Domani è il Tartaday, la giornata dedicata alla salvaguardia delle tartarughe marine e del loro habitat. Tantissimi centri di cura e recupero di questi splendidi animali apriranno le porte ai visitatori per illustrare il loro lavoro e far conoscere da vicino le tartarughe marine ancora ricoverate. Ma non solo: domani e fino alla metà di agosto, i centri organizzeranno le liberazioni degli esemplari curati e pronti per tornare a vivere in mare. Intanto a Marina di Campo i volontari, coordinati da Legambiente con il sostegno di La Racchetta e delle associazioni animaliste elbane, aspettano la schiusa delle uova depositate da una tartaruga eccezionalmente a nord: all’Isola d’Elba.
Tartaday è una delle iniziative organizzate nell’ambito del progetto finanziato dalla Commissione europea TartaLife, che in tre anni ha permesso di curare presso i centri che aderiscono al progetto e restituire al mare circa 900 tartarughe.
«Un numero che è in netto aumento rispetto a cinque anni fa – ha dichiarato Alessandro Lucchet del CNR-ISMAR di Ancona, capofila del progetto - segno evidente che l’intensa opera di formazione e sensibilizzazione dei pescatori italiani coinvolti nel progetto TartaLife sta dando buoni frutti. Infatti, la maggior parte delle tartarughe che arrivano ai centri di recupero sono conferite proprio dai pescatori, principali responsabili del successo delle misure di conservazione della tartaruga marina che stiamo mettendo in campo da tre anni. Tutti i centri stanno collaborando con passione, ma i centri Adriatici della Fondazione Cetacea (a Riccione) e di Legambiente (a Manfredonia), risultano essere i più attivi, riuscendo a curare ogni anno centinaia di tartarughe”.
L’alto numero di tartarughe recuperato e delle nidificazioni che si moltiplicano sul nostro territorio confermano la possibilità di incidere concretamente sulla salvaguardia di questi esemplari perennemente minacciati dalle attività umane.
L’attività condotta durante TartaLife ha permesso di stimare che, solo in Italia, ogni anno circa 50mila tartarughe marine Caretta caretta sono vittime di catture accidentali, con la possibilità di circa 10mila decessi; le reti a strascico e le reti da posta, con oltre 20mila eventi di cattura stimati e i palangari, con oltre 8mila costituiscono le principali minacce alla conservazione della specie. E se le catture accidentali possono essere diminuite grazie alla collaborazione dei pescatori professionisti disposti a sostituire gli ami dei palangari e le reti tradizionali con strumenti a più basso impatto, molto rimane da fare per salvare le tartarughe dai pericoli legati all’ingestione di plastiche e rifiuti.
L’Università di Siena ha trovato rifiuti di plastica nel tratto gastrointestinale del 71% delle tartarughe analizzate. Nella maggior parte dei casi si tratta di plastiche fluttuanti che le tartarughe scambiano per meduse ma da questi animali sono stati estratti anche cotton fioc, pezzi di rete, tappi e piccoli oggetti abbandonati in mare.
“I centri di recupero delle tartarughe marine stanno svolgendo un ottimo lavoro e la collaborazione con i pescatori professionisti ha dato risultati eccezionali – ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni – ma le Caretta caretta e le altre specie di tartarughe marine diffuse nei nostri mari sono minacciate anche da altre attività umane. Il traffico marittimo, il degrado e la cementificazione delle coste, la maladepurazione e l’abbandono dei rifiuti sulle spiagge, la pulizia degli arenili con mezzi meccanici invasivi continuano a rappresentare rischi concreti per la sopravvivenza di questi animali”.
Lo scorso anno sulle nostre coste sono stati certificati 60 nidi (quindi si presume siano stati oltre un centinaio, considerando la difficoltà di censimento) di cui 41 sulle coste della Calabria, e quest’anno probabilmente i numeri saranno ancora più alti, con nidifcazioni eccezionali come quella di Marina di Campo.