Le Carte geologiche a piccola scala dell’Isola d'Elba - Le prime carte geologiche dell’Elba risalgono agli anni Quaranta dell’Ottocento. Sono carte a grande scala di geologi italiani (Paolo Savi, Università di Pisa e Giuseppe Gjuli, Università di Siena) e transalpini (August Krantz e Bernhard Studer). Le memorie geologiche di Savi e Studer vennero presentate a Firenze, nella sala di Galileo de la Specola nel settembre del 1841 nel corso dei lavori della Terza Riunione degli Scienziati Italiani. Nelle riunione fra l’altro, l’elbano Giuseppe Ninci, noto per la sua celebre Storia dell’Isola d’Elba, presentò un lavoro sulle caratteristiche geografiche della sua terra. Successivamente le caratteristiche geologiche elbane, con particolare riferimento alla parte orientale che ospita le mineralizzazioni a ferro, furono oggetto degli scritti di Leopoldo Pilla, voluto dal Granduca Leopoldo II alla cattedra di geologia dell'Ateneo Pisano. I suoi scritti dovevano essere seguiti da disegni di mappe e sezioni geologiche, ma gli eventi risorgimentali portarono il geologo Pilla a Curtatone, dove il 29 maggio 1848 perse la vita, a fianco di Elbano Gasperi, combattendo nei ranghi della Brigata Toscana comandata dall'elbano Cesare De Laugier.
Nel giugno del 1860, poco dopo l'annessione della Toscana al Regno Sabaudo, Enrico Grabou e Quintino Sella- futuro professore di Mineralogia a Torino nonchè Ministro delle finanze del Regno d'Italia, al tempo ingegnere del Corpo minerario del Regno di Sardegna- giunsero all'Elba e sulla base di una antica carta topografica alla scala 1:20.000 pianificarono il rilevamento di dettaglio dell'Elba. Il progetto, che vide la partecipazione di Vincenzo Mellini, al tempo incaricato alla direzione delle miniere di Rio, si interruppe nel 1865 con la scomparsa di Grabou, e i documenti cartografici andarono dispersi. Sei anni più tardi (1871) venne pubblicata nel primo volume delle Memorie descrittive della Carta Geologica d'Italia, "la dotta memoria del Cocchi arricchita da una carta alla scala 1:50.000 della parte orientale, da parecchie sezioni e vedute paesistiche", come ebbe a scrivere Bernardinio Lotti. Al tempo Igino Cocchi, professore di geologia nell'Istituto Superiore di Studi pratici e perfezionamento di Firenze ( poi Università), era amministratore delle miniere elbane, nonchè assieme a Quintino Sella un fervido sostenitore della progettata Carta Geologica d'Italia.
La prima edizione della Carta geologica dell'Elba al 25 mila è del 1884 ad opera di Bernardino Lotti e Pietro Fossen del Servizio Geologico d’Italia. Il rilevamento venne eseguito alla scala 1: 10.000, poi ridotto al 25.000, ma un bel plastico, una vera opera d’arte, al 10.000 è conservato nelle sale del Parco minerario a Rio Marina. Nel 1967 viene pubblicata la seconda edizione rilevata dai geologi della Università di Pisa coordinati da L. Trevisan e G. Marinelli, e nel 2015 infine, è stata pubblicata la terza edizione, curata dai geologi della Università di Firenze coordinati da V. Bortolotti, con il patrocinio ed il contributo del Parco Nazionale Arcipelago Toscano (Ed. D.R.E.A.M, Pratovecchio; www.dream-italia.it). La Carta del 2015 è stata inoltre la base del Foglio Isola d’ Elba della Carta Geologica d’Italia al 50 mila e delle corredate Note illustrative, edite da ISPRA- Servizio Geologico d’Italia (www.isprambiente.gov.it). Dalle tre edizioni della Geocarta dell’Elba è possibile avere un esempio della evoluzione, tecnologica e concettuale, delle Scienze geologiche dalla fine dell’ Ottocento ad oggi.
Lotti e Fossen percorrevano il territorio muniti di bussola, martello e tavoletta topografica fresca di stampa da parte dell’ Istituto Geografico Militare.
Le finalità dei rilevamenti geologici a piccola scala attivati fino dai primi anni dell’Unità d’Italia, erano essenzialmente rivolti alle esigenze di carattere minerario. Non a caso i primi rilevamenti del territorio nazionale riguardarono le zone dei giacimenti di solfo siciliani e quelle ferrifere elbane: le due più importanti aree giacimentologiche dell’Italia appena unita. Al tempo i campioni di rocce e minerali venivano chimicamente analizzati con lunghe tecniche per “via umida”; studiati al microscopio ottico; datati sulla base della loro giacitura e di una approssimata, cronologia relativa basata sulla presenza di macro fossili. Quando negli anni Sessanta del secolo scorso i geologi della Università di Pisa rilevarono l’Elba: alla bussola, al martello, alla tavoletta topografica e al microscopio ottico- sempre indispensabili-, si erano affiancate tecniche di indagine ai raggi x; datazioni assolute basate sul decadimento degli isotopi radioattivi; sempre più dettagliate cronologie relative basate sui micro fossili, e stava emergendo l’uso di strumentazioni come le microsonde e i microscopi elettronici. Al tempo le evidenze geologiche sulla “Deriva dei continenti” e sulle” Falde di ricoprimento tettonico” avevano consolidato le teorie enunciate all’inizio del Novecento, e la stessa struttura e composizione delle parti interne della Terra erano modellizzate sulla base di una imponente mole di dati geofisici e geochimici. Venivano proposti i primi modelli geodinamici imperniati sulla “ Tettonica delle Placche litosferiche” e stavano emergendo le problematiche legate al limite delle georisorse , alle fragilità geoambientali, al rischio sismico, vulcanico ed idrogeologico, e all’impatto ecologico delle attività antropiche.
Giungiamo così ai nostri giorni e alla terza edizione della Geocarta dell’Elba. Il martello resta sempre lo strumento base, ma la bussola e la tavoletta topografica, sono relegate in fondo allo zaino. I rilevamenti georeferenziati (GPS) e l’elaborazione tematica delle immagini satellitari e le articolate restituzioni digitali, sono la prassi del lavoro cartografico; in laboratorio le strumentazioni permettono di analizzare chimicamente in loco frammenti delle dimensioni dei nanometri, e di “vedere” la struttura atomica dei minerali; le datazioni assolute e relative, definiscono sempre più dettagliatamente la scala dei tempi geologici, e le elaborazioni informatiche dei dati e le ricostruzione digitali in 3D, incrementano enormemente la valenza euristica dei modelli geologici a scala locale, regionale e globale. La cartografia e il data base geologico è diventato un indispensabile mezzo di pianificazione territoriale e di prevenzione sismica, vulcanica ed idrogeologica, in un Mondo in cui, giorno dopo giorno, a scala locale e globale, emergono i limiti di modelli di sviluppo , non ecologicamente sostenibili. La protezione dei luoghi con significative emergenze geologiche, i così detti geotopi o geositi, e la valorizzazione delle diversità geologiche ( paesaggi, morfologie , minerali, rocce, giaciture formazionali, fossili,…), accanto a quelle biologiche, costituiscono oggi un reale bisogno educativo e culturale, con determinanti ricadute ecologiche, sociali ed economiche che, nel peculiare e celebre patrimonio geo-mineralogico dell’ isola d’ Elba, trovano il loro ideale laboratorio di applicazione.
Le Unità Strutturali dell’Elba - Una caratteristica saliente della strutturale geologica elbana è la presenza di numerosi affioramenti di brecce tettoniche. Rocce formate da sassi spigolosi di varia natura, cementati da argille, calcite, ossidi ed idrossidi di ferro. Le brecce individuano delle superfici lungo le quali sono scivolati e si sono accavallati, pacchi di formazioni rocciose, le così dette Unità tettoniche o strutturali, durante i processi orogenici che portano alla formazione delle catene montuose.
Tornando all’ Elba le sue formazioni nella seconda edizione del 1967 della Carta geologica, furono raggruppate in cinque Complessi, all’ interno dei quali nella Carta del 2015 sono state distinte nove Unità strutturali, secondo il seguente scherma : Unità toscane – Complesso I (Unità di Porto Azzurro), Complesso II (Unità di Ortano e Unità di Acquadolce o Valdana) , Complesso III (Unità Toscana Metamorfica o Monticiano- Roccastrada e Unità Toscana non Metamorfica o Falda Toscana)- ; Unità Liguri – Complesso IV ( Unità di Grassera e Unità Ofiolitica distinta in Monte Strega e Polveraia/Fetovaia), Complesso V ( Unità del Flysch Paleocenico di Lacona e de Le Tombe, e Flysch Cretaceo di Ripanera).
Le diverse Unità tettoniche si sono accavallate durante l'Orogenesi appenninica iniziata attorno a 30-28 milioni di anni fa (Oligocene) quando la Placca europea e la microplacca di Adria, una sorta di promontorio della Placca africana, si sono scontrate all’ altezza, più o meno dell’ attuale Provenza. Poi l’Orogene è migrato lentamente verso oriente, accompagnato, fra circa 8 e 0,3 milioni di anni ( Miocene superiore- Pleistocene medio) da una intensa attività magmatica- in un regime geodinamico estensivo- con manifestazioni, sia vulcaniche ( Capraia, San Vincenzo, Roccastrada, Radicofani, Amiata, Cimini, Tolfa) che intrusive ( Elba, Montecristo, Giglio, Campiglia Marittima, Gavorrano). La GTE si sviluppa quasi completamente sulle formazioni delle Unità liguri e delle rocce granitiche del Monte Capanne, con solo un breve tratto, all’altezza di Valdana, dove affiorano formazioni toscane.
Ed ora iniziamo il cammino.
(Figura: Relazioni fra i Complessi della Geocarta dell’Elba del 1967 e le Unità strutturali della Geocarta del 2015)