“Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare”. Con queste parole si conclude un celeberrimo testo: un sermone di Martin Niemöller, un pastore protestante tedesco. (E non di una poesia di Bertold Brecht, come molti credono). A ogni passaggio del sermone, per ogni arresto operato dai nazisti, chi lo pronuncia trova un alibi per giustificare l'azione. Fino alla sconsolante conclusione.
Riportando il discorso sul genocidio culturale elbano, e i danni che ha prodotto sul territorio dell'isola, sarebbe facile cadere nella stessa logica degli alibi. Ma si eviterebbero le vere responsabilità. Potrebbe essere utile alle nostre coscienze dire che il dissesto idrogeologico è frutto di scelte del passato. Ma non elude la domanda: e adesso come ci mettiamo una pezza? Potrebbe essere facile dire che la colpa è della politica. Ma di chi è figlia quella politica, se non delle scelte di tutta la società. Oppure dare la colpa all'abusivismo edilizio. No, signori, altro grosso alibi: è colpa anche di un'edilizia cosiddetta regolare. Oppure scaricare la colpa ai soli speculatori. Responsabili di grosse colate di cemento, certo, ma non del 100%, né dell'80%, e nemmeno del 60% dei volumi edilizi: il grosso delle costruzioni non sono sorte per far guadagnare palazzinari, ma dalla piccola iniziativa privata.
L'esplosione edilizia, la cattiva gestione di un territorio fragile, il consumo del suolo, eccetera, sono i capi d'accusa di una corte marziale, e di un plotone d'esecuzione, implacabili: la natura dell'isola. E siamo tutti sotto accusa, chi più chi meno. Che non significa tutti colpevoli nessun colpevole. Altro alibi tossico. Ci sono colpevoli e colpevoli. E adesso faremo le debite distinzioni. Partendo dal primo capo d'accusa: l'abusivismo edilizio.
Mi dicevano che in passato qualcuno giustificava le costruzioni illegali con la formula stantia dell'abusivismo di necessità. Onestamente non ho memoria diretta di questa giustificazione. Ma anche analizzandola in sede storica mostra tutta la sua fallacia. Può darsi che nell'immediato dopoguerra qualcuno fosse costretto a non andare troppo per il sottile per tirarsi su un tetto per sé e la propria famiglia. Ma già negli anni '50 l'abusivismo è stato funzionale solo ed esclusivamente a un rapace profitto turistico, da una parte, e speculativo, dall'altra. E un altro alibi tossico, questo sì di cui sono testimone diretto, è quello del teorema “tutti colpevoli nessun colpevole”, che in un comune come Capoliveri è diventato quasi un mantra: “tutti hanno costruito abusivamente, e allora vorresti condannarci tutti, anche chi è morto?”. Ma l'alibi cade subito, perché non tutti hanno costruito abusivamente. E in alcuni comuni elbani, in cui l'abusivismo ha inciso infinitamente meno, il turismo ha arricchito quelle società al pari della capoliverese. Ma queste verità storiche sono troppo esplosive in una narrazione autoassolutoria.
Il diffuso senso di illegalità legato all'edilizia, e fattosi consuetudine a Capoliveri, si incancrenisce inoltre con l'assoluto disinteresse che spesso riguarda l'attività di controllo. Un'omissione a totale colpa delle istituzioni. Mi dicevano: “A Capoliveri le amministrazioni degli anni '70 e '80, e anche i primi '90 rilasciavano licenze edilizie come la rena. Ma va riconosciuto ai sindaci di allora, come Vinicio [della Lucia, sindaco negli anni '80], che ci ordinavano di controllare bene il territorio. E noi giravamo dappertutto. E di verbali li facevamo dappertutto. Sai quanti abusi, trovavamo? Pensa che andavamo fino a Fonza, a controllare. Perché il comune di Capoliveri arriva quasi alle case di Marina di Campo. Cioè, si partiva da Capoliveri, facevamo venti chilometri fino a Campo, e altri chilometri di strada sterrata, e anche brutta, a tratti. Però ci andavamo. E un paio di verbali di abusivismo, anche laggiù, li abbiamo fatti. Negli ultimi trent'anni li hai più visti, i controlli? Hanno scoperto una strada abusiva al Mulino, sulla provinciale! impossibile non vederla! E sai chi l'ha sanzionata? I forestali di Portoferraio! E perché, secondo te? Perché i comuni non controllano più nulla, manco quello che c'hanno davanti al naso!”
Come se non bastasse chi non si fa scrupoli a costruire abusivamente ancor meno se ne fa ad affittare in nero. Una giustificazione, anche questa di cui sono testimone diretto, è quella di una quota di nero necessaria per sopportare un carico fiscale eccessivo. Un altro alibi tossico. Quello di sminuire l'illegalità addebitando la responsabilità a una superstruttura (per quanto in effetti malamente gestita) è un'altra autoassoluzione. Chi evade le tasse sa benissimo di farlo in una logica egoistica, non certo ammantata di idealità e men che meno di sopravvivenza. Chi davvero si è trovato a far fronte a situazioni debitorie o di pesante crisi finanziaria, ha perso tutto (talvolta anche la vita). Non certo come chi si lamenta del carico fiscale, evade, continua da decenni a gestire la sua attività e, non di rado, continua a sguazzare nei lussi borghesi.
Chiarito tutto questo, va adesso spostata l'ottica per inquadrare meglio il problema edilizio. Perché dare escluvisamente la colpa all'abusivismo è un'altra pericolosa semplificazione, un'autoassoluzione di comodo. È confortevole pensare che i danni ambientali vengano dai “soliti cattivi”. In questo modo ci puliamo la coscienza, scagliando un facile anatema. L'altra faccia del problema è quello delle politiche che favoriscono un'edilizia legale. Quindi c'è una pesantissima responsabilità da parte degli amministratori. Che in molti casi gestiscono il territorio in maniera fallimentare. O peggio.
Anni fa un magistrato della procura di Livorno, intervistato in merito a un eclatante caso di abusi edilizi, disse: “All'Elba il rispetto della legalità è un optional, una situazione nella quale gli elbani vivono e sguazzano”. Come al solito ci fu l'irritante divisione in tifoserie: quelli che si scagliavano contro chi offendeva le pubbliche virtù isolane, e quelli che lodavano a prescindere chi diceva pane al pane e vino al vino. Ma al di là della frase (in sé sbagliata, perché semplificante, e quindi qualunquista), nessuno fece una riflessione seria sulla questione che il caso pone ancora oggi: in cosa consiste il rapporto tra la politica elbana e le spinte affaristiche edilizie. Non tanto per la loro rilevanza giudiziaria (anche se in alcuni casi esiste), ma ancor più per il legame del tutto legale.
Perché dobbiamo dircelo con franchezza: troppo spesso le politiche edilizie comunali sono incardinate agli interessi privati. Siano essi di natura elettorale, o di commistione diretta tra amministratori e attività lavorative legate alla stessa edilizia, o di tipo clientelare o di conflitto di interessi. O di altra natura, come se quelle citate non fossero già d'avanzo. In maniera del tutto lecita, ma con responsabilità di consumo del suolo, dissesto idrogeologico e stupri ambientali forse peggiori di quelli cagionati dall'edilizia illegale.
Andrea Galassi