Durante una recente sessione fotografica mi è capitato di ritrarre una scena interessante dal punto di vista naturale ed etologico meritevole di una piccola galleria di immagini che viene qui sotto allegata.
Spostandomi in auto da un luogo di ripresa all'altro lungo la viabilità che fiancheggia il golfo di Portoferraio, con la fotocamera e relativo teleobiettivo installato, giunto ormai accanto ai pratoni a ridosso della zona umida delle Prate, con la coda dell'occhio noto qualcosa nel bel mezzo della distesa verde. C'è qualche massa confusa, un movimento, stiamo a vedere penso e così, alla prima piazzola utile, mi fermo sulla destra per osservare meglio la cosa.
In quell'istante la vicenda si movimenta ulteriormente e noto le ampie ali di una poiana impegnate in una stretta virata, circondate dall'agitarsi di altri volatili più scuri. Impugno così “al volo” la fotocamera per cercare di ritrarre la scena con il tele e capisco subito che si tratta di un momento di “mobbing” di un gruppo di cornacchie alle spese di una poiana. La poiana è più grande e munita di artigli e di un becco adunco ben appuntito “da rapace” ma le anche le cornacchie non sono piccole, con un bel becco e soprattutto munite della forza del gruppo. Una di queste addirittura si stacca bene dal suo branco per inseguire la povera poiana che ormai batte in ritirata. La cornacchia gracchia inseguendo il rapace, portandosi in alto, in una posizione dalla quale poter controllare con una picchiata la poiana, cosa che esegue immediatamente: continuo a scattare e in un'immagine risulterà quello che appare un groviglio di ali, anche se gli animali si sfiorano appena. La poiana continua il suo volo verso il bosco più vicino nella zona più a monte, uscendo così dal campo visivo.
Ritratta la sequenza rifletto un attimo sull'accaduto. Mi era già capitato di assistere a scene di mobbing durante le osservazioni dell'avifauna isolana: ogni tanto avevo visto anche audaci gheppi puntare con repentine picchiate rapaci ben più grandi dopo che avevano invaso il loro spazio, oppure presso la zona umida delle Saline avevo assistito all'airone locale che cercava di scacciare un gruppo di suoi simili, probabilmente migratori in sosta per recuperare le energie del viaggio; al Volterraio avevo visto i gracchi corallini assaliti dal locale corvo imperiale che rivendicava il suo territorio e comunque, magari, sbagliando e aggiungendovi una prospettiva antropocentrica, la cosa mi aveva sempre lasciato una nota di amarezza. Pensando a simili comportamenti minacciosi degli uomini, nei quali i bipedi non alati, oltre che alle azioni fisiche riescono ad aggiungere dettagli e connotazioni sociali e culturali, vale a dire aggiungendovi anche l'ingegno, che è proprio quello che dovrebbe farli distinguere dagli animali, la cosa finiva per rendermi triste. In natura però spesso il mobbing è una cosa più spontanea e naturale, legata invece ad esigenze di difesa spesso anche di specie di dimensioni minori nei confronti di predatori. Il termine riferito agli animali sarebbe stato coniato dal celebre etologo Konrad Lorenz, mentre la trasposizione alla società umana con particolare riferimento alla spregevole attività di minacce o comunicazione ostile legata al mondo del lavoro è dovuta allo psicologo svedese Heinz Leymann.
Antonello Marchese
Guida ambientale e guida ufficiale del Parco Nazionale Arcipelago Toscano. Fotografo di Natura. Promotore dell’azione Elba Foto Natura, nell’ambito dei progetti della Carta Europea per il Turismo Sostenibile
Il “mobbing”
Il comportamento documentato da Antonello Marchese è il più classico dei casi di “mobbing”, una scena di campagna consueta ma non per questo meno ricca di aspetti interessanti e di possibili spunti di approfondimento.
Di “mobbing” ormai si parla quasi solo in termini di problematiche in ambito lavorativo ma, in realtà, il termine ha origini meno inquietanti, almeno per noi esseri umani.
È il comportamento posto in essere da una specie “preda” nei confronti di un potenziale predatore che viene fatto oggetto di ripetuti e rumorosi attacchi simulati la cui finalità è quella di disturbarlo fino a farlo allontanare. I corvidi sono assoluti maestri di questo comportamento che mettono in atto specialmente nei confronti dei rapaci. Quanto più essi sono potenzialmente pericolosi quanto più intenso e rumoroso sarà l’attacco, spesso compiuto in gruppo. Non solo i corvidi, però, usano il mobbing per difendersi e difendere le colonie. I gabbiani reali ne fanno ampio uso (e chi si azzarda a passare nei pressi di una colonia lo impara in fretta, uomini compresi) ma come loro molti altri uccelli più o meno gregari.
L’uomo conosce questo fenomeno dalla notte dei tempi e ha in fretta imparato a sfruttarlo a proprio favore, utilizzando i rapaci notturni come “zimbelli” in diverse forme di caccia; in particolare quella diretta ai piccoli passeriformi. Pratica, adesso, assolutamente proibita.
Le cornacchie, in particolare, come quasi tutti i corvidi, fanno frequentemente uso di questa difesa attiva, indirizzandola in particolar modo verso i rapaci sia notturni che diurni, come nel caso della malcapitata poiana. L’origine di questa grande reattività verso i rapaci sta, forse, nel fatto che uno dei pericoli più tremendi che incombe sulla testa delle cornacchie è l’Astore (Accipiter gentilis), un rapace delle dimensioni paragonabili a quelle di una Poiana che caccia all’agguato, apparendo dal nulla, dalle chiome del bosco o da dietro una siepe, per ghermire proprio i corvidi, che sono tra le sue prede preferite. Quel che rende terrificante, per una cornacchia, la presenza dell’astore è che è “invisibile” (gli americani lo chiamano “il fantasma grigio”)! Sbuca all’improvviso e ti pianta gli otto pugnali dei suoi artigli nei punti vitali. Spesso i suoi attacchi avvengono al tramonto, o all’alba, quando le prede sono sonnacchiose e infreddolite. Un vero incubo. Ma senza effetto sorpresa l’astore è quasi innocuo, infatti quando viene “sgamato”, cornacchie, ghiandaie e gazze si scatenano come non mai e a lui non resta che rifugiarsi nel suo regno, il bosco. Ed è bello e buffo vedere come, una volta che l’Astore è sparito tra le chiome, tutti i partecipanti alla chiassosa performance si zittiscono e si allontanano frettolosamente. Il bosco, adesso, li sta guardando…
L’Astore all’Elba è accidentale, ne ho visto solo uno, anni fa, un giovane in erratismo, ma gli effetti e le cautele di questa atavica paura ormai sono “stampati” nel DNA dei corvidi e codificano il comportamento rivolto anche verso ben più innocui rapaci. In Natura la paura non è un fenomeno bloccante, non induce a isolarsi, a chiudersi e arrendersi al destino. La paura è un prezioso alleato che ti fa essere sempre vigile e, all’occorrenza ti fa trovare il coraggio di affrontare un nemico più grosso di te, poco importa se non è il terribile Astore ma “solo” una Poiana!
Giorgio Paesani
Ornitologo