Già segnalato nel 1871 sul massiccio del Monte Capanne dal botanico Théodore Caruel, il «Lilium bulbiferum croceum» è stato il simbolo splendente della montagna elbana: «Sugli anfratti rocciosi delle Calanche vegeta nella varietà appenninica lo stupendo giglio rosso» scriveva Silvano Landi nel 1980, quando ancora nulla lasciava presagire il triste destino di questa nobile pianta. Poi, negli anni a cavallo tra XX e XXI secolo, quasi a voler concludere un meraviglioso «iter» millenario, «il soprannumero di mufloni e cinghiali nel massiccio del Capanne ha incredibilmente ridotto il numero di questi gigli, facendoli quasi scomparire del tutto. I mufloni brucano essenzialmente foglie e stelo, i cinghiali scavano il bulbo e completano l’opera. […] Recentissime segnalazioni parlano di sparuti esemplari che gridano vendetta da forre vertiginose, inaccessibili a bipedi e quadrupedi.»
Quest’ultima citazione è parte di un mio articolo del giugno 2007, in cui, a seguito di un’epica arrampicata mattutina, constatavo amaramente la situazione numerica della pressoché inesistente popolazione di giglio rosso. Una pianta di montagna diffusa su quasi tutti i rilievi europei, ma che per gli abitanti di Poggio era semplicemente il «giglio del Monte Capanne»; come se esistesse solo lì, come se fosse un segno di orgogliosa appartenenza.
Molte sono le vecchie testimonianze fotografiche che attestano la capillare diffusione del giglio rosso su tutto il versante settentrionale del Capanne, dal Monte di Cote alla Galera, dal Monte Corto alle Calanche. Dopo dieci anni, possiamo solo constatare che nulla è cambiato; la popolazione di «Lilium bulbiferum croceum» che giunge a fioritura è scarsissima, come testimoniano le fotografie scattate oggi, 14 giugno 2017, dall’eroico Stefano Segnini che si è arrampicato tra vertiginosi «macéi» contandone poco più di dodici esemplari abbarbicati tra rocce e precipizi dove neppure i mufloni riescono ad arrivare.