La notizia che 6,3 tonnellate di rifiuti contenuti in 56 “ecoballe” trasportate dalla motonave IVY siano finite in mare nel luglio 2015 al largo dell’isolotto di Cerboli - Zona A di protezione integrale del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, Zona di protezione speciale (direttiva Uccelli ) e Zona speciale di conservazione (Direttiva Habitat) – in pieno Santuario Internazionale dei Mammiferi Marini Pelagos, è sconcertante. Sarà bene che le autorità proposte – a cominciare dal ministero dell’ambiente - che hanno taciuto dopo la segnalazione della Capitaneria di porto. chiariscano dove e come è avvenuto l’incidente, lo stato dei rifiuti finiti in mare, la loro pericolosità per un ambiente protetto e per fauna e flora difese da due Direttive europee.
La cosa ancora più preoccupante è che l’incidente è avvenuto 2 anni e mezzo dopo il naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio che portò – dopo le proteste e le pressioni di Legambiente e delle altre associazioni ambientaliste – all’approvazione del decreto Clini-Passera dell’8 marzo 2012 che all’articolo 1 recita: «Nella fascia di mare che si estende per due miglia marine dai perimetri esterni dei parchi e delle aree protette nazionali, marini e costieri, istituiti ai sensi delle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n. 394, e all'interno dei medesimi perimetri sono vietati la navigazione, l'ancoraggio e la sosta delle navi mercantili adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori alle 500 tonnellate di stazza lorda».
Ma, incredibilmente e nonostante le proteste di Legambiente per Cerboli quella fascia di rispetto è stata portata a circa 700 metri perché ci si è successivamente avvalsi della seconda parte dell’articolo 1 del Clini-Passera dove si legge: «In relazione alla tipologia dei traffici che ordinariamente interessano le fasce di mare individuate dal presente comma o alle caratteristiche morfologiche del territorio, l'Autorità marittima competente può disporre, per la fascia esterna ai predetti perimetri, limiti di distanza differenti allo scopo di garantire la sicurezza anche ambientale della navigazione e per l'accesso e l'uscita dai porti».
Di fronte a questo incidente tenuto incredibilmente nascosto e che forse potrebbe spiegare anche l’accumularsi straordinario di rifiuti urbani di tutti i tipi (compreso un intero negozio di scarpe) trovato negli ultimi anni dai volontari di Vele Spiegate nelle spiagge dell’Elba Orientale di fronte al Canale di Piombino, Legambiente chiede che le “ecoballe” di Cerboli - che, a differenza dei fusti tossici di Gorgona, sono finite in un fondale accessibile - siano recuperate senza indugio, che venga bonificato l’intero fondale interessato dal disastro, che venga quantificato il danno ambientale subito e che, come le spese di recupero, venga addebitato ai responsabili.
Inoltre, ricordiamo al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi che, in occasione del naufragio della Costa Concordia, per evitare altri “inchini” e transito di navi con a bordo merci pericolose vicino alle isole protette, si impegnò a riaprire l’iter per l’istituzione dell’Area marina protetta dell’Arcipelago Toscano e mettere fine a un vero e proprio scandalo internazionale, visto che la sua istituzione è prevista dal 1982 e confermata dalle successivi leggi sui Parchi e dagli accordi internazionali firmati dall’Italia. Non si è avuta più notizia di questa solenne promessa.
Il nostro mare, come dimostra purtroppo la moria di delfini in corso, va difeso di più e meglio e invece in questi anni post-Costa Concordia le tutele sono state addirittura ridotte e gli incidenti sono continuati a verificarsi come e più di prima.