In realtà non era propriamente un gufo ma un Assiolo (Otus scops) quello che avevo scorto con la coda dell'occhio sulla carreggiata stradale scendendo lungo la strada del Volterraio, ormai a buio, al rientro del mio servizio di guida del Parco per l'escursione alla fortezza, proprio come l'animale ritratto un anno fa dentro una piccola nicchia presente nella torre della rocca, mentre riposava tranquillamente, tanto che allora, dopo averlo fotografato, ho continuato la visita guidata mentre il gufetto continuava a dormire. Ora invece la piccola figura era in piedi quasi al centro della corsia accanto – corsia ideale, dato che lungo quella strada di montagna non esiste la linea di mezzeria – mentre passavo con la mia auto in discesa. Rallento per fermarmi poco più avanti, facendo attenzione dato che lì non c'è un posto per la sosta senza occludere la viabilità, ma per fortuna in questo momento non passa nessuno … decido di provare a tornare indietro con cura: sono lungo uno dei pochi tratti “quasi rettilinei” offerti da quell'insidioso tracciato asfaltato… Ricordo di aver già incontrato rapaci notturni lungo le carreggiate stradali elbane, probabilmente colpiti e storditi da qualche automezzo. Molti anni fa si era trattato di una piccola civetta raccolta a buio in mezzo alla provinciale presso il dosso del fosso della Madonnina: dopo averla presa facilmente e messa in macchina la tenni la notte in una scatola di cartone per portarla il giorno dopo ad alcuni volontari dell'associazione Elbaviva a cui ero iscritto. L'animale, posto qualche tempo in osservazione in una voliera, si era ripreso e aveva poi spiccato il volo. Un'altra volta ancora era stato un grande barbagianni bianco che avevo visto al margine della strada, presso l'antico Mulinaccio, di fronte al muro della tenuta della Chiusa, lungo la strada per i Magazzini: anche in questa occasione, fermata l'auto in sicurezza, ero sceso con attenzione riuscendo ad afferrare il rapace. L'animale, dopo qualche attimo di tranquillità od esitazione, forse stordito da un colpo ricevuto da un'auto, aveva iniziato a riprendersi e allentata la presa si librò in un bianco batter d'ali per nascondersi nel vicino canneto.
Questa volta, sceso dall'auto con la massima cura e con le quattro frecce lampeggianti, ho notato tristemente che il piccolo rapace, sicuramente colpito precedentemente da un automezzo, era ormai riverso sull'asfalto, e una volta raccoltolo non ho potuto far altro che constatare che il mio gesto non gli poteva ormai più rendere la vita.
Antonello Marchese
Una delle principali minacce che affliggono i rapaci notturni in tutto il mondo è l’impatto con veicoli. Probabilmente per alcune specie è la prima causa di mortalità non naturale e sicuramente un pesante fattore di limitazione della popolazione almeno per quelle maggiormente interessate. Purtroppo, è normale, spostandosi lungo le autostrade italiane, verificare come la triste punteggiatura di carcasse di animali selvatici sia formata in gran parte da uccelli e piccoli mammiferi. Le cronache sono anch’esse tempestate da racconti di incidenti con cinghiali, daini e caprioli ma nessuno mai si lagna di impatti con uccelli, tassi, ricci, faine. Quelli non sciupano la carrozzeria quindi poco contano, non fanno notizia.
Le specie maggiormente colpite sono quelle che cacciano volando a bassa quota oppure si spostano con voli bassi e rettilinei, quindi, nell’ordine indicato da tutti gli studi più recenti, Civetta, Barbagianni e Gufo comune. A seguire tutti gli altri. Meno frequenti gli incidenti con specie più forestali come Allocco e Assiolo. Tra le cause principali, sempre secondo i numerosi studi effettuati anche in Italia, la scarsità di vegetazione a bordo strada (che costringerebbe gli uccelli a sostare prima di attraversare, o ad alzare la quota di volo), le strade veloci costruite sopra il livello del piano di campagna e, ovviamente, l’incremento esponenziale del traffico stradale e della velocità dei mezzi.
Se per la rete autostradale questo fenomeno triste e deleterio è purtroppo “normale”, sulle strade dell’Elba è veramente difficile da accettare. Le nostre strade sono piene di curve, salite, strettoie, buche. I rettilinei sono davvero pochi. Il caso dell’Assiolo al Volterraio è veramente sintomatico! A quale velocità doveva andare l’auto che lo ha travolto per non riuscire ad evitarlo, ammesso che il conducente ci abbia provato? Che fretta aveva chi probabilmente a malapena si è accorto di spengere una vita preziosa, un piccolo migratore, un alleato inconsapevole proprio dell’essere umano e delle sue attività? Quanti secondi avrà mai guadagnato accelerando su quel rettilineo? E cosa se n’è fatto, di quei secondi?
Tutto ciò non dovrebbe essere triste solo per chi si occupa di conservazione o dello studio della fauna selvatica, anche perché gli squilibri generati dall’uomo alla fine su di esso ricadono e la storia recente avrebbe dovuto insegnarcelo. Invece continuiamo ad accelerare, tutti concentrati sui numeri del contachilometri o del conto corrente, fino a passare sopra agli altri, alla qualità della nostra vita e, prima o poi, anche al nostro futuro.
Giorgio Paesani