In fondo a una strada di vigne abbandonate, conquistate da lecci e da scope arsi da un’estate che non vuole finire, c’è ancora una traccia umida di un fosso dove è scomparsa una grande pianta di Osmunda regalis, un’antica felce che mangiavano i dinosauri, poi una valanga di massi rotolati e di scogli cedevoli modellati dai morsi pazienti del mare e si apre una piccola insenatura scabrosa. Di fronte, in un mare bianco e quasi immobile che risuona tra i sassi, le Formiche della Zanca e una boa rossa e bianca illuminata da un raggio di sole. Più lontana, quasi azzurra, Capraia con di fronte un traghetto che viene da chissà dove e va chissà dove. Più in là, dietro la punta di pietra marrone squagliata, spunta come un’ombra da nuvole scure la Corsica.
Da quel mare verde, azzurro, trasparente dove si specchia un velo di nuvole grigie, compare dal nulla, senza un rumore, senza muovere l’acqua, il collo serpentino e il becco a punta di un piccolo marangone dal ciuffo, il marvone. Non ci vede o non si cura di noi. Si immerge, scompare nel mare immobile. Torna su dopo molto, come un’apparizione. Guarda dritto verso la Corsica e poi mette la testa sott’acqua per perlustrare il fondo, si immerge con un movimento rapido, come fosse acqua nel mare. Poi il piccolo palombaro ricompare più avanti. Respira, resta fermo nel mare fermo, quasi nero tra l’azzurro e il grigio di una luce radente.
Poi si rituffa, quasi sulla punta marrone, verso Patresi che non vediamo.
Non c’è più, ma rimane come un’ombra di bellezza nella meraviglia.
Umberto Mazzantini