Alla terza conferenza internazionale Action4Good, “Creare soluzioni resilienti ai bisogni idrici”, organizzata a Santa Margherita Ligure dal 12 al 14 maggio dall’International Desalination Association (IDA), con il sostegno di Fao, European Desalination Society, Global Clean Water Desalination Alliance e Global Solar Council, e il patrocinio di dell’amministrazione di centro.destra di Genova e dei Rotary Club di La Spezia e Lunigiana, sono state esaminate le questioni energetiche e ambientali legate alla desalinizzazione e «Il ruolo della desalinizzazione e del trattamento avanzato delle acque nella creazione di un mondo più sostenibile». la segretaria generale dell’Ida, Shannon McCarthy, ha sottolineato che «Ida supporta un obiettivo H20-C02 e sostiene il ruolo fondamentale che svolgono l’efficienza energetica, l’energia rinnovabile e la minimizzazione dell’impatto ambientale nei sistemi di desalinizzazione e riutilizzo dell’acqua nel raggiungimento di questo obiettivo, per garantire che la crescita nel settore della desalinizzazione e del riutilizzo dell’acqua vada di pari passo con la responsabilità sociale».
Al centro della discussione a Santa Margherita ci sono stati i dati dell’IDA Water Security Handbook, pubblicato a gennaio dall’l’International desalination association e da Global Water Intelligence (Gwi) che rappresenta l’ultima e più completa del mercato della desalinizzazione e del riutilizzo dell’acqua e dal quale emerge che, dopo 3 anni in cui il mercato globale della desalinizzazione è rimasto stabile, si prevede che il 2019 vedrà la maggiore crescita della desalinizzazione dell’acqua marina dalla fine degli anni 2000. Attualmente nel mondo si riutilizzano più di 200 milioni di acqua al giorno e ci sono più di 20.000 impianti di dissalazione, A trainare la crescita della dissalazione nel 2019 sarà il Medio Oriente dove, nella prima metà del 2018, la dissalazione dell’acqua è aumentata del 28% e sono annunciati importanti progetti.
Aumentano anche i contratti di dissalazione negli Usa, mentre la dissalazione di acqua a bassa concentrazione salina rappresenta ormai il 25% del totale, Inoltre, negli ultimi anni anche la dissalazione per uso industriale ha avuto un aumento considerevole, con un aumento del 21% tra il 2016 e il 2017, dovuto soprattutto all’incremento della dissalazione nell’industria petrolifera e gasiera, per le miniere per l’elettronica. Il mercato globale continua ad essere dominato (90%) dalle tecnologie di dissalazione a membrana, con in testa l’osmosi inversa che ha conquistato anche i Paesi del Medio Oriente dove, tradizionalmente, si utilizzavano le tecnologie a evaporazione che creano più salamoia.
Chi dice che le grandi imprese della dissalazione non vogliono sentir parlare di riutilizzo dell’acqua sbaglia: spesso si tratta delle stesse imprese e infatti L’IDA Water Security Handbook sottolinea con grande evidenza che «Il riutilizzo di acqua come soluzione ai crescenti problemi idrici nel mondo si è incrementato significativamente negli ultimi anni» e fa l’esempio di Città del Capo in Sudafrica e della California che stanno spingendo per il riutilizzo delle acque reflue, mentre la Cina punta molto su riutilizzo delle acque industriali, che rappresentano il 49% della capacità contrattata tra il 2010 e il 2017, anche India e Taiwan stanno incentivando fortemente questo settore. Gli Usa sono il secondo più grande mercato del mondo (10% del totale) per il riutilizzo dell’acqua, mentre anche in Messico, Perù ed Egitto nell’ultimo anno c’è stata una bona crescita.
In Europa il Paese leader nel riutilizzo dell’’acqua è la Spagna e con la nuova regolamentazione per l’utilizzo agricolo approvata recentemente dal Parlamento europeo, nei prossimi anni questo settore nell’Ue potrebbe crescere vertiginosamente, passando dagli attuali 3 milioni di m3 al giorno fino a 18 milioni m3/giorno. La Spagna è anche leader europeo (e uno dei primi al mondo) per la dissalazione e ha costruito e sta costruendo diversi impianti all’estero: 8 delle 20 maggiori imprese a livello mondiale sono spagnole.
Il presidente Ida, Miguel Angel Sanz, ha sottolineato che «L’Ida ha sempre appoggiato soluzioni per la scarsità idrica, sostenendo lo sviluppo della dissalazione e l’industria del riutilizzo dell’acqua per garantire acqua e risorse naturali sostenibili. Negli ultimi decenni, il nostro settore ha raggiunto un’importante riduzione dei costi dell’acqua non convenzionale e una maggiore qualità per garantire la sostenibilità idrica, Dato che il cambiamento climatico continua ad avere un impatto sul mondo, insieme alla crescita industriale e demografica, la domanda di acqua potabile aumenta. La desalinizzazione e riutilizzo dell’acqua, soluzioni di approvvigionamento idrico non convenzionali e rispettose dell’ambiente, sono in linea con l’economia circolare dell’acqua e offrono soluzioni per la scarsità idrica». La Shannon ha aggiunto: «I trend che stiamo osservando indicano un ampio riconoscimento del fatto che queste soluzioni avanzate di trattamento delle acque sono essenziali per la salute e il benessere delle persone e delle economie di tutto il mondo, sia ora che in futuro».
Secondo Christopher Gasson di Gwi, «Il grande successo dello scorso anno è stato il costo della dissalazione. I recenti bandi di gara in Arabia Saudita e Abu Dhabi l’hanno visto scendere per la prima volta sotto gli 0,50 dollari/m3. Dopo un decennio in cui il prezzo è salito verso l’alto a causa degli alti costi dei materiali e dei maggiori costi energetici, questa è una buona notizia. In effetti, ci aspettiamo che il 2019 sia l’anno migliore in assoluto nel mercato della desalinizzazione».
Ma le critiche non mancano: come fa notare Bruce Stanley di Bloomberg sul Washington Post «E’ una crudele ironia per il pianeta blu: la maggior parte della Terra è inondata negli oceani, eppure l’acqua marina è imbevibile. Gli sforzi su vasta scala per rimuovere il sale dall’acqua di mare – il processo noto come desalinizzazione – risalgono agli anni ’50 e oggi quasi 20.000 strutture dalla Cina al Messico stanno rendendo potabile l’acqua salata per sostenere la crescita delle popolazioni. Ma questa alchimia moderna è sotto esame perché i critici si chiedono se i benefici della desalinizzazione giustificano il suo potenziale danno agli ambienti marini e il contributo al riscaldamento globale».
Le critiche riguardano soprattutto due questioni: la salamoia e i consumi energetici. Ma è soprattutto la salamoia a preoccupare, in particolare dopo la pubblicazione dello studio “The state of desalination and brine production: A global outlook”, pubblicato su Science of the Total Environment da un team di ricercatori dell’United Nations University (UNU – Canada), dell’università olandese di Wageningen e del Gwangju Institute of Science and Technology (Corea del sud) che accusa – soprattutto Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar – di inquinare il mare con un concentrato salato che può contenere residui di sostanze chimiche anti-incrostanti e anti-fouling utilizzate negli impianti. Ida ha risposto che lo studio non fa differenza tra tecnologie termiche e a membrane e che «Ha mostrato una mancanza di conoscenza reale. Lo studio è l’opinione di alcune persone che lavorano in un’università e non un’opinione ufficiale delle Nazioni Unite sulla desalinizzazione». Va anche ricordato che lo stesso studio non mette in dubbio la necessità di realizzare dissalatori dove ce n’è bisogno e di estendere la tecnologia ai Paesi i via di sviluppo.
Lo studio UNU è stato anche analizzato (e smontato) dagli ingegneri e dagli scienziati dell’Asociación Española de Desalación y Reutilización (AEDyR) che hanno ricordato che «Tutti i processi di dissalazione separano l’acqua in entrata (marina o salmastra) in due flussi diversi: uno di acqua potabile (l’acqua dissalata prodotta) e un flusso conosciuto come salamoia (chiamato anche concentrato o rifiuto) e che è la stessa acqua in ingresso con una maggiore concentrazione di sali, essendo questi diluiti in una minore quantità d’acqua. La salinità della salamoia dipende dalla concentrazione di sale che ha l’acqua in entrata. La percentuale di acqua dissalata e di salamoia è differente in ogni impianto di dissalazione, poiché dipende dai livelli di conversione dell’acqua che permettono l’efficienza del processo di dissalazione di ogni impianto. Le differenti tecniche di dissalazione sono associate a diversi rapporti di conversione dell’acqua e, a questo proposito, i processi a membrane (osmosi inversa, nanofiltrazione e elettrodialisi, con l’osmosi inversa che è la più utilizzata nella desalinizzazione in Spagna e globalmente) sono associati a rapporti di conversione molto più elevati rispetto ai processi ad evaporazione (MSF, MES)».
Anche la qualità dell’acqua in entrata è importante per determinare i rapporti di conversione ed è molto più complesso e costoso gestire impianti di dissalazione con un elevato rapporto di conversione, quando la salinità dell’acqua in ingresso è maggiore. La salinità media dell’acqua di mare è compresa tra i 35 e i 45 grammi per litro (l’acqua consumabile da un essere umano varia da 3 a 25 grammi di sale per litro), ma all’AEDyR sottolineano che varia secondo il mare, la zona e la profondità alla quale viene presa e che quella del Mediterraneo – con 36 – 39 g/l – è l’acqua “ideale” per la dissalazione- Quella più salata (se si escludono mari interni come il Mar Morto e il Mar Caspio ) è quella del Mar Rosso (42 – 46 g/l), seguita da quella del Golfo Persico (40 – 44 g/l). Il Mar dei Caraibi ha una salinità simile a quella del Mediterraneo (34 – 38 g/l), seguito dall’Oceano indiano (33 – 37 g/l) e dagli oceani Pacifico e Atlantico (33 – 36 g/l), mentre il Mar Baltico tecnicamente è un mare salmastro con una salinità di appena 6 – 18 g/l. Ma quello che sottolinea maggiormente AEDyR è che «Nonostante nella salinità del mare possano esserci degli squilibri locali, è importante sottolineare che, a livello globale, il bilancio marino del mare è costante».
Inoltre, la salinità del mare dipende da diversi fattori: l’evaporazione superficiale provocata dall’energia solare (e quindi può essere diversa secondo le stagioni); nelle zone tropicali, che sono più calde, c’è una maggiore salinità che in mari come il Mediterraneo e quelli delle latitudini più elevate. Ad abbassare la salinità è anche la presenza di foci di fiumi (ma lì di solito non servono dissalatori). In profondità, dove le temperature sono costanti e più basse, la salinità è inferiore. Le correnti influenzano poco la salinità del mare. Per questo è molto più costoso e complesso gestire dissalatori in mari come il Mar Rosso e il Golfo Persico dove la salinità è più alta e i prelievi e gli scarichi avvengono su bassi fondali.
In mare sono stati identificati 70 elementi chimici, la maggioranza in quantità estremamente piccole. I più abbondanti sono: cloruro, sodio, magnesio, zolfo, calcio, potassio, bicarbonato, bromo, stronzio, boro e fluoro. I ricercatori spagnoli fanno notare che «Insieme, questi sali costituiscono più del 99% della massa di soluti dissolti nell’acqua di mare. Tra loro il cloruro e il sodio (che formano il cloruro di sodio, cioè i componenti del sale da tavola comune) costituiscono più dell’85% del totale dei sali dissolti nell’acqua marina. Le quantità dei restanti elementi sono minoritarie, dato che sono in concentrazioni molto piccole, con percentuali inferiori all’1%. Anche alcuni di loro, come fosforo, ferro, manganese, iodio e rame sono in concentrazioni costanti, mentre, al contrario, titanio, cadmio, cromo, antimonio, germanio, tallio e cloro hanno concentrazioni variabili, lo stesso avviene con i gas (ossigeno, anidride carbonica e azoto) disciolti nelle acque marine, in quanto la loro presenza è legata ad alterazioni da parte di organismi biologici o reazioni fisico-chimiche. Anche se sembra ovvio, è importante sottolineare che l’acqua di mare non è semplicemente una soluzione di sali e gas disciolti, ma che gli organismi che vivono nel mare esercitano un’influenza sulla composizione delle acque. Per esempio, i molluschi estraggono calcio dall’acqua marina per fabbricare le loro conchiglie e corpi e le spugne e alcuni tipi di alghe marine eliminano lo iodio del mare»
Rispondendo ancora allo studio dell’UNU, l’AEDyR spiega che «Il progetto di ogni impianto di dissalazione è unico. Non esistono due impianti uguali, poiché è necessario adattare il suo design alle specifiche condizioni locali. E lo scarico della salamoia è specificamente progettato per ridurre al minimo l’impatto di ogni impianto date quelle specifiche condizioni locali. I sistemi di scarico della salamoia sono progettati attraverso la costruzione di emissari con diffusori e una precedente diluizione che fanno in modo che la salamoia, quando viene a contatto con il mare e le correnti marine, si dissolve rapidamente. Tutti gli impianti di dissalazione sono soggetti a periodici studi di fattibilità e impatto ambientale approvati dall’autorità competente, per analizzare in profondità il possibile impatto della salamoia. Vi sono numerosi studi nazionali e internazionali che confermano l’innocuità del rigetto della salamoia nell’ambiente marino quando lo scarico viene è effettuata correttamente. La Spagna ha guidato la protezione ambientale rispetto alla salamoia con progetti di ricerca del Cedex e di diverse università, dando vita a raccomandazioni per progetti e piani di monitoraggio ambientale negli impianti di desalinizzazione che sono stati adottati anche da altri Paesi».
E i ricercatori spagnoli evidenziano che secondo lo stesso studio UNU esistono nuove tecniche pe trattare e recuperare i componenti della salamoia: «La ricerca di nuove soluzioni per migliorare l’efficienza delle tecniche di dissalazione e l’uso di nuove tecniche per il trattamento delle salamoie interessate dallo studio a cui facciamo riferimento si stanno sviluppando in diversi progetti in Spagna e nel resto del mondo, quindi non è escluso che nei prossimi anni ci saranno degli sviluppi in questi settori. Secondo i dati dello studio, prendendo in considerazione l’acqua desalinizzata prodotta e la salamoia sversata a seconda delle aree geografiche, vediamo che, a livello globale, i tassi di recupero (rapporti di conversione) sono circa dello 0,50. Ciò si verifica in tutte le aree geografiche ad eccezione del Medio Oriente, che è, secondo lo studio, il luogo in cui viene prodotta la percentuale più elevata di salamoia globale (70,3%). Senza entrare in valutazioni su queste cifre, si fa notare che questa area geografica è quella dove si concentrano la maggior parte degli impianti di dissalazione a evaporazione di grandi dimensioni (principalmente MSF, impianti di dissalazione che in Spagna non costruiamo più a partire dagli anni ’90), che hanno rapporti di conversione nella produzione di acqua inferiore all’osmosi inversa e quindi maggiori rese in salamoia. Va rilevato che, negli ultimi anni, l’osmosi inversa è la tecnologia più applicata nei nuovi impianti nella regione, per cui si prevede che questa tendenza sarà invertita nel corso del tempo verso gli indici globali più coerenti. Sebbene questi squilibri locali possano causare preoccupazione, è necessario chiarire che l’equilibrio salino complessivo del mare è costante. L’acqua desalinizzata dopo il suo utilizzo viene nuovamente trattata negli impianti di trattamento delle acque reflue e torna direttamente al mare attraverso gli scarichi».
Stanley sul Washington Post fa notare che, nonostante i dubbi di qualcuno, «La necessità di rendere potabile l’acqua di mare non mostra segni di rallentamento. Con gli attuali tassi di consumo, il più grande emirato degli Emirati Arabi Uniti potrebbe esaurire le scorte di acque sotterranee naturali “nel giro di pochi decenni”, ha affermato l’ Abu Dhabi Environment Agency in un rapporto del 2017. Tuttavia, l’aumento della domanda di risorse idriche limitate sta stimolando nuove idee per la produzione alimentare tanto quanto per la desalinizzazione. L’International Center for Biosaline Agriculture di Dubai ricicla la salamoia per irrigare le piante tolleranti al sale come la salicornia, che può essere mangiata o utilizzata per i biocarburanti. L’istituto di ricerca coltiva anche colture alimentari come la quinoa che prosperano in terreni salati e desertici».
Anche per quanto riguarda l’atro grosso problema (e il maggior costo dei dissalatori), i consumi energetici, le cose stanno migliorando: attualmente un impianto di dissalazione a osmosi inversa consuma circa 3 kWh/m3, i primi impianti a evaporazione consumavano più di 50 kWh/m3. I ricercatori spagnoli spiegano ancora: « Per mettere questa cifra in prospettiva, se consideriamo che il consumo energetico di una famiglia media in Spagna è di 13.141 kWh/anno e che il consumo medio annuale pro-capite è di 150 litri/giorno, prendendo come riferimento che il consumo di energia medio per produrre 1 m3 di acqua desalinizzata è 3kWh/m3, con il consumo energetico di una famiglia media si è in grado di rifornire 80 persone con acqua di mare desalinizzata per tutto l’anno».
La maggiore efficienza energetica dei dissalatori è avvenuta grazie a interventi che hanno riguardato l’intero processo di dissalazione: tubazioni, pompe, membrane, recupero di energia, utilizzo di energie rinnovabili e recupero dei prodotti chimici. La percentuale più elevata di consumi energetici di un dissalatore viene dalle pompe ad alta e bassa pressione utilizzate nelle diverse fasi del processo di dissalazione. Le pompe a bassa pressione servono soprattutto a caricare e scaricare l’acqua e a seconda delle prese (costiere, in pozzi o con condotte sottomarine) e il consumo di energia varia notevolmente da un impianto all’altro.
Le pompe ad alta pressione servono a far passare l’acqua di mare attraverso le membrane con una pressione di circa 65-70 bar. Per sfruttare la pressione della salamoia in uscita, che ha la stessa pressione (meno le perdite di carico stimate in circa 3 bar), sono stati progettati sistemi di recupero energetico e dalle iniziali pompe invertite, mosse dalla pressione e dalla portata della salamoia, si è passati prima alle turbine Pelton che hano maggiori prestazioni di recupero e ora alle camere di interscambio della pressione, con prestazioni di recupero ancora migliori, che sono diventate il nuovo standard dei moderni dissalatori.
I ricercatori AEDyR concludono: «Attualmente, le possibilità di migliorare le prestazioni delle apparecchiature e dei circuiti idraulici della desalinizzazione ad osmosi inversa sono molto limitate, poiché i limiti termodinamici sono stati quasi raggiunti, quindi il prossimo passo è ridurre significativamente il consumo energetico di un impianto a osmosi inversa sta nell’abbassare le pressioni di lavoro, vale a dire trovare membrane che consentano il funzionamento a pressioni più basse con una produzione uguale o superiore o un tipo di membrana che possa funzionare con pretrattamenti meno esigenti di quelli attuali».