Il dibattito sui parchi e le aree protette, iniziato male proprio nel ventennale della legge quadro non è mai decollato avvitandosi rovinosamente tra provvedimenti penalizzanti e paralizzanti e ipotesi ora cervellotiche ora confuse.
Se una cosa in tanto bailamme ha avuto conferma è che la legge del ‘91 con i guai delle nostre aree protette non c’entra affatto. C’entra invece e nemmeno poco la sua pessima e quasi sempre assente gestione ministeriale. Una latitanza che ha favorito e incoraggiato anche le regioni incluse quelle con alle spalle le tradizioni e i risultati più significativi ad una gestione che sta producendo esiti allarmanti un po’ dappertutto come abbiamo potuto verificare nell’incontro nazionale di settembre a Pisa promosso dal gruppo di San Rossore.
In alcuni incontri più recenti che hanno impegnato i parchi e le associazioni ambientaliste si è tornati a discutere del ruolo dei parchi che richiederebbe –per taluni- di essere riconsiderata e rivista profondamente e ci si è inoltre chiesti se i parchi sono green-economy. Vediamo come i due aspetti sono connessi e perché possono rischiare di portarci di nuovo fuori strada.
Intanto la domanda non è se i parchi sono economia-verde ma se questa aiuta e in che modo i compiti dei parchi. E’ chiaro che un’ economia che non produca i disastri dell’ILVA non può che favorire l’impegno e l’iniziativa dei parchi e non perché l’economia verde non abbia implicazioni ambientali anche delicate sotto il profilo del paesaggio e dell’uso dei territori, specie agricoli e forestali, ma in ragione di un prevedibile e auspicabile minore impatto ambientale rispetto a quello che a suo tempo ha avuto , ad esempio,l’agricoltura.
Non cambia dunque la missione dei parchi ma il contesto entro cui essa deve svolgersi e attuarsi. Ecco perché parlare di revisione profonda della ruolo delle aree protette come si è fatto in un recente incontro in Abruzzo rischia di creare pericolosi equivoci e ambiguità. Del resto, che sulla base di questa esigenza fosse venuta la proposta di allargare la rappresentanza negli enti parco a talune categorie come gli agricoltori, non sorprende perché essa incide non poco proprio sui compiti dei parchi. Si, li snatura perché essa non è rivolta a settori o specifici ambiti, ma in virtù di due articoli della Costituzione -il 9 e il 38- deve assicurare ai cittadini e non alle categorie un ambiente bello, sano e usufruibile. Le attività molteplici e variegate che si svolgono all’interno di un territorio protetto -e non solo quelle economiche- devono oggi come ieri conformarsi a quei principi e valori a cui è preposto il parco. Non è certo un caso che dei parchi si sia parlato come laboratori e anche come palestra per politiche ambientali in grado non solo di garantire beni comuni ai cittadini, ma anche di coinvolgerli in questo disegno.
Insomma, non è il parco che deve dare garanzie alla economia verde, ma proprio il contrario.
Ed è per questo che l’ente parco è composto da rappresentanze istituzionali e culturali.
Si tratta dell’unico caso in cui una competenza ambientale fondamentale è affidata ad un soggetto espressione della filiera istituzionale che non ha riscontri neppure nei comparti affini e fondamentali come il suolo e il paesaggio.
Tanto è vero che in carenza della legge quadro le regioni, non potendo ricorrere all’ente poi previsto dalla 394, ricorsero a soggetti come i consorzi che però per legge erano preposti non a gestire nuove competenze ma competenze ‘vecchie’, ma in maniera collegiale, tanto che in caso di scioglimento queste competenze ritornavano senza morti e feriti alla rispettive case madri. Il parco no, perché esso non gestisce in maniera collegiale competenze dei comuni o delle province e neppure delle regioni, ma competenze ‘aggiuntive’ per tutti e per di più in maniera integrata –vedi il rapporto terra-mare-.
Qui non c’è nulla da cambiare, neppure se si mette mano -come si è già cominciato a fare- alla riduzione delle rappresentanze negli enti parco ciò non deve tuttavia alterare e compromettere questa peculiarità istituzionale e culturale delle nostre aree protette.
E non è certamente un caso che questa deriva dei parchi coincida con lo scombussolamento in atto del nostro assetto istituzionale compreso ora quello regionale dopo le comunità montane e ancor più le province che sta rimettendo in discussione il titolo V della Costituzione rimasto –e anche questo non per caso- del tutto ignorato specialmente dal ministero dell’ambiente che lo aveva fatto disinvoltamente anche con il Decreto Bassanini.
Che su questo sfondo, per niente rassicurante, la politica brilli per la sua latitanza e inadempienza è oggi fuor di dubbio. Nell’incontro di fine settembre in San Rossore la politica non ne è uscita bene ed è per questo che come Gruppo vorremmo proprio in questa direzione riuscire a far sentire la voce di chi dalle istituzioni e dalle forze politiche si aspetta meno porcate e più impegni seri e chiari.
Renzo Moschini