Che i parchi stessero entrando in una crisi non congiunturale, cioè non in uno di quegli alti e bassi che hanno caratterizzato tutto il loro altalenante percorso sia prima della approvazione della legge quadro del 91, sia dopo quando essa entrò finalmente in vigore, ha faticato un bel po’ ad emergere e a preoccupare.
Ricordo di essermi beccato qualche brutta tirata d’orecchi anche da ambienti amici perchè vedevo rischi dove non ce n’erano e soprattutto sottovalutazioni e ritardi dove invece il sensorio –si diceva-era più che vigile.
Oggi è difficile negarlo e ancor meno far finta di niente per chiunque, sebbene restino poi differenze non trascurabili sulle risposte da dare alla crisi galoppante.
Credo che per riuscire a imboccare, dopo tante esitazioni e incertezze, la strada giusta a partire dalle politiche a cui sarà chiamato il nuovo governo e anche il nuovo parlamento, possa aiutare a capire meglio cosa è realmente accaduto. Vale naturalmente per la stessa rappresentanza dei parchi ma anche e soprattutto per le forze politiche e in particolare quelle che ai parchi avevano dedicato fin dall’inizio attenzione, impegno, iniziativa sia prima che dopo l’approvazione della legge quadro del 91.
Ritengo, infatti, che la fase istitutiva dei parchi e specialmente quella assolutamente nuova, cioè precedente la 394, si presentò subito –anche dinanzi alle resistenze e alle ostilità- in tutta la sua portata e novità culturale e politico-istituzionale. Risultò presto chiaro che il parco era un’arma in più -e molto efficace- contro la speculazione allora imperante specie sulle coste, ma non solo. Come dimenticare le vicende della pineta dei Salviati nella nascita e decollo del parco di San Rossore. Ma anche altri parchi regionali, dalla Lombardia al Piemonte,dalla Sicilia alle Marche, fino alla Liguria e al Veneto, hanno questo inconfondibile e incancellabile DNA che ritroviamo nei piani dei parchi, ossia la vera novità che anticipò anche la legge quadro che dovette farne non a caso tesoro. Poi, dopo il 91, sono arrivati i parchi nazionali con i loro enti parco che consentirono anche a quelli regionali –quasi tutti- di passare dal Consorzio di enti locali all’ente regionale sul modello di quello nazionale.
Nel frattempo ai parchi si erano affiancati nuovi protagonisti dell’impegno ambientale delle istituzioni come i bacini idrografici anche se non gestiti da un soggetto istituzionale sul modello dei parchi, come poi avrebbero inutilmente richiesto.
Insomma la prima fase che precedette l’approvazione della legge quadro fu segnata da una gestione pianificata di importanti territori che travalicava ormai i confini comunali, provinciali e anche regionali. La fase che seguì, se da un lato offriva finalmente un ambito di riferimento nazionale e per più d’un aspetto anche comunitario alle regioni e agli enti locali, dall’altro cominciò ad essere segnata da una crisi delle politiche di programmazione specie sovraordinata tanto che oggi su 24 parchi nazionali solo 3-4 hanno un piano approvato. Così, mentre la legge affidava finalmente al ministero compiti precisi di programmazione volti a costruire un sistema nazionale di parchi e di aree protette, che era la condizione fondamentale per superare la frammentazione regionale e locale e soprattutto di integrare la gestione terra- mare prevista peraltro anche da altre leggi più o meno coetanee come quella sul mare, qualcosa si stava depotenziando.
Entrò subito in sofferenza la pari dignità tra parchi nazionali e regionali come si potè vedere anche alla prima Conferenza nazionale dei parchi svoltasi a Roma. Alla prima festa dei parchi regionali in San Rossore il ministro Ronchi sostenne che i veri parchi erano quelli nazionali e in perfetta coerenza con questa sconcertante sortita non affidò al Parco regionale di Portofino la gestione dell’area marina sostenendo che non lo consentiva la legge quadro. Non fu difficile poi alla Corte dei Conti affermare che la decisione del ministero contrastava non solo con la 394 ma anche con la legge 426 che aveva ben precisato gli ambiti di azione a cui avrebbe dovuto attenersi il governo; Alpi, APE, Santuario, gestione integrata aree protette terrestri e marine che il ministero ha sempre ignorato ed eluso.
Nella stessa struttura ministeriale vennero meno senza essere rinnovati e riformati, come si sarebbe dovuto anche in base alla Bassanini, organi e sedi preposti a quella programmazione sistemica prevista dalla legge quadro.
E dopo le inadempienze indecorose sul fronte delle aree protette marine, si giunse così più recentemente alla sottrazione del paesaggio alla pianificazione dei parchi che era stato –risultati alla mano- uno degli aspetti più innovativi del ‘laboratorio’ parco che venne meno proprio nel momento in cui a Firenze si firmava con ritardo l’adesione del nostro paese alla Convenzione europea.
Già da questa estremamente sommaria ricapitolazione di alcuni passaggi chiave si ha conferma che quella crisi in cui sempre più velocemente si era entrati non aveva nulla di congiunturale ma di più profondo e allarmante.
Ed era ancor più chiaro ed evidente che le cause non erano da ricercarsi nella legge quadro, ma proprio nelle inadempienze politiche ministeriali a partire da quella relazione annuale che avrebbe dovuto via via documentare lo stato dell’arte sul piano nazionale, il suo rapporto con le regioni e gli enti locali. Buio pesto e nessuna volontà di misurarsi e confrontarsi con tutti i protagonisti di una partita sempre più complessa e a rischio; ecco il no alla terza Conferenza nazionale. Ma soprattutto il tentativo riuscito anche per corresponsabilità –verrebbe da dire complicità- di soggetti che accolsero la pretestuosa manfrina di fare della legge il capro espiatorio di una politica fallimentare. Quello che può essere considerato un vero condono politico che per di più ha incoraggiato lo stravolgimento di una legge –vedi testo del senato- che non è in attesa e bisognosa di modifiche ma di piena attuazione.
Ecco perché il nuovo governo e il nuovo parlamento sono attesi alla prova e non certo nel senso che proseguano il lavoro di smantellamento avviato dal ministero anche con il soccorso sorprendente del senato, ma proprio perché rilancino finalmente una politica e un impegno degno di questo nome. La stazione di partenza non è la legge ma la politica di cui oggi si è orfani. E le istituzioni -non solo centrali- non sono attese perché sfornino altri pessimi emendamenti o trovate ma propongano idee, impegni, percorsi di governo del territorio e di tutela ambientale di cui oggi non vi è traccia.
Come gruppo di San Rossore, a cominciare dall’incontro previsto a Pisa per il 5 marzo, partiremo da qui con la consapevolezza che la crisi con cui dobbiamo misurarci non riguarda solo i parchi ma anche le politiche per mettere in sicurezza il suolo e pure il paesaggio. Risposte che non possono venire solo e per molti versi neppure dalla green economy.