Prendo spunto dal comunicato stampa di Legambiente dell’11 luglio 2016 il quale denuncia il cosiddetto ancoraggio perfetto di tre imbarcazioni da diporto presso P.ta Secca a 20 m dalla linea di costa dell’Isola di Giannutri, per tornare a parlare di ormeggio e impatto ambientale presso l’isolotto dello Scoglietto di Portoferraio all’Isola d’Elba.
Recentemente, non meno di un mese fa, per puro piacere, sono tornato a immergermi nelle acque dello Scoglietto. Erano passati oltre due anni dall’ultima personale esperienza presso questo sito di immersioni tra i più belli e affascinanti e ovviamente tra i più frequentati e apprezzati dell’Isola d’Elba.
Lo Scoglietto di Portoferraio, nelle acque del quale ho svolto decine di immersioni scientifiche, è un sito di tutela biologica (tra i più vecchi d’Italia, se non addirittura il primo) dall’elevatissimo contenuto naturalistico ed ecologico, sia per la presenza di un’estesa prateria di Posidonia oceanica (pianta marina, specie protetta, inserita in Direttiva Habitat dall’Unione Europea), sia per la ricchissima biodiversità in termini di fauna ittica che contraddistingue in maniera del tutto peculiare questa località. D’importanza fondamentale anche la comunità vegetale e animale associata all’ambiente di precoralligeno e coralligeno che popola i fondali rocciosi del famoso isolotto col faro.
Purtroppo fin dai primi minuti di immersione subacquea sono emerse ai miei occhi due criticità.
La prima è correlata alla presenza di un grandissimo quantitativo di alghe mucillaginose che fin dai primi metri di profondità accompagna il subacqueo, ricoprendo tutto il substrato di fondo roccioso fino a oltre 30 m (non mi sono spinto più in basso), rendendo praticamente impossibile osservare l’ambiente marino nella sua integrità.
La seconda è invece associata ai segni evidenti dei ripetuti ancoraggi che, nel versante orientale dell’isolotto, stanno letteralmente devastando sia la prateria di Posidonia, sia il fondo roccioso circostante a basse profondità.
Se per il primo problema le cause sono molto complesse e, probabilmente non univoche, dovute in parte anche a fenomeni legati all’aumento della temperatura media delle acque - il cosiddetto global warming che coinvolge ogni aspetto del mondo naturale - e che favorisce la riproduzione dando vita ai bloom algali e quindi all’iperproliferazione di alcune specie di alghe mucillaginose, per il secondo la causa è indiscutibilmente una e deve essere affrontata in maniera seria.
Più volte si è tentato di affrontare questa annosa problematica, proponendo per esempio l’istituzione di un campo boe, regolamentato e contingentato, con la finalità di preservare un ecosistema che rischia seriamente di essere compromesso in via definitiva e in tempi brevi.
Sono in primis i professionisti del settore, che frequentano quotidianamente il sito e con alcuni dei quali ho avuto modo di confrontarmi, che richiedono una soluzione, consapevoli che la compromissione dell’ambiente marino può mettere in discussione anche la loro stessa attività lavorativa.
Il progetto delle boe di ormeggio a basso impatto ambientale allo Scoglietto, vecchio obiettivo della Lega Navale di Portoferraio, con la partecipazione del Circolo Subacqueo Teseo Tesei, Greenpeace e il Laboratorio di Biologia Marina dell’Università di Torino, che rappresento, era stato avallato e approvato anche dal Comune di Portoferraio già nel febbraio 2011 attraverso la firma del protocollo d’intesa che ne indicava modalità e tempi di realizzazione.
Purtroppo il progetto, nonostante le indagini scientifiche ne provassero l’assoluta necessità, non vide mai la luce anche a causa della ferma opposizione della Capitaneria di Porto, la quale non tollerava, per ordinanza, la presenza di boe di ormeggio a distanze inferiori di 50 m l’una dall’altra, adducendo come principale motivazione, la sicurezza nell’esercizio delle immersioni subacquee. Motivazione legittima.
Chiunque però si sia recato almeno una volta allo Scoglietto di Portoferraio sa perfettamente che questa norma, durante la stagione estiva, non è mai rispettata e che talvolta il numero di imbarcazioni da diporto nelle acque del versante orientale dello Scoglietto è talmente elevato da rendere pericoloso anche un tuffo o peggio ancora lo snorkeling, se pur appositamente segnalato con pallone.
Ritengo in ogni caso e qualunque sia la posizione della Capitaneria di Porto, sia necessario coinvolgere nuovamente i soggetti in grado di affrontare seriamente questa problematica che si sta trasformando rapidamente in urgenza. Penso all’amministrazione del Comune di Portoferraio, alla Lega Navale, agli operatori diving, alle associazioni ambientaliste, al Parco Nazionale stesso che, pur non avendo giurisdizione in merito è pur sempre interlocutore attento e necessario.
E’ doloroso da ricercatore del settore e soprattutto da elbano constatare che non si riesca a trovare una soluzione neppure osservando la realtà di altre località, nelle quali si è scelto di conservare la biodiversità con un approccio responsabile, favorendo la tutela dell’ecosistema marino e adottando strategie compatibili con esso, comprendendo che queste ultime, con il tempo, rappresentato non solo un “investimento ecologico” per la conservazione dell’ambiente naturale ma addirittura economico per l’intera comunità.
La presente spero possa rappresentare l’occasione per tornarne a parlare in maniera costruttiva.
firmato
Nicola Nurra PhD
Biologo Marino, ricercatore presso il Laboratorio di Biologia Marina dell’Università di Torino,
Presidente della Cooperativa di monitoraggio ambientale marino Pelagosphera.
(foto di Francesco D'Arco)