1. La legge salvamare del 2022
Questo è veramente uno strano Paese. Un anno facon 198 voti favorevoli, nessun contrario e 17 astenuti, veniva finalmente approvata, dopo quattro anni dalla sua presentazione, su fortissimo impulsodell’associazione «Marevivo», la c.d. «legge salvamare» (l. 17 maggio 2022, n. 60), invocata come la panacea per salvare i nostri mari dai rifiuti, specie di plastica. Problema gravissimo se solo si pensa che, secondo un rapporto del WWF, ogni anno finiscono nel Mediterraneo 229 mila tonnellate di plastiche, l’equivalente del contenuto di 500 container cui contribuiscono notevolmente le attività in mare, come pesca, agricoltura e navigazione, che disperdono nasse, reti e cassette per il trasporto del pesce.
Eppure oggi di questa legge non si parla più e i suoi precetti sono totalmente inattuati. Che è successo?
Andiamo con ordine: la legge è composta da 16 articoli eterogenei che riguardano: a) la gestione dei rifiuti pescati accidentalmente nelle acque (dalle reti durante la pesca e occasionalmente con qualunque altro mezzo) o volontariamente raccolti anche tramite apposite campagne di pulizia; b) norme in materia di gestione delle biomasse vegetali spiaggiate; c) misure sperimentali per la cattura dei rifiuti galleggianti nei fiumi; d) campagne di sensibilizzazione per la salvaguardia del mare; e) educazione ambientale nelle scuole per la salvaguardia dell’ambiente; f) un riconoscimento ambientale per imprenditori ittici «virtuosi»; g) criteri generali per la disciplina degli impianti di desalinizzazione; h) previsione di un decreto governativo per disciplinare acquacultura e piscicoltura; i) istituzione di un tavolo interministeriale di consultazione permanente per il contrasto all’inquinamento marino e il monitoraggio della situazione.
Rinviando ad altri lavori per un approfondimento1, diciamo subito che, in realtà, si tratta in gran parte di buoni propositi, spesso molto generici, la cui attuazione è totalmente rimessa a futuri atti e decreti, sempre che non «ne derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Ma su questo torneremo.
Il punto più pubblicizzato ed importante riguarda i tanti rifiuti «pescati» in mare accidentalmente dalle reti dei pescherecci, che venivano ributtati in mare in quanto ritenuti, anche dal Ministero dell’ambiente, rifiuti speciali che possono essere gestiti solo previa apposita autorizzazione. Trattasi – è bene dirlo subito – di convinzione, a nostro sommesso avviso, del tutto errata in quanto l’art. 178, d.lgs. n. 152/06 (TUA) considera urbani tutti i rifiuti «di qualunque natura o provenienza», giacenti in aree pubbliche, spiagge ecc., al fine di fornire immediata e particolare tutela dall’inquinamento da rifiuti alle zone di territorio pubbliche o, comunque, destinate ad uso pubblico; stabilendo che essi sono, comunque, di competenza dei Comuni (art. 198, comma 1, TUA), e, in particolare, del sindaco il quale, ai sensi dell’art. 192, comma 3 è obbligato a gestire questi rifiuti illecitamente depositati in aree pubbliche, garantendo il loro smaltimento-recupero secondo legge anche quando siano ignoti gli autori dell’abbandono. E lo stesso dicasi quanto al presunto obbligo di autorizzazione per la raccolta e trasporto di questi rifiuti che, come più volte evidenziato dalla Cassazione2, riguarda solo le attività volute e non rifiuti raccolti solo involontariamente ed accidentalmente3.
In ogni caso, la legge salvamare, riprendendo peraltro, anche quanto stabilito nel frattempo dal d.lgs. 8 novembre 2021, n. 197 (Recepimento della direttiva (UE) 2019/883, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi), elimina ogni dubbio qualificando questi rifiuti come «urbani» e parificandoli a quelli prodotti dalle navi, con l’obbligo di conferimento agli impianti portuali di raccolta, ma soprattutto, con la individuazione dei sindaci come responsabili per garantire il loro smaltimento a terra.
Ma ovviamente non basta dirlo. Infatti, se si vuole ottenere che i pescatori portino a terra i rifiuti accidentalmente «pescati» dalle loro reti, appare evidente che bisogna emanare regole semplici, evitando, quindi, al massimo ogni appesantimento burocratico ed agevolando la immediata ricezione dei rifiuti stessi; prevedendo, nel contempo, incentivi adeguati, specie finanziari o sgravi fiscali. Esattamente quello che non fa la legge salvamare quando, con il comma 9 dell’art. 2, stabilisce che «con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro della transizione ecologica, da adottare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate misure premiali, ad esclusione di provvidenze economiche, nei confronti del comandante del peschereccio soggetto al rispetto degli obblighi di conferimento disposti dal presente articolo, che non pregiudichino la tutela dell’ecosistema marino e il rispetto delle norme sulla sicurezza»; disposizione del tutto generica dove l’unica cosa certa è la esclusione di provvidenze economiche, in una legge che, peraltro, vieta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (art. 16)4.
In ogni caso, a distanza di un anno, nessun decreto del genere è stato emesso; anzi, mancano tutti i decreti attuativi necessari per far funzionare la legge.
2. I provvedimenti di attuazione previsti e inevasi
Più in particolare, ecco l’elenco dei principali provvedimenti di attuazione previsti (e non attuati) dalla legge salvamare:
- l’ARERA (Autorità per energia, reti e ambiente) deve stabilire i criteri per la copertura dei costi di gestione dei rifiuti accidentalmente pescati (art. 2);
- il MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) deve stabilire le misure premiali in favore dei pescatori che recuperino rifiuti dal mare (art. 2: termine 25 ottobre 2022);
- il MITE (Ministero dell’ambiente) deve stabilire con apposito decreto le modalità per effettuare apposite campagne di pulizia (art. 3: termine attuazione decreto 25 dicembre 2022);
- sempre il MITE deve stabilire criteri e modalità per i quali le plastiche e i rifiuti accidentalmente pescati o recuperati in mare e nei fiumi cessano di essere qualificati come rifiuti per essere riciclati, recuperati o riutilizzati (art. 4: termine attuazione decreto 25 dicembre 2022);
- le Regioni individuano criteri e modalità per la raccolta, la gestione e il riutilizzo delle biomasse spiaggiate, sulla base delle norme tecniche dell’ISPRA e del SNPA (art. 5);
- il MITE deve stimolare e indirizzare le Autorità di Bacino perché promuovano per i fiumi misure sperimentali per la cattura dei rifiuti galleggianti; a tal fine la legge affida due milioni di euro l’anno al MITE per avviare un programma sperimentale triennale di recupero delle plastiche nei fiumi maggiormente interessati da tale forma di inquinamento, anche mediante la messa in opera di strumenti galleggianti (art. 6: termine attuazione 25 settembre 2022);
- di nuovo il MITE, con il MIMS (Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili) deve approvare le linee guida per le immersioni subacquee aventi finalità di tutela ambientale (art. 7: termine per decreto 25 settembre 2022);
- il Ministero dell’istruzione deve promuovere attività nelle scuole sull’importanza del mare e dei fiumi, nonché della corretta gestione dei rifiuti (art. 8);
- il MITE, assieme al MIPAAF deve prevedere un riconoscimento ambientale in favore dei pescatori meritevoli nel recupero dei rifiuti dal mare (art. 11: termine per decreto 25 giugno 2022);
- ancora il MITE deve definire presto le misure da adottarsi per le valutazioni d’impatto ambientale da effettuarsi sui desalinizzatori (art. 12: termine attuazione decreto 25 dicembre 2022);
- sempre il MITE, ha l’obbligo di regolare le attività di acquacoltura e piscicoltura (art. 13: termine attuazione decreto 25 dicembre 2022).
In conclusione, quindi, l’unico adempimento rispettato è stato quello di istituire presso il MITE un Tavolo interministeriale (art. 14) con il compito di coordinare l’azione di contrasto dell’inquinamento marino, anche dovuto alle plastiche, di ottimizzare l’azione dei pescatori per le finalità della legge e di monitorare il recupero dei rifiuti secondo quanto disposto dalla stessa legge. Tavolo che, in realtà, non può adempiere a questi compiti finché non si fornisce attuazione alla salvamare.
3. Considerazioni conclusive
Il caso Civitavecchia. Insomma, siamo ancora al punto di partenza. Anche perché l’unico chiarimento immediatamente operativo circa la qualifica e la gestione dei rifiuti accidentalmente pescati era, come abbiamo evidenziato, del tutto superfluo, tanto più che, nelle more dell’approvazione della legge, il richiamato d.lgs. 8 novembre 2021, n. 197 sugli impianti portuali di raccolta aveva comunque già risolto legislativamente la questione.
Insomma, è ormai chiaro a tutti che, per legge, i rifiuti accidentalmente «pescati» devono essere portati a terra e conferiti agli impianti portuali di raccolta. Ma la mancanza di copertura finanziaria e l’assenza dei decreti di attuazione comportano che, se questo avviene, il merito non è della legge ma di intese locali e della buona volontà dei pescatori.
A questo proposito negli ultimi anni si sono, fortunatamente, registrate diverse iniziative di raccolta e riciclo della plastica che, grazie a protocolli d’intesa locali, hanno coinvolto anche associazioni e cittadini, come Fishing for litter della Regione Lazio e Corepla, dove nel 2021 i pescherecci laziali hanno recuperato 25 mila chili di plastica in mare. Iniziative analoghe sono state realizzate in Abruzzo, Toscana, Marche, e molte altre località.
E, in questo quadro, vale la pena, infine, di ricordare che a Civitavecchia sin dal 13 ottobre 2020 risulta sottoscritto (ed è oggi inserito nel piano portuale) un protocollo di intesa (Autorità portuale, Comune, Capitaneria di Porto, Conad Nord Ovest, Fondazione EcoAlf, Servizi Ecologici Portuali s.r.l. e Cooperativa Pescatori di Civitavecchia) sulla gestione dei rifiuti accidentalmente pescati raccolti in reti durante le operazioni di pesca dai pescherecci, che prevede, in sintesi, le seguenti modalità principali di gestione:
a) I pescatori confezionano i rifiuti raccolti in mare durante le attività di pesca in buste di plastica e, una volta rientrati in porto, le lasciano sul ciglio banchina.
b) Il personale della S.E.Port. provvede al ritiro delle buste tramite mezzo tipo porter, tutti i giorni, esclusi i festivi ed il periodo di «fermo biologico», ovvero il periodo in cui è vietata la pesca. Il ritiro avviene dopo il rientro dei pescherecci in porto, orientativamente all’orario di apertura dell’asta del pesce.
c) I rifiuti raccolti vengono conferiti presso l’impianto S.E.Port., dove vengono sottoposti ad operazioni di cernita per il recupero della plastica. La S.E.Port. garantisce la tracciabilità dei rifiuti raccolti dai pescherecci che vengono contabilizzati e gestiti separatamente rispetto ai rifiuti di altra provenienza.
d) Per l’esecuzione delle attività di ritiro, trasporto all’impianto portuale e cernita viene applicata la tariffa approvata per i rifiuti indifferenziati raccolti con automezzi tipo daily (CER 20 03 01: 350,74 €/ton); a copertura dei costi relativi; all’organizzazione del servizio di raccolta quotidiano deve essere garantita una tariffa minima di 100,00 €/giorno.
e) È fatto divieto ai pescatori inserire nelle buste altre tipologie di rifiuti rispetto ai rifiuti urbani indifferenziati. Nel caso in cui vengano rinvenuti rifiuti speciali, i relativi costi di gestione saranno computati in funzione delle tipologie e quantità rinvenute ed addebitati a Conad Nord Ovest e a Fondazione EcoAlf.
f) I costi del servizio saranno a carico di Conad Nord Ovest (50 per cento) ed EcoAlf (50 per cento). Inoltre, Fondazione EcoAlf trasformerà la plastica in «rifiuti di pesca passiva» in filati, coprendo tutti i costi residui del servizio dedicato ai «rifiuti di pesca passiva».
Procedura che ha portato, nel 2022 alla raccolta di 9.275 kg. di rifiuti accidentalmente pescati. E nel primo trimestre del 2023 a 2.225 kg.
Purtroppo, però, non è merito della ancora non attuata legge salvamare.
1 Cfr., anche per richiami e citazioni, il nostro Primi appunti su una legge che salva poco il mare, in www.unaltroambiente.it , 8 giugno 2022 e in www.lexambiente.it , 21 giugno 2022.
2 Cfr. per tutti Cass. Sez. III Pen. 28 marzo-16 maggio 2017, n. 24115, Rinella, in www.lexambiente.it, 6 giugno 2017, la quale evidenzia che il «tenore della fattispecie penale, punendo la “attività” di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione, concentra il disvalore d’azione su un complesso di azioni, che, dunque, non può coincidere con la condotta assolutamente occasionale». Amplius, anche per richiami e precedenti, cfr. il nostro Primi appunti …, cit.
3 Anzi, a nostro sommesso avviso, il trasporto a terra di rifiuti accidentalmente «pescati» è addirittura un dovere. Se, infatti, si considera che l’art. 192, comma 2, del TUA vieta «l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee», appare evidente che il pescatore non può riimmettere lecitamente in mare i rifiuti da lui accidentalmente pescati (anche se da lui non prodotti); e non ha altra alternativa «lecita» se non quella di trasportarli a terra per il loro smaltimento o recupero secondo legge.
4 Né ci sembra che possa rimediare l’ineffabile art. 11, comma 1, secondo cui in questi casi ai pescatori virtuosi può essere attribuito un «riconoscimento ambientale attestante l’impegno per il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità dell’attività di pesca da essi svolta».
Gianfranco Amendola
pubblicato su osservatorioagromafie.it
Si ringraziano Autore ed Editore