Non è raro imbattersi in una ragnatela, basta ad esempio camminare lungo un sentiero, meglio se abbellito dai cisti tutto intorno, per rimanere ammirati dalla sua bellezza, che deriva sia dalla conformazione regolare che il ragno riesce a darle, sia dalle evidenti doti di robustezza ed elasticità che la struttura possiede. Non patisce vento, pioggia, intemperie. Anzi, il suo compito principale è quello di catturare prede che di solito la impattano ad alta velocità, senza tuttavia lacerarla.
Riesce a resistere perché la sua “forza di rottura”, ovvero la forza necessaria per far si che le tensioni interne del materiale lo rendano inservibile, è dello stesso ordine di grandezza di quella dell’acciaio, sebbene la sua densità sia molte volte inferiore. Per questo la tela del ragno ha, da tempi remoti, suscitato particolare interesse scientifico e per questo da molti anni si tenta di replicarla artificialmente.
Addentrandosi nella Biochimica e nella Fisica di questa fibra, si imparano un sacco di cose ma soprattutto si evince quanto il ragno sia evoluto e quanto complesso sia il meccanismo che all’interno del suo corpo forma strutture così prestanti. L’uomo ad oggi non è ancora riuscito a replicare l’opera del ragno. Ragno 1, uomo 0, palla al centro.
Il ragno produce fibre di seta per la ragnatela e una dedicata ad usi speciali, ad esempio quando serve un ancoraggio particolarmente robusto (la classica “cima in più” di ormeggio) oppure quando il ragno deve calarsi verso il basso (Figura 1). Questa fibra viene detta “dragline” e possiede le più avanzate caratteristiche meccaniche fra tutti i tipi di fibra che il ragno è in grado di produrre. Gli scienziati si sono pertanto concentrati su di essa, tentando di replicarla in laboratorio.
Figura 1. Questo ragno si è calato sui petali di un fiore grazie alla robusta dragline che è stata prodotta durante il moto di avvicinamento alla sua destinazione finale.
La dragline è un biopolimero, ovvero (come ogni polimero) è una struttura composta da repliche di identici “mattoncini” (i monomeri), nel caso specifico proteine prodotte all’interno del ragno dette “spidroine” derivando questo nome dall’inglese “spider” che traduce “ragno” (Spiderman ce lo ricorda).
Le spidroine sono replicabili piuttosto semplicemente, il che accese forti speranze che da esse a realizzare le fibre il passo fosse facile. E invece ancora oggi rimane una questione irrisolta.
Studi sulla conformazione intima delle dragline hanno subito fatto luce sul perché: le loro proprietà eccezionali derivano da una sottostruttura gerarchica delle proteine molto articolata e complessa.
Si è quindi scoperto con gran sorpresa che durante la formazione delle fibre il ragno mette in atto sofisticati meccanismi orchestrati da continui mutamenti conformazionali dei domini di spidroina. Il tutto combinato con precise forze fisiche generate nel posto e al momento giusto all’interno dei condotti interni, la cui geometria è pure fondamentale affinché i monomeri vengano a trovarsi alla distanza giusta per formare legami covalenti.
In altre parole, i ragni creano le fibre di seta grazie alla concomitanza di molti e diversi fattori, che creano un equilibrio sensazionale fra tempo, biochimica, fisica e geometria: gli spidroidi (proteine in fase liquida) iniziano a fluire nei dotti del ragno, esperendo cambiamenti strutturali significativi dovuti a gradienti di pH e di scambio ionico e rotazioni/shift geometrici che creano forze di taglio ed elongazione. Questo scenario già di per sé molto complesso è reso ancor più critico da fenomeni di deidratazione e simili, che avvengono nei ristrettissimi spazi dei dotti opportunamente piegati e ristretti fino alla fuoriuscita della fibra. Chi l’avrebbe mai detto che un piccolo ragno possedesse una simile complessità e un così sofisticato meccanismo per produrre la sua tela.
Recenti studi sull’argomento hanno permesso di fare importanti passi in avanti verso la replica in laboratorio della seta del ragno. L’interesse industriale sull’argomento è enorme, per produrre fibre innovative dalle qualità tecniche finora impossibili da ottenere con le tecnologie a disposizione. Per questo il Giappone ha finanziato un progetto che vede uniti il Centro di Ricerca RIKEN di Wako, vicino a Tokyo, e Spiber Inc., un’azienda di Yamagata che produce polimeri partendo da biomolecole, anziché da composti chimici derivati da combustibili fossili come invece fanno quasi tutte le altre aziende del settore (1).
Il primo passo di questa joint-venture è stato lo studio della struttura e delle proprietà fisiche di oltre 1000 specie di ragni nel mondo. Attraverso un lavoro meticoloso, hanno estratto e analizzato lo RNA (2) per determinare le sequenze di amminoacidi che compongono le proteine delle dragline. Ne è nato un database formidabile reso disponibile alla comunità scientifica (3) che elenca in modo ordinato tutte le proprietà delle fibre, come visibile in figura 2.
Figura 2. Tabella delle proprietà meccaniche delle dragline, che permette una semplice comparazione fra le oltre 1000 specie di ragni studiate.
Il secondo passo è stato l’individuazione di quelle spidroine dalle quali derivano le eccezionali proprietà della dragline. Inizialmente si riteneva che due sole spidroine, la MaSp1 e la MaSp2, giocassero un ruolo primario in questo, ma studi di genomica più accurati hanno permesso di rilevare almeno altre tre spidroine (le MaSp3, 4 e 5) nonché altri particolari elementi costitutivi, come ad esempio glicoproteine e lipidi, denominati SpiCE.
Tuttavia la pur importante individuazione delle spidroine è solo il primo passo verso la riproduzione in laboratorio della seta del ragno: come si è detto, questi ingredienti vengono elaborati all’interno dell’animale con maestria e precisione, garantendo che al momento opportuno le parti necessarie vengano in contatto alla distanza giusta, per il tempo necessario (né di meno, né di più), con i gradienti di acidità corretti (pH) e la giusta forza. Riprodurre questo così intricato insieme di condizioni fisico-biochimiche è ancora oggi una sfida aperta.
Al RIKEN sono però riusciti a fare un primo passo in questa direzione (4), realizzando una celletta microfluidica che approssima i gradienti chimici e fisici dei dotti del ragno, visibile in figura 3:
Figura 3. Schema e prototipo in plexiglass della cella microfluidica che imita ciò che avviene all’interno del ragno durante la produzione delle fibre di seta.
Dai tre ingressi vengono immessi gli ingredienti per la ricetta della seta, rispettivamente una soluzione contenente spidroine nell’ingresso ① , ioni a pH neutro nel ② e un trigger di fibrinazione nel ③. L’architettura della cella forma due regioni di mescolamento distinte A e B, seguite da un canale esteso C che termina all’uscita. La cella è in depressione per far fuoriuscire il prodotto.
Dapprima le spidroine vengono esposte a una soluzione ionica a pH neutro simile a quella rinvenuta nei dotti del ragno, formando piccole gocce (droplets) che proseguono lungo il flusso laminare nella zona A. Alla fine di questa zona le goccioline agglomerate entrano in contatto con la soluzione trigger, che come si vede in figura 3 proviene da due lati opposti in modo da creare un gradiente di pH che emula il processo di acidificazione che avviene in natura e che comincia a condensare gli agglomerati di spidroine in reti fibrose più compatte. Il canale C, infine, ha diametri finemente studiati e posizionati per emulare il complesso dotto di uscita del ragno, in cui la deformazione meccanica del composto fin qui formato induce l’assemblaggio finale grazie alle particolari variazioni di pressione presenti lungo il canale. La figura 4 mostra cosa avviene nella cella a flusso in due stadi successivi del processo.
Figura 4. Immagini al microscopio elettronico della soluzione in due fasi sequenziali di processo. Il alto a sinistra le gocce di spidroine (droplets) ottenute nella primissima fase con pH neutro, in basso a destra la struttura dopo il gradiente di pH. In entrambe la barra di riferimento corrisponde a un segmento di 5 μm.
In conclusione, questi studi che mirano a replicare in laboratorio le fibre di seta delle dragline hanno riscontrato difficoltà enormi. All’inizio, l’aver scovato gli ingredienti necessari per il prodotto finale aveva suscitato grande entusiasmo e una quasi certezza nel risultato. Ben presto, però, si è capito che nel ragno quegli ingredienti vengono trattati e combinati con meccanismi talmente sofisticati e precisi, che il replicare ciò che avviene in un minuscolo animale, figlio della Natura e di milioni di anni di evoluzione, sarebbe stato un compito davvero arduo. Ancora oggi la sfida è aperta e siamo ben lontani dal raggiungere ciò che il maestro ragno riesce a fare.
Marco Sartore
(1) Creating novel fibres from synthetic spider silk, Nature, 631, 8020, July 11, 2024
(2) lo RNA o Acido Ribonucleico è (al pari del DNA) fondamentale per gli organismi, in quanto possiede la codifica per la sintesi delle proteine.
(3) URL del Database dei tipi di seta: https://spider-silkome.org
(4) Replicating shear-mediated self-assembly of spider silk through microfluidics, Chen et al, Nature Communications, (2024)15:527.