Da decenni in cui erano vietate anche l'ancoraggio e la navigazione, la decisione del Parco di aprire Pianosa ai sub trova l'appoggio anche degli ambientalisti.
L’Isola del Diavolo, area marina protetta e fino a pochi anni fa carcere-inferno per i mafiosi condannati al 41 bis, apre ai sub. L’annuncio, a sorpresa, arriva dal sito del Parco dell’Arcipelago Toscano. Una notizia straordinaria per gli amanti dei fondali ma destinata, forse, a provocare qualche polemica, perché da decenni nel mare dello «scoglio» a poche miglia dall’Elba, non sono vietate soltanto l’ancoraggio, la sosta e la navigazione di barche e la pesca, ma anche ogni tipo di immersione. E le visite sull’isola, la più piatta dell’arcipelago toscano, sono rigorosamente contingentate. Un «proibizionismo» criticato anche da molti ecologisti.
Anche Legambiente plaude al provvedimento. «I veri ambientalisti non sono per la chiusura a priori – spiega Umberto Mazzantini di Legambiente Arcipelago toscano –. Nel caso di Pianosa i sub diventano guardiani di un ambiente dove il bracconaggio ha provocato gravi problemi». Una certa apertura del mare di Pianosa potrebbe rilanciare l’isola che, dopo la chiusura del carcere di massima sicurezza, sta lentamente morendo. Le strutture dell’Ottocento del vecchio penitenziario, architetture importanti sotto la tutela della sovrintendenza, si sbriciolano e l’antica Planasia, l’isola del patrizio romano Postumio Agrippa, dei cristiani in fuga dalle persecuzioni, dei galeotti del Granducato, degli oppositori del fascismo (come Sandro Pertini che qui fu internato), dei terroristi e dei boss mafiosi al 41bis, si sgretola come il mondo di Fantasia divorato dal Nulla.
Il Nulla, per Pianosa, sono i mille progetti naufragati, e gli altri mille bloccati dalla burocrazia. Eppure l’isola non è solo un paradiso ambientale ma anche uno scrigno di tesori archeologici e storici. A nord di Cala Giovanna ci sono i resti di una villa romana del primo secolo dopo Cristo, luogo di soggiorno patrizio. E nelle vicinanze ci sono le catacombe abitate dai cristiani deportati sull'isola per l'estrazione del tufo. Visitarle è un’esperienza quasi mistica. Entri nei cunicoli, ancora chiusi dalle inferriate del vecchio carcere, e ti sembra di ascoltare le preghiere delle comunità paleocristiane. Una cooperativa (composta anche da ex carcerati) gestisce un ristorante e un albergo con alterne fortune. Chissà, forse le guide subacquee potranno riaccendere un po’ d’entusiasmo su un tesoro da preservare da colate di cemento e speculazioni edilizie, ma non da blindare. Pianosa non può più essere l’isola proibita.