Le spiagge elbane, dopo le mareggiate, si ricoprono di un voluminoso strato costituito dalle foglie della «Posidonia oceanica», una vera e propria pianta marina - non un'alga - con cui la natura riesce validamente a proteggere le spiagge dall'incessante erosione dei marosi. Questi ammassi venivano chiamati «pila marina» dagli antichi abitanti dell'Elba. Nel 1780 scrisse a tal riguardo il naturalista Charles Henri Kœstlin nelle sue «Lettres sur l'histoire naturelle de l'isle d'Elbe»: «Le foglie di questa pianta e la pila marina sono gettate assai copiosamente sulle rive dell'isola».
Un'altra interessante testimonianza venne fornita nel 1771 dal comandante Piovanelli nel manoscritto «Breve descrizione dell'isola dell'Elba»: «Quando il mare da impetuosi e procellosi venti vien agitato, le sue onde portano a terra negl'indicati siti copia non piccola di un'erba che il mare stesso produce, chiamata àliga; questa che ivi si ferma, già inzuppata e poi inaffiata sovente dall'acqua salmastra del mare, riceve ancora le acque dolci che nelle giornate piovose le circonvicine montagne li tramandano. Queste due acque di differente specie e natura, trovandosi unite, si corrompono sempre e producono, segnatamente nell'estate, un fetore insoffribile, quindi esalazioni perniciose che vengono accresciute dalla corruzione dell'àliga che serve di fermento alle due acque, onde poi deriva che l'aria circonvicina, contaminata e nociva, si esperimenta».
Gli ammassi di «pila marina» hanno determinato il toponimo elbano «Cala dell'Alga», presente sia al Cavo sia tra Pomonte e Fetovaia. Tra l'altro, è probabile che il toponimo «Fetovaia» derivi proprio da quel «fetore insoffribile» descritto dal comandante Piovanelli.
Silvestre Ferruzzi