Nell'ultimo giorno della COP19 di Varsavia gli organizzatori della conferenza "La Natura dell'Italia" ricordano il ruolo dei parchi nella lotta all'effetto serra.
Vittime nella guerra del clima e allo stesso tempo attori di primo piano nella battaglia contro i cambiamenti climatici. Si tratta del sistema dei parchi italiani: argini all’effetto serra e contemporaneamente tra le aree più sensibili ai rischi causati dal global warming. Lo ricorda, nei giorni conclusivi del Summit mondiale sul clima a Varsavia, il Ministero dell’Ambiente che si prepara ad organizzare l’11 e 12 dicembre prossimi la Conferenza nazionale “La Natura dell’Italia. Biodiversità e aree protette: la green economy per il rilancio del Paese”, in cui si parlerà tra l’altro del ruolo della conservazione e valorizzazione sostenibile delle risorse naturali anche nella guerra al clima che cambia.
Nelle foreste e nel suolo delle aree protette italiane è immagazzinata una quantità di carbonio che – se si trasformasse in CO2 – sarebbe di circa quattro volte superiore alle emissioni che alterano il clima prodotte ogni anno nel nostro Paese: circa 460 milioni di tonnellate di carbonio stoccate nei parchi e nelle riserve contro 433 milioni di tonnellate di CO2 (il carbonio ‘pesa’ 3,6 volte in meno rispetto alla CO2). È quindi una vera e propria funzione di cassaforte del clima quella che viene fornita dalla protezione della natura. In termini economici, il valore complessivo di questo servizio al mantenimento della stabilità climatica è di 1 miliardo e 200 milioni di euro ogni anno: un pezzo non indifferente del risanamento del nostro bilancio, se venisse contabilizzato in termini economici.
Allo stesso tempo, di fronte al clima che cambia, gli ecosistemi boschivi e montani protetti in buona parte nella rete delle aree protette italiane rischiano un cambiamento dagli esiti drammatici: le proiezioni dell’IPCC (il panel di scienziati Onu che studiano l’effetto serra) indicano che tra un quinto e un terzo delle specie vegetali europee sarebbe a rischio di estinzione se la temperatura media globale salisse oltre 2-3°C sopra i livelli pre-industriali (oggi il riscaldamento globale viene valutato in 0,8 gradi di aumento). A rappresentare una minaccia sono anche conseguenze apparentemente favorevoli del riscaldamento: più caldo significa più foreste in alta quota. Nel secolo scorso nell’ambiente alpino c’è stato uno spostamento di 0,5-4 metri per decennio delle specie vegetali verso altitudini maggiori. Entro il 2080 è previsto un avanzamento della linea boschiva nelle zone alpine di centinaia di metri con una conseguente perdita del 62% delle specie vegetali montane cui si aggiunge l’estinzione prevedibile di specie animali anche fortemente simboliche, come il lupo, l’orso e il camoscio.
Inoltre, con il mutare delle condizioni meteo-climatiche, molte specie di piante stanno migrando di centinaia di chilometri rispetto al loro habitat tradizionale, nel nostro paese soprattutto in direzione Nord Ovest, mentre si prevede che le foreste tenderanno a ridursi nel Meridione. La velocità di questo cambiamento, aggravata dalla frammentazione del territorio, determinerà un aumento delle estinzioni delle specie montane.
“Non possiamo permetterci di perdere biodiversità: assieme agli elementi costitutivi della natura e del paesaggio italiani perdiamo servizi fondamentali per il mantenimento degli equilibri climatici, per la stabilità dei versanti montani, per l’approvvigionamento di acqua e per la produzione di aria”, afferma il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri. “Non lo possiamo fare soprattutto nella settimana in cui – una volta ancora – si contano i morti per eventi meteorologici estremi, collegabili almeno statisticamente al cambiamento climatico in atto”.
“Inoltre - prosegue Sammusi - non si esce dalla crisi economica e occupazionale se non si pone mano alle cause che stanno scatenando la crisi climatica. In Italia questa realtà è forse più chiara che altrove. Lo dimostrano, al di là dell’inaccettabile tributo di vite umane agli eventi climatici più severi, anche le cifre dei danni da catastrofe rispetto a quelle, molto minori, della prevenzione e della strategia di adattamento al clima che cambia”.
"La Conferenza ‘La Natura dell’Italia’ rappresenta il momento in cui si potrà fare il punto su molte delle politiche ambientali e di protezione del territorio e della biodiversità", conclude Sammuri. “Il nostro Paese ha il più alto indice di biodiversità in Europa: questo è il nostro record, il nostro spread positivo. Nella Conferenza di dicembre si incontreranno mondi diversi che raramente dialogano fra loro: l’obiettivo è che l’intero sistema Paese si accorga del giacimento di opportunità che possono nascere dalla gestione accorta, sostenibile e sobria delle risorse naturali".