I telefoni cellulari che gran parte della popolazione mondiale oggi possiede sono strumenti così sofisticati che il motivo per cui sono nati (il conversare a voce) è ormai caduto in secondo piano o ancora più giù. Basti pensare che dalla Generazione X in su è normale dire liberamente “ho sentito la mia amica e le ho detto che…” senza che una singola parola sia stata pronunciata, bensì sfruttando uno dei tanti metodi di comunicazione testuale.
Tra le peculiarità degli smartphone c’è anche quella di inviare dati ai centri di raccolta informazioni, come ad esempio quelli delle compagnie telefoniche. Questa caratteristica è la più controversa e preoccupante, la gente si sente spiata e frequenti sono i casi in cui si esplode in discorsi come: “Questa dannata macchina ci sta ascoltando, abbiamo parlato di tappeti ed ecco mi è apparsa subito una pubblicità di tappeti”. L’aspetto della “privacy” è subdolamente controverso e, come ho già avuto modo di scrivere su queste pagine, quando ci viene detto che l’interlocutore tiene particolarmente alla nostra e ci chiede di esprimere un consenso che bene o male è obbligatorio, pena il non aver accesso alle informazioni che si stavano cercando, in realtà sta iniziando a carpire nostri dati e nel migliore dei casi a foraggiare gli enormi database utilizzati dagli algoritmi di AI (Artificial Intelligence).
Ma oltre a questo uso prettamente commerciale, esiste anche un utilizzo “buono” dei dati trasmessi dagli smartphone ai centri di raccolta dati: l’uso scientifico delle informazioni. È stato recentemente pubblicato un articolo [1] che tratta questo tipo di utilizzo e mostra i benefici tecnologici derivanti dal poter contare su una copertura capillare del pianeta. L’articolo parla della Ionosfera e della sua mappatura.
La Ionosfera è uno strato della nostra Atmosfera compreso fra 60 e 1000 km dalla superficie terrestre, molto rarefatto e con una caratteristica peculiare da cui prende il nome: gli atomi e le molecole che lo compongono possono venire ‘ionizzate’ , ovvero possono perdere o acquisire elettroni (che si ricorda sono carichi negativamente) abbandonando così il loro stato di neutralità ed iniziando a mostrare una carica elettrica netta, positiva o negativa a seconda rispettivamente che abbiamo ceduto o acquisito un elettrone:
Figura 1. Ionizzazione di un atomo: l’energia luminosa di un fotone scalza uno dei tre elettroni dell’atomo che diventa così uno ione positivo, come si evince dalla presenza di 3 protoni nel nucleo (carichi +) e dei 2 elettroni rimasti (carichi -).
La Ionosfera riveste ruoli estremamente importanti, fra cui quello di costituire uno dei primi scudi alle radiazioni solari e cosmiche che impedirebbero la vita sul nostro pianeta. È questa la ragione per cui il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) provvede al monitoraggio di quello che chiama lo Space Weather, una sorta di “meteo spaziale” [2]. Quando avviene un fenomeno di ionizzazione, è possibile che si formino le magnifiche Aurore Polari (Boreale se nel nostro emisfero, Australe se nell’altro), dovute al fatto che alcuni atomi colpiti da radiazioni oppure da altri atomi, dopo essere passati nello stato ‘eccitato’ di Figura 1 tornano al loro stato pristino emettendo una radiazione luminosa.
Il fenomeno è pertanto caratterizzato da strisce colorate in cielo di forma variabile rapidamente mutevoli e da colori che dipendono strettamente dal tipo di atomo che le ha generate. Tipicamente il ritorno allo stato stabile dell’ossigeno genera radiazioni verdi, ma anche rosse se avviene ad altezze superiori al 250 km e in condizioni atmosferiche particolari; l’azoto è responsabile di quelle blu e violette; l’idrogeno di quelle rosso scuro-viola; l’elio di quelle che tendono al giallo. La Figura 2 mostra una stupenda fotografia di un’aurora boreale dall’amico Massimo Forti, fotografo Nikon:
Figura 2. Aurora boreale immortalata dalle parti di Tromsø, in Norvegia, da Massimo Forti.
Dal punto di vista delle comunicazioni elettriche, la Ionosfera funziona sempre come scudo ma dalla parte sottostante, quella che “guarda” la superficie terrestre. Se da un punto della Terra si trasmette un segnale radio di frequenza opportune (tipicamente sotto i 30 MHz), quando questo raggiunge la Ionosfera viene riflesso a terra e da lì nuovamente verso la Ionosfera, in una sorta di ping-pong che permette alle onde radio di essere captate anche a lunga distanza dal punto da cui vengono trasmesse e soprattutto laddove la curvatura terrestre ne impedirebbe l’arrivo diretto poiché esse si propagano in linea retta [3]. Guglielmo Marconi nel 1901 sfruttò per primo questa riflessione riuscendo nell’impresa di trasmettere via radio da Bologna per essere ricevuto in America.
Oggi giorno gran parte delle comunicazioni, siano esse satellitari o terrestri e quindi rispettivamente ai bordi superiori/esterne alla Ionosfera, oppure al di sotto di essa, devono tenere in considerazione lo stato della Ionosfera ed apportare correttivi di trasmissione in caso di eccessiva presenza di cariche elettriche libere. Ad esempio, il sistema di navigazione che comunemente usiamo sugli smartphone si basa sul calcolo di quanto tempo impiega un segnale trasmesso da un satellite geostazionario ad arrivare a noi e lo compara con quello di almeno altri due satelliti rilevando in questo modo la posizione in cui ci si trova. Se la Ionosfera è ricca di elettroni liberi la trasmissione dal satellite risulta rallentata in maniera proporzionale e se ciò avviene in modo diverso per i tre satelliti utilizzati ecco che la localizzazione ha un errore che può essere anche molto rilevante:
Figura 3. I segnali elettromagnetici trasmessi da satelliti interferiscono con gli elettroni liberi della Ionosfera e giungono con ritardi conseguenti agli utilizzatori sulla terra.
Risulta pertanto fondamentale per i moderni sistemi di comunicazione poter contare su una mappatura precisa della Ionosfera per misurare con precisione il così detto Total Electron Content (TEC), ovvero il contenuto totale di elettroni liberi.
Il monitoraggio avviene per mezzo di un sistema globale di satelliti trasmittenti e di stazioni terrestri dislocate in molti punti del pianeta, i cui dati insieme concorrono a formare mappe di densità elettronica poi utilizzate per correggere le comunicazioni (ad esempio la geolocalizzazione).
Comunque ci sono considerevoli “buchi” in questa mappatura poiché le stazioni a terra non sono uniformemente distribuite sul pianeta. I luoghi dove se ne trovano poche sono ovviamente gli oceani, seguiti da Africa, Russia, India e gran parte del Sud America.
Ecco dunque l’idea innovativa degli scienziati di cui all’articolo [1], che hanno pensato ad un uso non convenzionale dei dati carpiti da Google sugli smartphone con sistema operativo Android. Questo sistema basato sulla (inconsapevole) fornitura di miriadi di dati da parte di miriadi di utenti telefonici e Internet prende il nome di “crowdsourcing” (in assonanza con il “crowdfunding” quando si raccolgono soldi provenienti da molte persone non altrimenti legate fra loro).
La seguente Figura 4 mostra la copertura globale di stazioni a terra comparata con quella degli smartphone:
Figura 4. I punti arancioni corrispondono alle stazioni terrestri di monitoraggio della Ionosfera, mentre i punti blu alla posizione degli smartphone Android. Come si evince la diffusione dei secondi copre vaste zone non servite dalle stazioni a terra.
Si evince in particolare che certe zone del pianeta dispongono di pochissime stazioni a terra mentre sono ricche di smartphone, come nel caso dell’India la cui mappatura ingrandita è visibile nella seguente immagine:
Figura 5. I punti arancioni mostrano le poche stazioni ionosferiche in India, da comparare con la ricca presenza di smartphone corrispondenti ai punti blu.
Il sistema fa tesoro delle capacità di navigazione satellitare multi frequenza degli odierni smartphone: ogni telefono opera come un ricevitore e invia le proprie misure ai Data Center di Google. I ricercatori hanno dovuto fare i conti con le limitazioni di un sistema del genere, cercando invece di beneficiare del loro principale vantaggio: l’enorme quantità oggi presente sul nostro pianeta.
Innanzi tutto i sensori a bordo dei nostri telefoni sono lungi dall’avere le prestazioni di accuratezza di quelli di livello scientifico presenti nelle stazioni a terra preposte per lo scopo. Ciò significa che le misure hanno un certo errore di cui occorre tener conto. Inoltre i telefoni non sono fermi, si muovono con i loro proprietari e per risparmiare batteria ricevono i segnali satellitari in modo intermittente, pertanto non eseguono un monitoraggio “in continua”. Infine, come ben sappiamo quando proviamo ad usarli come navigatore, se gli smartphone si trovano in ambienti cittadini con molte costruzioni subiscono la riflessione locale dei segnali che ne impedisce misure corrette. Risulta quindi molto complicato gestire i dati dei telefoni cellulari per ottenere misure scientificamente corrette, impresa che è riuscita agli autori dell’articolo citato meritandosi la pubblicazione.
Il trucco è stato quello di effettuare delle medie sui dati rilevati dagli smartphone fino a ridurre l’incertezza delle misure ad un livello significativo per l’analisi della struttura della Ionosfera. Lo studio si basa sull’assunzione che la Ionosfera sia di struttura fissa tra i satelliti e i diversi cellulari fin tanto che i percorsi sono sufficientemente vicini tra loro. Quando molti ricevitori rilevano segnali lungo un percorso simile, l’operazione di media sulle loro misure (che sono statisticamente indipendenti) RIESCE A RIDURRE L’ERRORE IN MODO CONSIDEREVOLE, RENDENDO POSSIBILE LA DETERMINAZIONE della densità di elettroni liberi lungo quel percorso.
La seguente immagine permette di comparare i risultati ottenuti con i segnali degli smartphone e la misura effettuata da un satellite preposto allo scopo, con evidente maggior risoluzione della prima. I contorni neri sottostanti fanno riconoscere che la zona di rilevazione è il sud America e i colori intorno al giallo corrispondono ad una elevata presenza di elettroni liberi nella Ionosfera, dovuti in questo caso a “bolle” di plasma conseguenti ad una tempesta elettromagnetica solare che ha interessato la Terra tra il 10 e il 13 Maggio 2024:
Figura 6. A sinistra la misura del Total Electron Content (TEC) ottenuta con i dati degli smartphone, a destra quella rilevata da un satellite dedicato. Le zone ad alta presenza di elettroni sono conseguenti ad una tempesta elettromagnetica solare.
Questo studio dimostra in modo inequivocabile che i dati carpiti dai nostri telefoni mobili possono essere utilizzati non solo per bersagliarci di pubblicità mirate o per scopi ludici, ma anche per contribuire alle grosse banche dati globali per studi scientifici. Ciò rende, a mio avviso, meglio sopportabile la tecnologia telefonica moderna.
Altri studi sono in corso per ricavare benefici anche più diretti per la popolazione umana, come ad esempio l’allerta immediata uniforme in caso di calamità naturali come terremoti, eruzioni vulcaniche e tsunami. Qui le cose paradossalmente si fanno ancor più difficili che nella mappatura ionosferica, ma il fatto che siano oggetto di studio è molto promettente.
Marco Sartore
Riferimenti bibliografici
1. “Mapping the ionosphere with millions of phones”, Smith, J., Kast, A., Geraschenko, A. et al. Nature 635, 365–369 (2024). https://doi.org/10.1038/s41586-024-08072-x
2. Space Weather Prediction Center, National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), https://www.swpc.noaa.gov/pmap/pmapN.html
3. University of Toronto notes, “Ionospheric propagation”,
https://www.waves.utoronto.ca/prof/svhum/ece422/notes/20c-ionosphere.pdf