Nei Parchi nazionali italiani ci sono anche storie di ripristino ambientale di successo delle quali quasi nessuno parla, quindi, quale migliore modo per festeggiare l’arrivo della primavera che raccontare il “miracolo” del ripristino di un ambiente raro e prezioso dell’Arcipelago Toscano: lo Stagnone di Capraia? L’unico specchio d’acqua naturale semi-permanente delle sette isole è tornato quello che era fino a una ventina di anni fa, prima di essere invaso dalle canne e aver rischiato di scomparire in breve tempo.
Infatti, nel settembre 2011 si sono conclusi i lavori di recupero dell’area nel cuore selvaggio dell’Isola di Capraia, iniziati nell’estate del 2010. Il laghetto ha una superficie di quasi mezzo ettaro; si trova a 319 metri sul livello del mare, tra Monte Forcone e Monte Rucitello ed è raggiungibile solo a piedi. Lo Stagnone, (o Laghetto), ha un notevolissimo interesse naturalistico: ospita infatti specie vegetali rare e di valore biogeografico (endemiche dell’area sardo-corsa) ed è importantissimo per molte specie animali, stanziai e migratorie. È inoltre uno degli elementi che più caratterizza Capraia, ben conosciuto dagli escursionisti, con un valore “economico” tutt’altro che trascurabile. L’importanza dell’area umida e della grave minaccia a cui era sottoposta erano già ampiamente conosciute anche dal mondo scientifico, e in particolare dal Professor Bruno Foggi, del Dipartimento di biologia evoluzionistica dell’università di Firenze, che ha mappato l’evoluzione della vegetazione infestante fin dalla sua comparsa. A partire dagli anni ’90 la piccola zona umida aveva subito una rapida e progressiva invasione del canneto che nell’arco di una quindicina di anni aveva portato alla totale chiusura dello specchio d’acqua, accelerando notevolmente il processo di interrimento. Senza l’intervento del Parco Nazionale, questa zona umida, importantissima per i servizi eco sistemici che fornisce all’Isola e come oasi per gli uccelli migratori, sarebbe scomparsa.
Già nella primavera 2011, quando gran parte del lavoro era stato effettuato, grazie alla presenza di ampi specchi d’acqua liberi, lo Stagnone riproponeva le splendide fioriture di ranuncolo che lo caratterizzavano in passato: uno spettacolo che non si vedeva da quasi 20 anni e che sembra testimoniare un’ottima capacità di recupero di questo biotopo.
L’intera operazione di recupero è costata circa 110.000 euro ed è stata finanziata soprattutto dal ministero dell’Ambiente e dal Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano. Il gruppo di lavoro, composto da personale del Parco, tecnici della Nemo Srl (progettazione e direzione dei lavori), da Luca Sbrilli (rilievi geologici) e da botanici delle università di Firenze e Pisa che hanno avviato un progetto di conservazione ex situ per tutelare le principali specie vegetali presenti nel laghetto, è stata molto complessa ed ha dovuto affrontare molte difficoltà: 1) impossibilità di raggiungere il sito con mezzi meccanici; 2) presenza di acqua (profondità massima di 100-120 cm) per gran parte dell’anno; 3) fase molto avanzata dell’invasione da parte del canneto; 4) elevata fragilità dell’ecosistema umido e degli ambienti circostanti.
Come spiega Michele Giunti che ha lavorato al ripristino dello Stagnone, «Tutto ciò ha condotto i progettisti ad adottare una strategia basata su fasi successive e su diverse tecniche di intervento, con tempi e modalità che permettessero di minimizzare gli effetti negativi. All’inizio quindi sono stati utilizzati mezzi meccanici di piccola dimensione, trasportati con un elicottero direttamente al sito di intervento. Le attività preliminari di svuotamento del Laghetto sono iniziate a giugno 2010; le abbondanti piogge cadute durante la primavera avevano infatti reso impraticabile l’invaso e solo a settembre è stato possibile attivare i lavori di asportazione del canneto. L’intervento è proseguito fino alla fine di ottobre per ricominciare nell’estate 2011, con la rimozione degli apparati radicali presenti nel terreno, completata alla fine di luglio. Sono poi seguiti trattamenti localizzati, mediante una miscela di erbicidi sistemici, su una esigua fascia perimetrale di canneto che non poteva essere rimossa con l’escavatore per la conformazione rocciosa del fondo».
»L’intervento di recupero può ritenersi concluso e la rinascita di questa splendida gemma d’acqua incastonata nel cuore di Capraia cosa fatta – sottolinea Legambiente - ma altrettanto non si può dire per le successive fasi di monitoraggio. Il Parco nei prossimi anni dovrà controllare l’eventuale ricrescita del canneto, per congiurare una nuova colonizzazione da parte delle specie infestanti dell’unico specchio d’acqua dell’Arcipelago Toscano».