In commissione Affari istituzionali e generali del Consiglio regionale della Toscana sono spuntati due articoli che hanno fatto insorgere le organizzazioni professionali agricole e che sembrano rispondere all’errata convinzione che il disastro ambientale ed economico causato dalla fallimentare gestione venatoria degli ungulati possa essere risolto ripercorrendo una strada che si è rivelata sbagliata: quella della caccia e dell’esclusione degli agricoltori, cioè di chi subisce i maggiori danni economici.
Gli “emendamenti” che stranamente sono stati presentati in prima commissione e non nella loro sede naturale, la Commissione agricoltura, riguardano lo spinoso capitolo dei risarcimenti danni alle colture agricole causati dalla fauna selvatica, che rischiano drastici tagli, e l’istituzione dei Centri di assistenza venatori (Cav) gestiti dalle associazioni venatorie ai quali verrebbero affidate le attività di assistenza procedimentale.
Ha ragione Coldiretti a denunciare quello che sembra un regalo elettorale e una polpetta avvelenata depositata in Regione da qualche “manina” che pensa che la malattia si possa curare con chi l’ha diffusa con una gestione scellerata della fauna al solo scopo consumistico/venatorio, combinando veri e propri disastri ambientali come nel caso dei cinghiali provenienti dal centro-Europa. Un disastro pagato in primo luogo dalla biodiversità e dall’agricoltura che si trovano a confrontarsi con la più alta densità di cinghiali europea in una regione con la più alta densità di cacciatori. E’ evidente che il sistema non funziona.
La caccia non è il rimedio ma, come dimostra anche l’esperienza francese, una gran parte della soluzione può venire dagli agricoltori. Il trappolamento deve essere esteso al di fuori delle aree protette in maniera sostanziale e dando agli agricoltori il sostegno economico necessario, risarcimenti compresi, e i cinghiali catturati.
Esperienze come quelle dell'Ente Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano all’Isola d’Elba, dimostrano che le trappole sono il mezzo più efficace per ridurre le popolazioni di cinghiali e che possono essere affiancate, dentro le aree protette, da abbattimenti selettivi mirati e concordati che abbiano l’obiettivo di ridurre drasticamente l’impatto degli ungulati su fauna e flora protette e l’attività agricola.
La gestione venatoria del cinghiale si è trasformata in un disastro perché punta ad incrementare la risorsa ed incrementare il caniere e non a ridurne davvero il numero fino ad arrivare alla sostenibilità ecologica.
Le istituzioni non possono continuare a delegare la soluzione di questo problema ad altri con artifici, come i Cav, si tratta di una grave questione ambientale, economica e sociale che devono affrontare in prima persona, con la concertazione, la condivisone e senza trucchi e favori.