Guardando oggi, 23 settembre, questa foto, vecchia cartolina d’un paesaggio che, a un primo impatto, facciamo fatica a riconoscere, ci troviamo in realtà a rimirare, nel grigio già tendente al seppia di uno scatto del 1951, gli effetti di una alluvione che, il 23 di settembre di quell’anno, aveva sommerso gran parte dei dintorni di Portoferraio.
Anche in Val di Denari, allora, quando non solo quello stupido torrentello quasi sempre secco, ma tutti i fossi e i fossetti avevano tracimato, le strade erano diventate fiumi ed era venuta giù tanta acqua da riempire tutta la valle. Acqua dappertutto.
Un bambino che, quel giorno, affacciandosi alla finestra, aveva visto quello spettacolo, racconta oggi d’aver pensato che era il mare che era arrivato proprio sotto la sua casa al Brunello. Sono passati ormai sessantasei anni e cominciano a scarseggiare i testimoni di quell’evento.
Oltre a Sergio Rossi (il bambino di tre anni alla finestra era lui) abbiamo trovato il nostro presidente Franco Braschi (classe 1939), suo fratello Giuliano ed altri due che allora eran ragazzi: Silvano Biondi e Mario Mercatini. Quando, dopo qualche giorno, la piena se ne era finalmente andata, oltre agli immaginabili danni per i piani bassi, le cantine, i fienili e gli animali da cortile, aveva lasciato dietro di se un paesaggio stravolto. Scendendo a valle l’acqua aveva portato giù, dai declivi e dai terrazzamenti, di tutto: alberi sradicati, cataste di legname, balle di fieno e di paglia, e soprattutto terra. L’acqua aveva sciolto quella terra sabbiosa e, defluendo, nei giorni successivi ne aveva portato giù a mare la componente di terra fine, lasciando sul fondo valle uno strato di sola sabbia alto più di un metro. I proprietari dei campi in basso ci misero qualche anno a smaltirla, vendendola a carrettate come sabbia di fiume a chi doveva costruire.
La severa lezione di quell’evento, purtroppo, non intimidì chi, negli anni settanta, dovendo costruire grandi agglomerati di alloggi realizzati in cooperativa, si trovò ad affrontare la presenza di quell’ingombrante alveo d’un corso d’acqua che c’era e non c’era, per lo più era in secca, quindi… Quindi si trovò una soluzione per farlo sparire: a poca distanza da dove sarebbe stato realizzato il parcheggio più a monte dei nuovi insediamenti venne realizzata una conduttura sotterranea in cui venne convogliato il fosso, un lungo tunnel (senza pozzetti d’ispezione) in cui l’acqua passa sotto ad un condominio, passa sotto via Aldo Moro, fiancheggia un altro condominio e riappare infine in un fossetto seminascosto fra le villette vicine alla cabina dell’Enel. All’imboccatura il condotto, a sezione quadrangolare, è di circa tre metri per tre metri, dimensioni che parrebbero congrue rispetto all’alveo del fosso che deve sostituire, ma ciò che sorprende è come la conduttura va poi a sfociare, nel fossetto tra le case. Lungo il tragitto, non sappiamo a partire da dove, il “tubo” si è ridotto a due metri di larghezza per un metro di altezza, meno di un quarto della sezione iniziale e, poco prima di uscire allo scoperto, fa anche una curva, rallentando così lo scorrimento dei materiali che l’acqua trasporta. Ecco fatto, abbiamo già pronta una situazione “ad imbuto” che non promette niente di buono per le villette che, dopo quell’evento, sono state costruite nella parte bassa della valle e per chi abita ai piani bassi dei condomini Cooper Isola d’Elba costruiti negli anni settanta.
Ma non è finita qui. Nel corso dei più recenti interventi edilizi, in parte prossimi ad essere ultimati ed in parte in fase di realizzazione nel cosiddetto PEEP Sghinghetta, per comodità di chi costruiva e, immaginiamo, con una notevole dose di ottimismo da parte di chi amministra il vincolo idrogeologico, si è intervenuti a modificare il sistema di deflusso delle acque piovane esistente in loco da secoli, come si può vedere dal Catasto Leopoldino, che è della seconda metà del Settecento. V’erano infatti, fino a qualche mese fa, due fossi, uno nella parte più alta e l’altro nella parte più bassa del terreno che potremmo identificare come lotto 28.5 del PEEP, che, raccogliendo a due diverse quote l’acqua proveniente anche dal retrostante declivio, la convogliavano poi, riunificandosi, nel fosso di Val di Denari, ma parecchio oltre, contribuendo così ad alleggerirne la portata. Dei due fossi, a quanto ci consta, quello più basso è stato letteralmente annullato, riempiendolo e costruendoci sopra, mentre quello più alto, che si trova praticamente a filo delle nuove costruzioni, risulta di conseguenza contenuto e di fatto ridotto.
Per gli eventi luttuosi e dolorosi che hanno colpito Livorno nei giorni scorsi, si è parlato, in tema di prevenzione, di dover tener conto della possibile ricorrenza duecentennale, od anche cinquecentennale di fenomeni naturali che possono determinare conseguenze dannose o addirittura catastrofiche. Corna facendo, e mettendo in atto ogni altro apotropaico gesto, teniamo conto che qui, dove stiamo chiudendo i fossi, poco più di sessanta anni fa c’è stata un’alluvione molto seria? Teniamo conto che, aprendo due strade che affacciano sulla vicinale da un livello più alto, creiamo due vie di deflusso per l’acqua piovana (quella che non va più nei vecchi fossi) verso quel maldestro imbuto dove di acqua ne arriva già troppa?
Leggiamo che i Sindaci ed i Tecnici, convocati dal Vice Prefetto, si sono impegnati a individuare ed a risolvere le situazioni critiche dovute alla chiusura e riduzione dei fossi. Vorranno prendere in considerazione questa nostra segnalazione? Cosa possono dirci, al riguardo, il nostro Signor Sindaco Architetto Mario Ferrari e il responsabile del vincolo idrogeologico Architetto Mauro Parigi?
Il Consorzio Strada Vicinale di Val di Denari