Secondo lo studio “Global Conservation Outcomes Depend on Marine Protected Areas with Five Key Features” pubblicato su Nature da un folto team internazionale di ricercatori di cui fa parte anche Elisabeth M. A. Strain del Dipartimento di scienze Biologiche, geologiche ed ambientali dell’università di Bologna, «In linea con gli obiettivi globali concordati nell’ambito della Convention on biological diversity, il numero di aree marine protette (Amp) è in rapido aumento, ma i benefici socio-economici generati dalle Amp restano difficili da prevedere e sono in discussione. Le Amp spesso non riescono a raggiungere il loro pieno potenziale come conseguenza di fattori quali il prelievo illegale, norme che consentono legalmente un prelievo dannoso, o l’emigrazione degli animali al di fuori dei confini a causa della continuazione dell’habitat o delle dimensioni inadeguate della riserva.
Lo studio mostra che i benefici derivanti dalla salvaguardia aumentano esponenzialmente nelle 87 Amp studiate in tutto il mondo se rispettano 5 caratteristiche fondamentali: «No take non prendere, rafforzamento, tempo di istituzione (> 10 anni), grandi dimensioni (> 100 km2 ), e isolamento di aree in acque profonde o sabbia»
Ma il 59% di tutte le Amp non soddisfa almeno tre dei cinque criteri, rendendole protette solo di nome. Gli autori hanno studiato 964 siti della 87 Amp e scrivono che per determinare l’efficacia di un’area marina protetta bisogna guardare a 5 elementi principali: il grado di pesca consentito; livello di gestione; il tempo di istituzione dell’Amp, la dimensione dell’Amp; la presenza di continuità di habitat che consenta il movimento dei pesci senza costrizioni. Una Amp che non soddisfa almeno 3 di questi criteri non è statisticamente diversa dalle zone nelle quali si pesca normalmente, mentre con 4 o 5 di questi triteri rispettati ed implementati il valore di conservazione dell’Amp aumenta in modo esponenziale.
Gli autori sottolineano che comunque «In tutte le 87 Amp indagate la ricchezza di specie di grandi pesci era del 36% maggiore all’interno dell’Amp rispetto alle zone di pesca la biomassa dei pesci di grandi dimensioni era del 35% maggiore e gli squali il 101% in più, per quanto riguarda la ricchezza delle specie, se non si rispettano almeno 4 parametri, non si trova una differenza significativa nella biomassa totale.
Lo studio arriva alla conclusione inversa a quella di molti anti-parco che vanno per la maggiore nel nostro Paese che lamentano troppi vincoli: «Lo scarso rendimento complessivo delle Amp in tutto il mondo è probabilmente dovuto al notevole numero di aree protette inefficaci: solo quattro delle 87 Amp studiate soddisfano tutti i 5 criteri chiave». Utilizzando le Amp “efficaci” come standard, il team di ricerca ha scoperto che nelle altre zone marine protette, «La biomassa di pesce è nel complesso notevolmente ridotta, con il 63% di tutta la biomassa di pesce, l’80% della biomassa di grandi pesci, il 93% degli squali, l’84% delle cernie e l’85% di jack apparentemente rimossi dai reef dalla pesca».
Un bel problema, visto che per proteggere la vita marina le Amp si sono moltiplicate dalle 118 in 27 Paesi nel 1970 alle oltre 1.300 Amp esistenti in tutto il mondo nel 1994 ed alle circa 5.900 aree marine protette istituite fino al 2010. Ma nonostante questa progressione che può sembrar impressionante, in realtà solo il 2% dei mari e degli oceani del mondo è protetto e molte di queste Amp non hanno una gestione efficace, contribuendo così davvero poco al recupero della diversità e della biomassa marina, presupposto per la continuazione di attività economiche come la pesca e il turismo subacqueo.
Uno dei principali autori dello studio, Trevor J. Willis, dell’Institute of Marine Sciences della School of Biological Sciences dell’università Britannica di Portsmouth, spiega: «Anche se solo un piccolo sottoinsieme di zone marine protette sono sempre in grado di qualificarsi come grandi, la maggior parte delle Amp potrebbero raggiungere le restanti quattro caratteristiche . Le Amp richiedono ulteriore tempo dalla loro istituzione e sufficiente volontà da parte di stakeholders, manager e politici per realizzare più zone vietate alla pesca, aumentare i livelli di “compliance”, e l’estensione dei confini oltre i limiti dei sistemi di barriera o di acque profonde. Le riserve e i parchi marini che permettono qualsiasi forma di pesca, che non vengiono adeguatamente attuate e troppo piccole per abbracciare il range naturale della specie più vulnerabili hanno una forte probabilità di fallire come misure di protezione. Efficaci misure di salvaguardia marine devono includere un divieto assoluto di pesca piuttosto che restrizioni e questo deve essere efficacemente sorvegliato ed applicato».