abitati rurali, agriturismo etc etc. Insomma i parchi ‘laboratorio’ in grado di trasferire esperienze ecosostenibili in altri territori come in effetti in molti casi è avvenuto specie con i parchi regionali. Io ricordo che al parco di San Rossore alla fine degli anni 80 l’agricoltura -7000 ettari su 21.000- una parte degli ambientalisti volevano semplicemente liquidarla perché sporca e inquinante e anche le attività ippiche nella tenuta di San Rossore di valore internazionale erano malviste.
Se poi Dezza voleva dire che con le energie rinnovabili per le aree protette si apre una fase del tutto nuova grazie ad una sorta di sintonizzazione automatica si sbaglierebbe ugualmente. Tanto più che proprio in Toscana poco più d’un anno fa la regione –lo ricordo ancora una volta- ha approvato una legge sul piano energetico in cui è detto che i piani dei parchi devono ‘conformarsi’ a quello!
Ma c’è una ragione più chiara ancora e cioè che anche le energie rinnovabili dalle biomasse, all’eolico al solare pongono problemi spesso delicatissimi proprio di impatto ambientale come sanno bene anche i parchi toscani. In soldoni le vecchie come le nuove attività presentano problemi di impatto ambientale ineludibili e inaggirabili che il parco deve –come ha sempre fatto e deve fare- valutare sulla base delle sue competenze e finalità. Va semmai aggiunto che sotto questo profilo la condizione dei parchi risulta rispetto alla legge 394 del 91 e alle sue esperienze penalizzata sulla valutazione paesaggistica che gli è stata sottratta e che gioca invece un ruolo importantissimo proprio rispetto agli impianti delle energie rinnovabili. Anche qui non si può dimenticare che la regione toscana dopo l’emanazione del nuovo Codice aveva tolto ai suoi parchi il nulla osta restituendolo inopinatamente ai comuni.
Infine non va neppure dimenticato che proprio una sentenza del Consiglio di Stato dello scorso Maggio ha stabilito che le aree protette istituite in base a norme italiane non possono essere gestite alla stessa stregua di quelle di Rete natura 2000, SIC e ZPS istituite con norme comunitarie anche se all’interno di parchi nazionali e regionali.
La Gestione dei parchi regionali e nazionali risulta perciò nel complesso assai più complicata e penalizzata e niente affatto automaticamente sintonizzata con le nuove attività.
Quello che continua a non emergere da questo dibattito e che al Senato è stato del tutto ignorato e aggirato -appioppando la responsabilità dei nostri ritardi alla legge- è che al ministero manca ormai da anni non solo una politica in grado di mettere in pista a livello nazionale un politica dei parchi –tutti- che avrebbero dovuto agire come un ‘sistema’ integrato a partire dalle aree protette terrestri e marine e che invece non è stato capace neppure di dotarsi di sedi e strumenti e sedi ministeriali previsti dalla Bassanini ma inattuati, che sulla base anche della Carta della natura, del piano della biodiversità, delle politiche comunitarie cioè delle indispensabili conoscenze alpine, appenniniche, marine, fluviali permettesse quelle politiche di ‘coesione’ a cui lavora il ministro Barca, capaci di mettere a frutto efficacemente anche le risorse dell’Unione Europea rimaste spesso inutilizzate per mancanza di progetti validi.
E siccome il pesce comincia a marcire dalla testa è da li che bisogna ripartire anche se Clini finora non l’ha fatto. E della testa fanno parte anche le regioni.
Renzo Moschini