Il dibattito sui parchi oggi quando si può considerare tale presenta come è riscontrabile anche per altri aspetti e comparti ambientali una sconcertante contraddizione rispetto al passato anche meno recente. Sul piano non soltanto nazionale forse mai come in questo momento infatti le grandi tematiche ambientali tengono banco negli incontri internazionali, encicliche, EXPO, ricerche scientifiche. Raramente insomma gli stati, l’ONU, la Comunità europea, il mondo scientifico sono stati chiamati come oggi a farsi carico di politiche, programmi, progetti, scadenze non più rimandabili in difesa dell’ambiente. Politiche in cui la tutela della natura, della biodiversità, del paesaggio, delle acque, delle foreste, dei mari, dei fiumi, delle montagne giocano un ruolo determinante e cruciale.
Si tratta di ambiti in cui anche il nostro paese magari in ritardo rispetto ad altri paesi anche nostri confinanti è intervenuto con buone leggi che nella nostra Costituzione e specialmente nell’art 9 hanno trovato legittimazione istituzionale e operativa. Leggi che nella gestione nazionale, regionale e locale hanno dovuto misurarsi con realtà e problemi nuovi rispetto a tradizioni istituzionali e amministrative che non si erano mai spinte al di là di normative urbanistiche ( piani regolatori comunali) e delle Sopraintendenze.
La sollecitazione maggiore venne dalla tardiva istituzione delle regioni che ebbero il merito, come ricordò nel suo messaggio proprio alla prima Conferenza nazionale sui parchi il Presidente della Repubblica Scalfaro, anche di far rimettere in cammino la legge quadro sulle aree protette che avrebbe tagliato il traguardo dopo i tanti intoppi parlamentari nel 1991. Questa legge unitamente a quelle sull’inquinamento, sul mare, sul suolo che l’avevano preceduta a cui presto si sarebbero aggiunte le norme comunitarie ebbe il merito di coinvolgere su un piano di pari dignità stato, regioni ed enti locali in una politica del governo del territorio affidata a strumenti di pianificazione non più incentrati su divieti ma su interventi di programmazione e progettazione. Non è certo un caso che anche la istituzione del Ministero dell’ambiente coincida soprattutto con il varo di questa legge che ebbe peraltro il merito di trasferire rispetto anche alle nostre poche esperienze storiche in materia di parchi le competenze dal ministero dell’agricoltura ad un ministero non più settoriale come poi sarebbe avvenuto anche con quello della Marina Mercantile.
D’altronde sappiamo bene alla luce anche delle due conferenze nazionali sui parchi a Roma e a Torino proprio quelle novità che irruppero in una gestione amministrativa fino a quel momento affidata ad un centralismo burocratico che nelle periferie aveva riguardato soprattutto le prefetture con effetti politici che provocarono non poche turbolenze. Gestioni fino a quel momento affidate ad organi consortili tra comuni, province e poi regioni venivano assunte da enti nazionali e regionali e interprovinciali che per la prima volta non erano chiamati come da tradizione ad apporre semplicemente e unicamente dei vincoli che pullulavano su tutto il territorio nazionale ma a predisporre piani e interventi su territori finora gestiti in chiave prevalentemente campanilistica.
Si trattò di una vera e propria sfida istituzionale e politica di cui avevamo registrato chiaramente i primi segnali già nella fase conclusiva del procedimento parlamentare quando furono sentite regioni ed enti locali.
Personalmente vi partecipai in rappresentanza dell’UPI ed ebbi modo di toccare con mano un clima che non a caso poco dopo avrebbe innescato non pochi ricorsi alla Corte Costituzionale che fortunatamente salvaguardò l’impianto di fondo della legge quadro considerato giustamente costituzionalmente corretto.
Un impianto che purtroppo subì presto però una prima manomissione di cui in troppi allora -e ancora oggi- non colsero gli effetti negativi e cioè il venire meno di quella sede in cui stato, regioni ed enti locali avrebbero dovuto definire e concordare una politica di programmazione complessiva per costruire un sistema nazionale unitario di aree protette a partire da una adeguata e corretta classificazione. Segnali allarmanti li avevamo registrarti già d’altra parte nella preparazione della prima Conferenza nazionale dei Parchi a Roma quando dovemmo sudare le classiche 7 camice per poter intervenire come Coordinamento nazionale dei parchi regionali (poi divenuto Federparchi?. Non meno sconcertante da questo punto di vista fu la prima festa nazionale dei parchi regionali che convocammo in San Rossore dove il ministro Ronchi nella Conferenza stampa di apertura sostenne che i veri parchi erano quelli nazionali. Non meglio d’altronde andarono –sempre con Ronchi-le cose con le aree protette marine quando al parco di Portofino fu negata la gestione dell’area marina perché parco regionale e non nazionale. Discriminazione non prevista dalla legge 394 di cui però il ministro si infischiò.
L’elenco delle inadempienze ministeriali è lungo e smentisce clamorosamente –ecco il punto- l’accanimento degli ultimi anni per stravolgere la legge quadro in quanto bloccata da norme ormai invecchiate. E’ verò invece proprio il contrario e cioè che i parchi sono alle soglie di una vera e propria disfatta non perché la legge è ‘vecchia’ ma perché non è stata attuata nei suoi aspetti più importanti e determinanti. Possibile che Federparchi ma anche molti altri tacciano sul fatto che il primo indecoroso testo presentato nel 2011 si aprisse con la cancellazione dell’articolo della 394 che stabilisce il coinvolgimento dei regioni nella istituzione di aree protette marine nei bravi tratti di costa prospicenti? E ora- sempre il testo in discussione al Senato- preveda una gestione ministeriale esclusiva con la privatizzazione di fatto di una serie di aree marine ‘locali’.
E se i maggiori parchi nazionali sovente commissariati per anni o senza direttore mancano di un piano di cui la maggior parte dei parchi regionali si sono dotati è colpa della vecchia 394? E se da anni l’associazione che rappresenta i parchi tiene il moccolo a questa rovinosa gestione incapace di presentare proposte degne di questo nome e che appartengono alla migliore tradizione di Federparchi, della sua vecchia rivista e Centro Studi. E le vicende dello Stelvio per venire a situazioni al centro delle cronache attuali dipendono da una legge che ha urgente bisogno di essere rinnovata ossia buttata al macero o ad una gestione ministeriale scandalosa per le assenze e non meno scandalosa per i suoi interventi con quello recentissimo del ministro Galletti che vede parchi come volano di svendita dei nostri territori pro-economia. Robe che neppure negli anni novanta -quando dovemmo faticare non poco per rassicurare innanzitutto le comunità locali che il parco non era l’ennesimo vincolo-qualcuno e tanto meno un ministro avrebbe fatto affermazioni del genere.
E qui siamo al presente il cui clima grazie a Galletti si è comprensibilmente infiammato e non solo sul testo in discussione al Senato. Per la prima volta –se non ricordo male- c’è chi chiede o vorrebbe chiedere le dimissioni del ministro commercialista che è andata proprio a cercarsela. Ma –e qui veniamo al nodo della questione su cui dovremmo evitare di puntare semplicemente ad un rafforzamento della polemica ancorchè legittima. Se sulla scena politico-istituzionale restano soltanto il ministro e il testo del senato i parchi chiederanno i battenti. Bisogna tornare alla carica per coinvolgere chi finora è rimasto alla finestra e non mi riferisco naturalmente solo ai parchi e a chi li rappresenta o dovrebbe rappresentarli. Mi riferisco alle forze politiche, ai gruppi parlamentari, al governo, alle regioni e a quel che resta delle autonomie. Chi ha vissuto le fasi a cui ho fatto anche cenno sa bene che questo confronto-coinvolgimento non è privo di attriti e difficoltà ma è anche la sola occasione in cui ognuno deve mostrare cosa è effettivamente capace di fare. Il tutto è più impegnativo che dare il ben servito ad un ministro che nessuno rimpiangerebbe.