Non è partito bene il confronto stato –regioni- enti locali sul titolo V. E anche il Disegno di legge del Ministro Catania per limitare la cementificazione del territorio agricolo, che aveva suscitato positive aspettative, sembra invece aggiungere già ai vecchi nuovi allarmi e preoccupazioni.
Il voto della bicamerale e le riserve e critiche manifestate dalle regioni e dagli enti locali per i tagli, ma soprattutto per i ‘controlli’ che non hanno nulla da invidiare a quelli delle vecchie prefetture sia da parte della Corte dei Conti (già cancellati per fortuna quelli preventivi) che dei ministeri, è stato da molti interpretato e considerato come l’ennesima conferma di una perdurante resistenza delle regioni come degli enti locali a voler fare i propri comodi. Non è così e poco c’entra la ‘casta’ con la riaffermazione che eccessi ed errori non devono essere presi a pretesto per rilanciare centralismi che di danni ne hanno già fatti molti, come possiamo continuare a vedere a Taranto come all’Aquila.
Meglio quindi ripartire dalle questioni che Salvatore Settis è tornato a riproporre partendo dal DDL sull’agricoltura.
Il nodo irrisolto, infatti, del titolo V specialmente per quanto riguarda l’ambiente nel suo complesso e non soltanto il paesaggio è come riuscire a gestire unitariamente ossia in ‘leale collaborazione’ l’insieme delle competenze sia statali che decentrate, nel rispetto di quella sussidiarietà che raramente abbiamo visto all’opera. Il primo aspetto riguarda naturalmente la ripartizione delle competenze che mentre per il paesaggio è competenza esclusiva dello stato per ‘l’ambiente’ è competenza mista. Nei fatti -ossia nella realtà- come dice Gregotti, il paesaggio senza delimitazione coincide con il territorio dove serve una azione di pianificazione e gestione che riguardi anche la natura inclusa quella che non riguarda prati, colline e alberi. Le alluvioni come gli incendi, in sostanza,procurano danni sia all’ambiente sia al paesaggio, comunque queste competenze siano ripartite. Le politiche del suolo, come quelle dei parchi e delle aree protette, hanno a che fare con queste politiche e quindi anche con il paesaggio che, come dice Purini, non è qualcosa di definito, tanto che mentre scompare quello agricolo le città cercano di rinaturalizzarsi. E se la scala comunale lascia troppo spazio all’urbanistica tradizionale e ignora quasi il paesaggio, mentre le regioni talvolta si presentano come isole impenetrabili e autoreferenti anche perché molta parte del territorio è di pertinenza di amministrazioni diverse a partire dai ministeri, l’ecosistema territoriale deve servire tuttavia ad affermare i valori locali che la globalizzazione può cancellare.
Ecco perché le ripartizioni delle competenze pongono in ogni caso un problema di gestione comune a tutti i livelli, di cui in questi 11 anni non si è praticamente quasi mai parlato. Qualunque ripartizione più o meno regionalista o centralistica richiederà invece, in ogni caso, intese. Su questo non ci piove, anche se finora si è fatto finta che il problema non stesse qui. Facciamo un esempio. I parchi in base alla legge 394 dovevano fare un piano ambientale che doveva riguardare anche il paesaggio. Con il nuovo codice il paesaggio è stato sottratto agli enti parco.
Ma c’è qualcuno che pensa sia possibile mettere mano ad un piano di un’area protetta su qualunque territorio essa operi ‘ignorando’ il paesaggio, perché non gli ‘compete’ più? Si pensa davvero possibile e ragionevole che la gestione del paesaggio di un parco sia decisa in altre sedi ‘settoriali’ che siano locali, regionali o nazionali ed oggi anche comunitarie? E un piano di bacino di un territorio come quello del Magra, dove l’alluvione ha fatto danni di ogni tipo e dove opera un parco, esso non dovrà occuparsi del paesaggio distrutto e scempiato?
L’inghippo, come si può facilmente verificare guardando a quello che è accaduto in questi anni, vuoi per il paesaggio, il suolo, la natura, prima ancora che a distinguere dove finivano le competenze esclusive e dove cominciavano quelle concorrenti, ha riguardato la palese difficoltà dovuta alla mancanza di volontà politica innanzitutto, ma non solo dello stato, a ricercare quelle intese generali, nelle sedi giuste che il decreto Bassanini aveva previsto, ma che sono rimaste lettera morta, specialmente per il ministero dell’ambiente. Questo è stato e resta il problema irrisolto che non potrà certo risolvere la Corte dei Conti e neppure la Conferenza delle regioni.
Men che mai si potrà farlo rivendicando per lo stato un ruolo riparatore ‘esclusivo’, quasi esso avesse le carte più in regola e maggiore credibilità e affidabilità degli altri livelli istituzionali.
Renzo Moschini