Nella lontana Nuova Caledonia erano state descritte finora 96 specie endemiche di Eumolpini, ma alcune stime suggeriscono che il loro numero potrebbe essere almeno il doppio. Lo studio “Integrative taxonomic revision of the New Caledonian endemic genus Taophila Heller (Coleoptera: Chrysomelidae, Eumolpinae)”, pubblicato su Insect Systematics & Evolution da Leonardo Platania dell’Institut de Biologia Evolutiva (IBE) del Consell Superior d’Investigacions Científiques (CSIC) dell’Universitat Pompeu Fabra (UPF), e Jesús Gómez-Zurita, dell’Institut Botànic de Barcelona (IBB), ha fatto una revisione tassonomica del genere Taophila Heller (Coleoptera: Chrysomelidae) endémico della Nuova Caledonia, descrivendo 11 specie nuove per la scienza e riportato il primo caso di introgressione di mtDNA per la fauna neocaledonica.
Ecco come sino state chiamate le nuove specie descritte nello studio: Taophila carinata, T. dapportoi,
1. davincii, T. draco, T. goa, T. hackae, T. samuelsoni, T. sideralis, T. taaluny, T. wanati.
Uno studio sorprendente e affascinante e che dimostra quando ci sia ancora da scoprire sulla biodiversità insulare.
Per caprine di più abbiamo rivolto alcune domande al principale autore dello studio, Leonardo Platania, un biologo che proviene dall’università di Firenze. Ecco cosa ci ha risposto:
Come è nato questo studio?
Questo studio nasce come parte di un più ampio progetto di ricerca che include il mio dottorato dell’Herbivore Beetle Evolution Lab (IBB-CSIC) di Barcellona di cui è a capo il Dr. Jesús Gómez-Zurita, supervisor della mia tesi.
Il progetto in questione, portato avanti ormai da 15 anni, ha come obiettivo quello di studiare la diversità, l’origine biogeografica e l’evoluzione di un gruppo di coleotteri della famiglia dei Crisomelidi, gli Eumolpini, nel pacifico occidentale, ovvero in quelle isole che milioni di anni fa facevano parte del continente perduto Zealandia, separatosi alla fine del Cretaceo dal supercontinente Gondwana, e che in seguito a complessi eventi tettonici, è stato quasi completamente sommerso dalle acque dell’Oceano Pacifico. Le isole in questione sono la Nuova Caledonia e la Nuova Zelanda. Queste isole sono state oggetto di accese discussioni in campo biogeografico, infatti i loro bioti presentano un altissimo tasso di specie endemiche, alcune delle quali risaltano per le loro caratteristiche primitive (un esempio per tutti, il Tuatara della Nuova Zelanda, unico rappresentante vivente dei Rincocefali, gruppo basale di ciò che definiamo tradizionalmente come “rettili”, il che lo rende ciò che chiamiamo colloquialmente come fossile vivente). La presenza di antiche linee evolutive ha fatto sì che per molto tempo queste isole fossero considerate delle vere e proprie Arche di Noè (Moa’s arks, con un gioco di parole riferito al famoso Moa della Nuova Zelanda, un enorme uccello attero estinto a causa della caccia degli antenati polinesiani dei Maori), conservando tutti quegli antichi organismi un tempo appartenenti al continente Gondwana. Negli ultimi decenni però, studi geologici e numerosi studi molecolari su diversi gruppi animali e vegetali dell’area, hanno ribaltato questa visione, in quanto risulta che la Nuova Caledonia e la Nuova Zelanda, rispettivamente nell’Eocene e nell’Oligocene siano state completamente o in larga parte sommerse dalle acque per vari milioni di anni, con una conseguente estinzione di tutti (o quasi) gli organismi presenti su di esse. Di conseguenza gran parte della fauna e flora presenti in queste isole deriverebbe da colonizzazioni successive, affondando quindi la teoria dell’Arca di Noè. Tuttavia, la citata presenza di antiche linee evolutive come quella del Tuatara mantengono ancora un punto interrogativo sulla questione. È in questo contesto che nasce il progetto sui crisomelidi Eumolpini, i quali sono presenti nella regione con moltissime specie nelle varie isole. Studiare la loro diversificazione può aiutarci a capire i complessi processi evolutivi e biogeografici che hanno generato l’attuale biodiversità nel Pacifico Occidentale.
Perché conoscere la tassonomia di questi insetti che vivono in una grande isola così lontana da noi è importante?
A questo punto risulta naturale capire perché è importante conoscere quante e quali specie di Crisomelidi Eumolpini siano presenti in queste isole, ma potremmo anche dire lo stesso più genericamente riguardo tutti gli organismi viventi dell’intero pianeta. Senza conoscere le specie presenti sarebbe alquanto difficile studiarne l’evoluzione. Inoltre, descrivere nuove specie è importante per quanto riguarda la loro conservazione; sappiamo che ci troviamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa, dove i tassi di estinzione naturali sono decuplicati a causa delle attività umane, un numero incalcolabile di specie sarà probabilmente estinto prima ancora di conoscerne l’esistenza. Nel caso della Nuova Caledonia per di più, ci troviamo di fronte ad un’isola inesplorata almeno per quanto riguarda gli insetti; basti pensare che fino ad una ventina di anni fa si conoscevano soltanto 20 o 30 specie di Crisomelidi Eumolpini, adesso siamo arrivati a 96, e ce ne sono ancora molte altre da descrivere. C’è da dire poi che quest’isola è stata identificata come uno dei 36 punti caldi (hotspot) di biodiversità nel mondo. Gli hotspot di biodiversità sono delle aree che attraverso l’analisi di vari parametri come la ricchezza di specie, la percentuale di endemismi (organismi presenti solo in una determinata zona) e la fragilità degli ecosistemi, sono state designate come aree estremamente importanti dal punto di vista della conservazione. Più del 90 per cento delle specie presenti in Nuova Caledonia sono endemiche, il che vuol dire che se dovessero estinguersi, un’importante fetta della biodiversità mondiale sarebbe perduta per sempre. Ma non finiscono le particolarità; infatti, in quest’isola, le specie di numerosi gruppi di organismi, sia piante che animali, presentano un singolare pattern di distribuzione, ovvero presentano una condizione di microendemicità, il che significa che oltre ad essere uniche della Nuova Caledonia, sono anche uniche di determinate aree al suo interno, ad esempio, nel caso dei crisomelidi del nostro lavoro, possiamo vedere che specie presenti sulla vetta del Mont Panié, nella provincia Nord, sono assenti in altre montagne a pochi chilometri di distanza, e lo stesso vale per molte altre specie caratterizzate da questa distribuzione puntiforme. Questo cosa significa? Significa che abbiamo delle isole nell’isola, e che a questo punto quindi non basta più proteggere in generale il biota neocaledonico, ma ogni singola area che ospita delle specie uniche, e che rischiano di scomparire proprio per avere un range così ristretto. Infatti, oltre alla minaccia incombente del cambiamento climatico, anche ad esempio l’installazione di un’attività mineraria (molto comune nei terreni metallici di Grande Terre, l’isola principale della Nuova Caledonia) in una determinata zona può potenzialmente spazzare via dalla faccia della Terra specie uniche. Questa particolare caratteristica di microendemicità delle specie neocaledoniche in aggiunta, rappresenta un immenso patrimonio, ancora una volta, per lo studio dell’evoluzione e dei meccanismi di speciazione; proprio con queste specie descritte nel recente articolo e con un altro gruppo affine precedentemente studiato infatti, abbiamo messo a punto un altro lavoro che ha come obiettivo lo studio della formazione di questi pattern di microendemicità caratteristici dell’isola. Ma torniamo alla conservazione: immaginiamo di dover studiare l’effetto del cambiamento climatico in differenti gruppi di organismi, sarebbe possibile dedurne le conseguenze e inferire i tassi di estinzione senza conoscere effettivamente quante e quali specie siano presenti nella zona di studio? Infine, per fare un altro esempio, spostiamoci proprio sul gruppo di insetti che studio, i Crisomelidi. Questi sono coleotteri fitofagi, che si nutrono esclusivamente di piante e sono uno dei gruppi con maggiore diversità con circa 40.000 specie descritte (ma come sappiamo, chissà quante ancora da descrivere), sono presenti in tutto il mondo e si possono anche vedere nei nostri giardini: avete mai visto dei coleotteri verdi splendenti con delle striature rosse pascolare sul rosmarino? Quelli sono Chrysolina americana (Linnaeus, 1758) e sono proprio crisomelidi. In questa famiglia esiste un’immensa varietà di forme, colori e stili di vita: ci sono specie generaliste, che si nutrono di più tipi di piante indistintamente, e specialiste, cioè con un range di alimentazione molto ristretto, anche ad un solo tipo di pianta. Vi sono specie adattate a cibarsi di piante velenose o ricche di metalli, specie che possono avere una rilevanza economica perché considerati pesti in agricoltura e così via. E così ogni gruppo di organismo vivente presenta caratteristiche uniche che possono avere o meno una rilevanza in numerosi campi delle attività umane, dall’agricoltura alla ricerca biomedica. C’è ancora bisogno di aggiungere altro sull’importanza di conoscere e descrivere le specie? In realtà si, la ragione più basale, e filosoficamente la più importante di tutte, che travalica ogni motivazione scientifica, conservazionistica e utilitaristica. Il semplice atto della scoperta e della conoscenza, il sapere quante ancora delle infinite forme bellissime e meravigliose di cui parlava Darwin, sono state plasmate dai processi evolutivi e condividono con noi il pianeta Terra. Carlo Linneo, “l’inventore” dell’attuale tassonomia e della sistematica degli organismi viventi, riportò nella sua opera Philosophia Botanica del 1751 una frase emblematica, diventata quasi un credo per i tassonomi di tutto il mondo: Nomina si nescis, perit et cognitio rerum ovvero, “Se non conosci il nome, muore anche l’essenza delle cose”. In quanto esseri umani, apparentemente l’unica specie animale dotata della capacità di porsi delle domande, abbiamo il dovere implicito di conoscere il mondo e l’universo, diventa così fondamentale scoprire e descrivere nuove specie, che siano nel nostro giardino o in isole lontane, allo stesso modo di come è importante scoprire nuove stelle ai confini dell’universo.
A chi sono state dedicate queste nuove specie e perché?
Dare il nome ad una nuova specie è una delle cose più eccitanti del nostro lavoro (dopo la ricerca sul campo ovviamente), e anche una delle poche libertà (seppur con alcune regole da seguire) in un contesto scientifico dove l’unica cosa che conta sono i dati. Quella consapevolezza di battezzare un organismo, e sapere che così sarà chiamato in ogni libro e studio futuro non ha prezzo. Si può nominare una specie per una caratteristica morfologica che la contraddistingue come Taophila bituberculata Platania & Gómez-Zurita 2021, o T. carinata Platania & Gómez-Zurita 2021; per la sua presenza in una determinata area geografica come T. taaluny Platania & Gómez-Zurita 2021 (Taaluny è il nome con cui gli indigeni Kanak chiamano Mont Panié) o per qualche riferimento culturale relativo all’area di provenienza come T. goa Platania & Gómez-Zurita 2021, il cui nome deriva da quello di una tribù presente nella zona di cattura; per qualche collegamento astratto che ti sovviene alla mente durante la descrizione sempre a causa di caratteristiche morfologiche come T. sideralis Platania & Gómez-Zurita 2021, il cui colore blu notte con riflessi violacei e le elitre ricoperte da peli bianchi ci hanno ricordato le immagini delle galassie, o T. draco Platania & Gómez-Zurita 2021, che se osservata al microscopio ha una particolare texture rugosa con incisioni che somigliano a delle scaglie e che ricordano le spire del tradizionale drago cinese. Poi una specie la si può dedicare ad opere, personaggi letterari, persone reali e così via, in realtà si può veramente chiamare come si vuole. L’uso dei patronimici per dedicare una specie o anche un genere ad una persona, è una tra le pratiche più comuni in tassonomia, pertanto è molto facile trovare specie con nomi di persone. In passato si era soliti dedicare le specie ai grandi scienziati, come l’emblematica Wallacea darwini Hill, 1919, un dittero (cioè un insetto appartenente alla famiglia delle mosche e delle zanzare) dedicato agli autori della teoria dell’evoluzione, oppure ad esploratori e naturalisti, come la pianta carnivora Nephentes beccariana Macfarl. (1908), dedicata all’esploratore e botanico fiorentino Odoardo Beccari, autore del celebre libro “Nelle foreste di Borneo”, a cui Salgari si ispirò per i suoi romanzi. La pratica di dedicare specie a personaggi famosi segue tuttora: ad esempio, se andiamo a cercarne alcune descritte recentemente è possibile trovare nomi familiari e che ci possono anche suonare strani, è il caso di Aleiodes shakirae Shimbori & Shaw, 2014, una vespa parassitoide che quando punge l’ospite ne provoca movimenti convulsi e rotatori e che quindi è stato dedicato alla cantante colombiana del Waka-waka, famosa per i suoi movimenti di bacino. Un altro esempio è il coleottero carabide Agra schwarzneggeri Erwin, 2002, chiamato così a causa dei femori particolarmente ingrossati dell’animale che sembrano avere dei bicipiti sviluppati, e così via. Esistono addirittura iniziative dove persone o imprese possono sponsorizzare l’attribuzione del nome di una specie, o comprarlo all’asta, ottenendo quindi il loro nome in cambio di un contributo economico che viene poi utilizzato per continuare l’attività di ricerca, o per azioni di conservazione. Infine, spesso le specie vengono dedicate a familiari, amici o comunque persone che hanno avuto un qualche rilievo nella vita del tassonomo, e questo è senz’altro uno dei casi più comuni. Tra le specie descritte in questo lavoro abbiamo voluto dedicarne alcune a personaggi illustri del nostro paese come Taophila davinicii Platania & Gómez-Zurita 2021 dedicata al genio toscano. Come amante dell’arte nato in provincia di Firenze e per di più descrivendo questa nuova specie nel 2019, durante il cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci (1452-1519), non potevo fare altro che proporre la dedica. Un altro personaggio, sempre toscano a cui abbiamo dedicato una specie è Margherita Hack (1922-2013), “la signora delle stelle”, brillante astrofisica, autrice di numerosi articoli scientifici e divulgativi oltre che attivista in campo sociale. Definita icona del pensiero libero da Umberto Veronesi; e così è nata T. hackae Platania & Gómez-Zurita 2021. C’è poi T. samuelsoni Platania & Gómez-Zurita 2021 dedicata a G. Allan Samuelson, un entomologo che ha lavorato proprio sui crisomelidi del Pacifico e che è stato il primo a fare una revisione del genere Taophila Heller, T. wanati Platania & Gómez-Zurita 2021, dedicata all’entomologo polacco Marek Wanat che ha raccolto la maggior parte degli individui studiati, ed infine ho voluto dedicare una specie ad un amico e mentore, il Dr. Leonardo Dapporto che attualmente lavora all’università di Firenze con T. dapportoi Platania & Gómez-Zurita 2021. Con Leonardo ho iniziato i miei primi lavori sulla sistematica e la biogeografia delle farfalle, inoltre abbiamo lavorato alla conservazione della Zerynthia cassandra Geyer, 1828 all’Isola d’Elba e alla realizzazione del nuovo santuario di S. Piero e tuttora collaboriamo in vari progetti.