Per la maggior parte delle persone i calamari, i totani e le seppie sono solo un cibo delizioso, fritti o in umido, oppure nell’antipasto di pesce, ma per Max Kaplan e Aran Mooney sono ben altro: l’anello essenziale della vita marina e un altro motivo per essere preoccupati per il cambiamento climatico.
Mooney, un biologo della Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi), spiega che «I calamari sono al centro dell’ecosistema oceanico, quasi tutti gli animali si alimentano di calamari o sono mangiati dai calamari. Quindi, se succede qualcosa a questi ragazzi, avrà ripercussioni su e giù per la catena alimentare». Kaplan e Mooney hanno studiato se il cambiamento della chimica degli oceani potrebbe influenzare lo sviluppo delle uova e delle larve dei calamari comuni (Loligo pealei) e purtroppo, la risposta è sì.
Kaplan, che partecipa al Whoi-Mit Joint Program in Oceanography, spiega: «Abbiamo trovato impatti nei calamari molto giovani, fondamentali per le popolazioni future. Questo potrebbe avere implicazioni negative per reti alimentari oceaniche e per gli esseri umani, dal momento che la pesca ai calamari negli Stati Uniti vale circa 100 milioni di dollari all’anno». Ma pensando all’Italia viene in mente anche il danno che subirebbero la piccola pesca artigianale e la pesca “sportiva” ai calamari o totani che nelle località costiere è anche un importante momento di integrazione di reddito per molte persone, a cominciare dai pensionati e dai disoccupati.
I due ricercatori, insieme ai loro colleghi Anne Cohen e Dan McCorkle, hanno pubblicato su PlosOne lo studio “Adverse Effects of Ocean Acidification on Early Development of Squid (Doryteuthis pealeii)” dal quale viene fuori che quando i pescatori professionisti o sportivi escono a pesca di “totani” forse dovrebbero fermarsi un momento a pensare che bruciando sempre più combustibili fossili stiamo aggiungendo anidride carbonica nell’atmosfera, che poi viene assorbita (in parte) dal mare che diventa più acido, riducendo la concentrazione di ioni di carbonato nell’acqua marina. La ricerca è ritenuta così importante da essre stata finanziata da Whoi Summer Student Fellowship Program Whoi-Mit Joint Program, t Penzance Endowed Fund, John E. and Anne W. Sawyer Endowed Fund, National Science Foundation e Noaa Sea Grant Program, e sottolinea che «Molti animali marini hanno bisogno di questi ioni per costruire le loro parti dure, come le conchiglie, così l’acidificazione degli oceani potrebbe rendere la vita più difficile alla via oceanica».
Calamari, totani e seppie utilizzano cristalli di carbonato di calcio per “fabbricare” gli statoliti, gli organi dell’equilibrio che forniscono loro la capacità di orientarsi quando nuotano. Mooney e Kaplan si sono chiesti se l’acidificazione può influenzare le larve dei calamari larvale e i loro statoliti. Così hanno catturato diversi calamari ed hanno aspettato che deponessero le uova, poi hanno trasferito le uova in dei serbatoi sperimentali, uno con acqua di mare con gli attuali livelli di CO2 ed uno con i livelli più elevati previsti per la fine del secolo.
Mooney. Dice che hanno scoperto che «Agli animali allevati con la CO2 più alta ci è voluto più tempo per svilupparsi, il che è un grosso problema quando sei alla base di questa massa di uova sul fondo del mare e il pesce può solo fermarsi a mangiare. Inoltre, i neonati nell’acqua più acida erano in media il 5% più piccoli rispetto a quelli nella normale acqua di mare, ed avevano statoliti deformi e disorganizzate. Gli animali, probabilmente hanno passato un momento difficile, non sono riusciti a stabilizzare quei cristalli. E non sembra che possano farlo in un modo con una CO2 molto alta, in quanto le condizioni acidificate mantengono la dissoluzione del carbonato di calcio mentre gli animali stanno cercando di produrlo. Gli statoliti deformi potrebbero compromettere la capacità delle larve di nuotare, evitare i predatori, o trovare la preda».
La ricerca viene attualmente portata avanti dal dottorando Casey Zakroff che ha messo i calamari in vasche con diversi livelli di CO2, con l’obiettivo di accertare le soglie specifiche di quando l’acidificazione comincia ad incidere sul tempo della schiusa e la dimensione delle uva e del tuorlo e del sacco vitellino delle larve, l’unica e fondamentale fonte di energia alla quale i affidano per svilupparsi e crescere fino a che non possono catturare prede.
Riusciranno totani, calamari e seppie a salvarsi dall’acidificazione degli oceani?
Gli studi dicono che stanno già subendo danni agli organi dell’equilibrio
[23 gennaio 2014]
Per la maggior parte delle persone i calamari, i totani e le seppie sono solo un cibo delizioso, fritti o in umido, oppure nell’antipasto di pesce, ma per Max Kaplan e Aran Mooney sono ben altro: l’anello essenziale della vita marina e un altro motivo per essere preoccupati per il cambiamento climatico.
Mooney, un biologo della Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi), spiega che «I calamari sono al centro dell’ecosistema oceanico, quasi tutti gli animali si alimentano di calamari o sono mangiati dai calamari. Quindi, se succede qualcosa a questi ragazzi, avrà ripercussioni su e giù per la catena alimentare». Kaplan e Mooney hanno studiato se il cambiamento della chimica degli oceani potrebbe influenzare lo sviluppo delle uova e delle larve dei calamari comuni (Loligo pealei) e purtroppo, la risposta è sì.
Kaplan, che partecipa al Whoi-Mit Joint Program in Oceanography, spiega: «Abbiamo trovato impatti nei calamari molto giovani, fondamentali per le popolazioni future. Questo potrebbe avere implicazioni negative per reti alimentari oceaniche e per gli esseri umani, dal momento che la pesca ai calamari negli Stati Uniti vale circa 100 milioni di dollari all’anno». Ma pensando all’Italia viene in mente anche il danno che subirebbero la piccola pesca artigianale e la pesca “sportiva” ai calamari o totani che nelle località costiere è anche un importante momento di integrazione di reddito per molte persone, a cominciare dai pensionati e dai disoccupati.
I due ricercatori, insieme ai loro colleghi Anne Cohen e Dan McCorkle, hanno pubblicato su PlosOne lo studio “Adverse Effects of Ocean Acidification on Early Development of Squid (Doryteuthis pealeii)” dal quale viene fuori che quando i pescatori professionisti o sportivi escono a pesca di “totani” forse dovrebbero fermarsi un momento a pensare che bruciando sempre più combustibili fossili stiamo aggiungendo anidride carbonica nell’atmosfera, che poi viene assorbita (in parte) dal mare che diventa più acido, riducendo la concentrazione di ioni di carbonato nell’acqua marina. La ricerca è ritenuta così importante da essre stata finanziata daWhoi Summer Student Fellowship Program Whoi-Mit Joint Program, t Penzance Endowed Fund, John E. and Anne W. Sawyer Endowed Fund, National Science Foundation e Noaa Sea Grant Program, e sottolinea che «Molti animali marini hanno bisogno di questi ioni per costruire le loro parti dure, come le conchiglie, così l’acidificazione degli oceani potrebbe rendere la vita più difficile alla via oceanica».
Calamari, totani e seppie utilizzano cristalli di carbonato di calcio per “fabbricare” gli statoliti, gli organi dell’equilibrio che forniscono loro la capacità di orientarsi quando nuotano. Mooney e Kaplan si sono chiesti se l’acidificazione può influenzare le larve dei calamari larvale e i loro statoliti. Così hanno catturato diversi calamari ed hanno aspettato che deponessero le uova, poi hanno trasferito le uova in dei serbatoi sperimentali, uno con acqua di mare con gli attuali livelli di CO2 ed uno con i livelli più elevati previsti per la fine del secolo.
Mooney. Dice che hanno scoperto che «Agli animali allevati con la CO2 più alta ci è voluto più tempo per svilupparsi, il che è un grosso problema quando sei alla base di questa massa di uova sul fondo del mare e il pesce può solo fermarsi a mangiare. Inoltre, i neonati nell’acqua più acida erano in media il 5% più piccoli rispetto a quelli nella normale acqua di mare, ed avevano statoliti deformi e disorganizzate. Gli animali, probabilmente hanno passato un momento difficile, non sono riusciti a stabilizzare quei cristalli. E non sembra che possano farlo in un modo con una CO2 molto alta, in quanto le condizioni acidificate mantengono la dissoluzione del carbonato di calcio mentre gli animali stanno cercando di produrlo. Gli statoliti deformi potrebbero compromettere la capacità delle larve di nuotare, evitare i predatori, o trovare la preda».
La ricerca viene attualmente portata avanti dal dottorando Casey Zakroff che ha messo i calamari in vasche con diversi livelli di CO2, con l’obiettivo di accertare le soglie specifiche di quando l’acidificazione comincia ad incidere sul tempo della schiusa e la dimensione delle uva e del tuorlo e del sacco vitellino delle larve, l’unica e fondamentale fonte di energia alla quale i affidano per svilupparsi e crescere fino a che non possono catturare prede.
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Gli studi dicono che stanno già subendo danni agli organi dell’equilibrio
[23 gennaio 2014]
Per la maggior parte delle persone i calamari, i totani e le seppie sono solo un cibo delizioso, fritti o in umido, oppure nell’antipasto di pesce, ma per Max Kaplan e Aran Mooney sono ben altro: l’anello essenziale della vita marina e un altro motivo per essere preoccupati per il cambiamento climatico.
Mooney, un biologo della Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi), spiega che «I calamari sono al centro dell’ecosistema oceanico, quasi tutti gli animali si alimentano di calamari o sono mangiati dai calamari. Quindi, se succede qualcosa a questi ragazzi, avrà ripercussioni su e giù per la catena alimentare». Kaplan e Mooney hanno studiato se il cambiamento della chimica degli oceani potrebbe influenzare lo sviluppo delle uova e delle larve dei calamari comuni (Loligo pealei) e purtroppo, la risposta è sì.
Kaplan, che partecipa al Whoi-Mit Joint Program in Oceanography, spiega: «Abbiamo trovato impatti nei calamari molto giovani, fondamentali per le popolazioni future. Questo potrebbe avere implicazioni negative per reti alimentari oceaniche e per gli esseri umani, dal momento che la pesca ai calamari negli Stati Uniti vale circa 100 milioni di dollari all’anno». Ma pensando all’Italia viene in mente anche il danno che subirebbero la piccola pesca artigianale e la pesca “sportiva” ai calamari o totani che nelle località costiere è anche un importante momento di integrazione di reddito per molte persone, a cominciare dai pensionati e dai disoccupati.
I due ricercatori, insieme ai loro colleghi Anne Cohen e Dan McCorkle, hanno pubblicato su PlosOne lo studio “Adverse Effects of Ocean Acidification on Early Development of Squid (Doryteuthis pealeii)” dal quale viene fuori che quando i pescatori professionisti o sportivi escono a pesca di “totani” forse dovrebbero fermarsi un momento a pensare che bruciando sempre più combustibili fossili stiamo aggiungendo anidride carbonica nell’atmosfera, che poi viene assorbita (in parte) dal mare che diventa più acido, riducendo la concentrazione di ioni di carbonato nell’acqua marina. La ricerca è ritenuta così importante da essre stata finanziata daWhoi Summer Student Fellowship Program Whoi-Mit Joint Program, t Penzance Endowed Fund, John E. and Anne W. Sawyer Endowed Fund, National Science Foundation e Noaa Sea Grant Program, e sottolinea che «Molti animali marini hanno bisogno di questi ioni per costruire le loro parti dure, come le conchiglie, così l’acidificazione degli oceani potrebbe rendere la vita più difficile alla via oceanica».
Calamari, totani e seppie utilizzano cristalli di carbonato di calcio per “fabbricare” gli statoliti, gli organi dell’equilibrio che forniscono loro la capacità di orientarsi quando nuotano. Mooney e Kaplan si sono chiesti se l’acidificazione può influenzare le larve dei calamari larvale e i loro statoliti. Così hanno catturato diversi calamari ed hanno aspettato che deponessero le uova, poi hanno trasferito le uova in dei serbatoi sperimentali, uno con acqua di mare con gli attuali livelli di CO2 ed uno con i livelli più elevati previsti per la fine del secolo.
Mooney. Dice che hanno scoperto che «Agli animali allevati con la CO2 più alta ci è voluto più tempo per svilupparsi, il che è un grosso problema quando sei alla base di questa massa di uova sul fondo del mare e il pesce può solo fermarsi a mangiare. Inoltre, i neonati nell’acqua più acida erano in media il 5% più piccoli rispetto a quelli nella normale acqua di mare, ed avevano statoliti deformi e disorganizzate. Gli animali, probabilmente hanno passato un momento difficile, non sono riusciti a stabilizzare quei cristalli. E non sembra che possano farlo in un modo con una CO2 molto alta, in quanto le condizioni acidificate mantengono la dissoluzione del carbonato di calcio mentre gli animali stanno cercando di produrlo. Gli statoliti deformi potrebbero compromettere la capacità delle larve di nuotare, evitare i predatori, o trovare la preda».
La ricerca viene attualmente portata avanti dal dottorando Casey Zakroff che ha messo i calamari in vasche con diversi livelli di CO2, con l’obiettivo di accertare le soglie specifiche di quando l’acidificazione comincia ad incidere sul tempo della schiusa e la dimensione delle uva e del tuorlo e del sacco vitellino delle larve, l’unica e fondamentale fonte di energia alla quale i affidano per svilupparsi e crescere fino a che non possono catturare prede.
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Gli studi dicono che stanno già subendo danni agli organi dell’equilibrio
[23 gennaio 2014]
Per la maggior parte delle persone i calamari, i totani e le seppie sono solo un cibo delizioso, fritti o in umido, oppure nell’antipasto di pesce, ma per Max Kaplan e Aran Mooney sono ben altro: l’anello essenziale della vita marina e un altro motivo per essere preoccupati per il cambiamento climatico.
Mooney, un biologo della Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi), spiega che «I calamari sono al centro dell’ecosistema oceanico, quasi tutti gli animali si alimentano di calamari o sono mangiati dai calamari. Quindi, se succede qualcosa a questi ragazzi, avrà ripercussioni su e giù per la catena alimentare». Kaplan e Mooney hanno studiato se il cambiamento della chimica degli oceani potrebbe influenzare lo sviluppo delle uova e delle larve dei calamari comuni (Loligo pealei) e purtroppo, la risposta è sì.
Kaplan, che partecipa al Whoi-Mit Joint Program in Oceanography, spiega: «Abbiamo trovato impatti nei calamari molto giovani, fondamentali per le popolazioni future. Questo potrebbe avere implicazioni negative per reti alimentari oceaniche e per gli esseri umani, dal momento che la pesca ai calamari negli Stati Uniti vale circa 100 milioni di dollari all’anno». Ma pensando all’Italia viene in mente anche il danno che subirebbero la piccola pesca artigianale e la pesca “sportiva” ai calamari o totani che nelle località costiere è anche un importante momento di integrazione di reddito per molte persone, a cominciare dai pensionati e dai disoccupati.
I due ricercatori, insieme ai loro colleghi Anne Cohen e Dan McCorkle, hanno pubblicato su PlosOne lo studio “Adverse Effects of Ocean Acidification on Early Development of Squid (Doryteuthis pealeii)” dal quale viene fuori che quando i pescatori professionisti o sportivi escono a pesca di “totani” forse dovrebbero fermarsi un momento a pensare che bruciando sempre più combustibili fossili stiamo aggiungendo anidride carbonica nell’atmosfera, che poi viene assorbita (in parte) dal mare che diventa più acido, riducendo la concentrazione di ioni di carbonato nell’acqua marina. La ricerca è ritenuta così importante da essre stata finanziata daWhoi Summer Student Fellowship Program Whoi-Mit Joint Program, t Penzance Endowed Fund, John E. and Anne W. Sawyer Endowed Fund, National Science Foundation e Noaa Sea Grant Program, e sottolinea che «Molti animali marini hanno bisogno di questi ioni per costruire le loro parti dure, come le conchiglie, così l’acidificazione degli oceani potrebbe rendere la vita più difficile alla via oceanica».
Calamari, totani e seppie utilizzano cristalli di carbonato di calcio per “fabbricare” gli statoliti, gli organi dell’equilibrio che forniscono loro la capacità di orientarsi quando nuotano. Mooney e Kaplan si sono chiesti se l’acidificazione può influenzare le larve dei calamari larvale e i loro statoliti. Così hanno catturato diversi calamari ed hanno aspettato che deponessero le uova, poi hanno trasferito le uova in dei serbatoi sperimentali, uno con acqua di mare con gli attuali livelli di CO2 ed uno con i livelli più elevati previsti per la fine del secolo.
Mooney. Dice che hanno scoperto che «Agli animali allevati con la CO2 più alta ci è voluto più tempo per svilupparsi, il che è un grosso problema quando sei alla base di questa massa di uova sul fondo del mare e il pesce può solo fermarsi a mangiare. Inoltre, i neonati nell’acqua più acida erano in media il 5% più piccoli rispetto a quelli nella normale acqua di mare, ed avevano statoliti deformi e disorganizzate. Gli animali, probabilmente hanno passato un momento difficile, non sono riusciti a stabilizzare quei cristalli. E non sembra che possano farlo in un modo con una CO2 molto alta, in quanto le condizioni acidificate mantengono la dissoluzione del carbonato di calcio mentre gli animali stanno cercando di produrlo. Gli statoliti deformi potrebbero compromettere la capacità delle larve di nuotare, evitare i predatori, o trovare la preda».
La ricerca viene attualmente portata avanti dal dottorando Casey Zakroff che ha messo i calamari in vasche con diversi livelli di CO2, con l’obiettivo di accertare le soglie specifiche di quando l’acidificazione comincia ad incidere sul tempo della schiusa e la dimensione delle uva e del tuorlo e del sacco vitellino delle larve, l’unica e fondamentale fonte di energia alla quale i affidano per svilupparsi e crescere fino a che non possono catturare prede.
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