Salvatore Settis è tornato a denunciare cifre alla mano l’impressionante consumo di territorio del nostro paese divorato da una cementificazione selvaggia. Denunce che si aggiungono ormai quotidianamente a quelle di associazioni, comitati mentre in campagna elettorale c’è chi torna a parlare di condoni evidentemente sempre in canna.
E tuttavia proprio in vista delle prossime scadenze elettorali nazionali ma anche in alcune regioni, alla denuncia sacrosanta va accompagnata una meno vaga proposta politico-istituzionale per uscirne.
Settis ricorda i precedenti storici a partire dalla radicalizzazione dei contrasti dovute all’affidamento delle competenze sul paesaggio alla stato e quelle sul territorio e l’urbanistica in capo alle regioni che di solito le sub –delegano ai comuni. E’ tra questi interstizi di una normativa deficitaria e barcollante che si insediano i divoratori di suolo. Manca però qualcosa in questa raffigurazione della situazione, perché proprio a tutela del suolo ed anche del paesaggio dopo la istituzione delle regioni furono prima previsti con la legge 183 i distretti idrografici e poi con la legge sui parchi che affidò ai nuovi soggetti istituzionali la competenza anche sul paesaggio (recentemente tolta) mentre la legge sul suolo è finita nelle spire di Bertolaso e non è ancora tornata a regime neppure con le disposizioni comunitarie. Se vogliamo finalmente uscirne -specie dopo gli esiti sconfortanti del nuovo titolo V- dobbiamo riuscire a rilanciare politiche di governo del territorio in grado di mettere davvero in rete con stato, regioni ed enti locali quei soggetti e strumenti che erano stati preposti con legge proprio a politiche di programmazione di cui non resta più traccia. Da li dovrà ripartire il nuovo parlamento senza tentazioni e pretese di riproporre politiche di decostituzionalizzazione o separatiste con ritorni neocentralisti che hanno già fatto più danni della grandine.
On Renzo Moschini- Gruppo di San Rossore