In Toscana è ripresa dopo una delle tante interruzioni la discussione sulla programmazione regionale, insomma di chi e come deve decidere del governo del territorio.
Si è partiti con un documento regionale che ha subito suscitato allarmi e riserve soprattutto dell’ANCI e dell’UNCEM. Non convince la pretesa regionale di stringere di più le briglie dei comuni e che taglia fuori di fatto –ed è un altro aspetto ancor meno convincente- realtà come i bacini e i parchi in attesa da anni di essere rimessi in gioco con norme e ruoli su cui è calata la tela. Il tutto reso più confuso dalla scomparsa di fatto delle province. E gli effetti si sono subito visti con il litigio Rossi-Barducci a Firenze in cui il presidente della regione ha zittito quello della provincia ricordandogli che tre livelli istituzionali sono troppi e costosi e rendono tutto meno efficace per cui le province si rassegnino a chiudere i battenti. Nel frattempo si legge che in territori tra i più pregiati della Toscana dalla Val d’Orcia a Castelfalfi dove da anni si discute di aree protette o da proteggere, si fanno affari d’oro con ricchi compratori stranieri che si prendono territori sul cui destino qualche dubbio è legittimo.
Dopo le tante chiacchere sulla partecipazione toscana e la sua legge che in molti -si dice- ci invidiano, non ci sembra di vederne qualche effetto convincente.
Davvero basta in tempi così calamitosi un po’ più di centralismo regionale a cui dovrebbero far buon viso i comuni, senza che finalmente si mettano in rete soggetti senza i quali parlare di programmazione è aria fritta? Davvero dinanzi alle alluvioni che si ripetono e i conflitti che si inaspriscono su impianti e infrastrutture regionali e interregionali bastano gli uffici regionali e comunali? E’ così difficile capire che queste ricette hanno già fallito sia sul piano nazionale e ministeriale che in quello regionale? Una dose maggiore farà maggiori danni e non solo in Toscana. Non è il momento di cambiare marcia?
Renzo Moschini
Foto: La crocetta di Cristina Spinetti