Cara Legambiente (tutto attaccato) mi permetto di dissentire
Sull’ultima vicenda cementizia cavese.
Da leggere con modalità sommessa, per niente presuntuosa né saccente.
Mettiamo subito in chiaro un paio di cose:
non mi si tacci di cementificatore né di connivente con i poteri forti: mi sono pronunciato con forza contro un altro intervento a Cavo, quello che si vede da Orbetello a Livorno, realizzato (anzi realizzando ormai da diversi anni) all’ingresso del paese dove non avevano osato neanche le aquile
io per primo ho fortemente criticato il Regolamento urbanistico di Rio Marina quando era il momento delle osservazioni
e batto Legambiente (tutto attaccato) 1-0 visto che una delle mie osservazioni venne accolta (ob torto collo) dalla bosiana-betonista amministrazione
poi Legambiente (tutto attaccato) ha pareggiato con la vicenda delle Paffe (quindi siamo pari)
Nell’archivio storico di elbareport c’è almeno un articolo da me scritto su ognuno di questi punti.
Veniamo al dissenso.
Ripartiamo dal 1985 (la mia ricostruzione dei fatti si basa su quanto letto, non mi sono messo a fare ricerche negli archivi del Comune di Rio Marina) quando un bel piano di lottizzazione portò alla costruzione di svariati immobili e alla cessione al Comune di Rio Marina di un terreno destinato a “verde pubblico”. Le fantastiche lottizzazioni di quegli anni, in tutta Italia non solo a Cavo, hanno disseminato le periferie di fazzolettini di “verde pubblico” per rispetto di una norma che, se dal punto di vista dei principi era e forse in parte è ancora sacrosanta, ha provocato (anche) effetti tragicomici. Le cosiddette aree a standard sono state inventate nel 1968 per mettere fine alla dissennata costruzione di quartieri senza servizi. Poi è stata applicata (e altrimenti non sarebbe potuto essere) a microlottizzazioni producendo verdi pubblici in scala bonsai, inutili, insulsi e anzi dannosi. Questo nella illusoria convinzione che la somma di 100 fazzoletti avesse gli stessi effetti di un parco urbano: un po’ come dire che su1000 coriandoli si può scrivere una lettera d’amore.
Dico dannosi perché nei fatti ha dato la stura a pretendere che il Comune venisse poi a tagliare l’erba nel giardino di casa eletto a ruolo di “verde pubblico” senza nessun reale beneficio per la collettività.
Il terreno su cui sta sorgendo quel mediocre edificio cavese è uno di questi. In 44 anni di assidua frequentazione (di cui 29 col verdepubblicobonsai presente) non ho mai visto essere vivente bipede frequentare quello sterpaio.
L’unico ruolo che poteva avere quel verdepubblicobonsai era forse di preservare la vista mare alle case della lottizzazione: ma concorderà anche Legambiente (tutto attaccato) questa non è roba che interessi la collettività.
Allora succede che tutti i Comuni d’Italia (a parte quelli che degli standard si sono sempre bellamente fregati) hanno le casse vuote e una pletora di coriandoli di terreno. Non ci vuole un genio, non ci vuole uno di sinistra né uno di destra per pensare che, se rendita fondiaria deve essere, meglio che vada a vantaggio della collettività (anche se a malincuore a svantaggio dei lottizzanti lungimiranti che pensavano di aver fatto scacco matto mettendo il verde davanti alle loro finestre).
Con questo sia molto chiaro: la mia idea sulla rendita fondiaria è democristiana quanto quella del Senatore Fiorentino Sullo (che con la sua proposta di legge sul regime dei suoli del 1962 quasi provocò un colpo di stato militare) e molto, ma molto, lontana da quella, pur democristiana, dell’Onorevole Bosi.
Insomma disfarsi di piccoli fazzoletti di verde bonsai inutili (e solo di quelli … non certo del vero verde pubblico!), all’interno delle città esistenti è uno degli ultimi espedienti di socialismo reale che, senza provocare consumo di suolo, “socializza” una seppur piccola rendita fondiaria a scapito solo di chi perderà la vista mare.
Allora delle due l’una: o si è contro il cemento a priori (e io sono sulla buona strada), ma si rischia il “dituttal’erbaunfascismo” o il “luogocomunismo”, o si cerca di distinguere cemento e cemento. E c’è cemento che produce (presunta) rendita fondiaria senza alcun beneficio per la collettività (il 99% di quello colato sull’Elba negli ultimi decenni) e cemento che, pur sempre cemento, provoca modestissimi danni alla collettività (se si escludono le reminescenze Legambientaliste dei lottizzanti) e qualche beneficio sotto forma di socializzazione di una rendita fondiaria (in questo caso neanche presunta visto che il Comune di Rio Marina avrà già ben riscosso e forse re-investito i proventi della vendita di quel terreno).
Franco Filippini