L’Elba e l’Arcipelago Toscano hanno bisogno della Convenzione di Faro?
Questo accordo prende nome dalla località portoghese, Faro, in cui è stata scritta nel 2005, è in vigore dal 2011ma l’Italia, dopo averla sottoscritta nel 2013 non la ha poi ratificata. Chi volesse leggerla, può reperirla al link: http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione-di-Faro.pdf.
In breve, “Faro” muove dal concetto che la conoscenza del patrimonio culturale e l’uso dell'eredità culturale rientrino fra i diritti dell’individuo a prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità. Cittadini e popolazione devono avere un ruolo attivo, interattivo e di partecipazione verso i valori e l’eredità culturale. La valorizzazione non la fa più soltanto lo Stato ma anche le sinergie fra pubblico, cittadini, privati, associazioni. Questi soggetti sono definiti da “Faro” come comunità di eredità, “insiemi di persone che attribuiscono valore a degli aspetti specifici dell’eredità culturale, che desiderano, nell’ambito di un’azione pubblica, sostenere e trasmettere alle generazioni future”. In questo modo “Faro” dà forza all’articolo 9 della Costituzione Italiana (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”). Tuttavia, “Faro” ripristina il nesso tra paesaggio e patrimonio da un lato e tutela, ricerca, valorizzazione e comunicazione dall’altro.
Il diritto al patrimonio culturale, la responsabilità individuale e collettiva nei confronti del patrimonio medesimo, da conservare e utilizzare in maniera sostenibile, hanno come obiettivo lo sviluppo dell’Uomo e la qualità della vita. La qualità di conoscenza, tutela e consapevolezza del patrimonio culturale concorre a formare il benessere individuale e collettivo non diversamente dalla qualità dell’aria, dell’acqua, del cibo, dei servizi. I cittadini devono essere non solo utenti più o meno informati e consapevoli del patrimonio ma attori primi.
La risposta alla domanda iniziale è sì.
Ci sono, non potrebbe essere diversamente, delle note critiche. Devo qui, necessariamente, inserire un commento un po’ triste. Da tempo l’Elba e l’Arcipelago, pur avendo tutte le carte in regola per fare più che bene, segnano il passo dal punto di vista degli investimenti nel patrimonio culturale, scesi a livelli inaccettabili sia dal punto di vista degli attrattori turistici sia soprattutto, e questo è grave, nella prospettiva della crescita culturale della comunità elbana. La scarsità delle risorse economiche e finanziarie investite nel patrimonio culturale, entrata in una fase tale da non consentire più una attività significativa è grave ma non spiega tutto. Volendo molto semplificare, le lacune investono l’assenza di un coordinamento tra Istituti e attività culturali di vario ordine e grado, che vivono e si organizzano in una dimensione totalmente localistica. In assenza di pianificazione e di programmazione, ogni Comune e ogni Assessorato alla Cultura organizza e finanzia iniziative, generalmente effimere, senza minimamente tener conto di ciò che viene pianificato a pochi kilometri di distanza. Beninteso, dal punto di vista giuridico tutto questo è assolutamente legittimo ma dal punto di vista politico e di economia della cultura è uno spreco enorme di risorse umane e finanziarie e di competenze. L’Elba e l’Arcipelago, invece di essere arricchite dalle loro molte diversità su un piano culturalmente coerente, vivacchiano debilitate, frammentate, scisse.
Esiste poi una vetustà di fatto nella gestione-conservazione-comunicazione del patrimonio culturale. Non sono un talebano della tecnologia a tutti i costi ma ormai, la comunicazione soprattutto, viaggia attraverso reti che non possiamo ignorare né lasciare silenti e inutilizzate.
Esiste in questo arcipelago, in questa isola, in questo Paese una idiosincrasia acuta per il ricorso alle competenze e conoscenze dei giovani in campo scientifico, professionale e tecnico. In Italia ancora oggi, quasi sempre, l’esperienza dovuta all’anzianità è considerata più importante dell’aggiornamento metodologico, scientifico e culturale. Tante energie giovani vanno così sprecate e i catastrofici risultati si vedono: è come se preferissimo essere curati da un medico ottantenne perché saggio invece che da un medico quarantenne, esperto ma fresco di studi e di aggiornamento.
Al contrario, bisogna creare piccole aziende innovative nelle quali i giovani interessati al futuro possano investire conoscenze, competenze, creatività, saperi intellettuali e saperi manuali. E bisogna essere più versati all’inclusione che all’esclusione.
Infine bisogna tornare a ragionare di “paesaggio”. Ma di questo la prossima volta.
Franco Cambi